L'etica della rappresaglia

Se Netanyahu, Putin, Hamas e Zelensky fossero come il signor Checchettin: un bagliore contro la vendetta

La difesa dell’umano, che insiste per essere riconosciuto ad un livello più profondo del dramma che pure avrebbe argomenti per cancellarlo, è l’unica speranza realistica che abbiamo per la salvezza del genere umano.

Editoriali - di Mons. Vincenzo Paglia

6 Agosto 2024 alle 07:00

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Se Netanyahu, Putin, Hamas e Zelensky fossero come il signor Checchettin: un bagliore contro la vendetta

In questa torrida estate in cui viviamo, assuefatti ai notiziari che registrano quotidianamente il borsino delle vendette incrociate, dove “risposta” ormai è il nome della “rappresaglia” che deve dare soddisfazione ai capi e farne pagare il prezzo ai popoli (questa è la guerra ormai: vendetta sui popoli), porta un bagliore speciale il cortocircuito delle parole di Gino Cecchettin, il padre di Giulia, uccisa brutalmente da suo ex fidanzato, ora in carcere. “Quello che come società tutti noi, nessuno escluso, dovremmo fare è aiutare la famiglia Turetta. Questo dovrebbe essere il nostro dovere: aiutare un uomo che sta vivendo un momento di grande difficoltà, non accanirci contro di lui”. Così si è espresso Gino Cecchettin, riguardo a quel colloquio in carcere tra padre e figlio Turetta, dove il padre – che in seguito si è scusato e spiegato – sembrava quasi giustificare il secondo.

I media si sono accaniti abbastanza – forse anche troppo – sul dramma che ha passato da parte a parte queste due famiglie. Ci metto il mio, allora, di “accanimento”: voglio elevare la mossa di Gino Cecchettin, che interrompe immediatamente la spirale della provocazione strumentalizzata e della vendetta giustificata. La difesa dell’umano, che insiste per essere riconosciuto ad un livello più profondo del dramma che pure avrebbe argomenti per cancellarlo, è l’unica speranza realistica che abbiamo per la salvezza del genere umano. Non esagero. E mi sento di ribadire – anzi vorrei gridare, vorrei che tutti gridassimo in faccia al mondo! – che nel tratto e nelle parole di Gino Cecchettin attingiamo ad una manifestazione di civiltà che dovremmo valorizzare come una perla preziosa. Noi esseri umani abbiamo una irresistibile inclinazione a corrompere la giustizia con la vendetta: che finisce per avere il sopravvento, con il suo eccesso di umiliazione, di avvilimento, di distruzione, che travolge intere comunità e intere generazioni. La storia della vendetta – la sua evidenza, ormai, va in scena ogni giorno – finisce per farci sprofondare in un doppio legame difficilissimo da sciogliere: l’eccesso dell’umiliazione, che non siamo abbastanza liberi e forti per interrompere, ritorsione uguale e contraria. E così il mortificato e il persecutore, la vittima e il carnefice finiscono per sovrapporsi.

Chi interrompe, allora? La vendetta acquista ragioni, la rappresaglia vale come unica risposta. La vendetta diventa la norma della riparazione dell’offesa. Quando il dispositivo entra a far parte dell’educazione, del comune sentire, dell’abitudine anche privata, i popoli cessano di esser un presidio di umanità che resiste ai capi – adolescenti falliti – che li consegnano ai loro giochi di vendetta e di rappresaglia. Certe volte penso che i segni del tempo ci dicono che questo processo di indebolimento del costume è particolarmente avanzato, anche nelle società che si vogliono evolute, democratiche, civili. La vendetta e l’umiliazione sono tratti umani. Non semplici riflessi biologici. Sono atti dello spirito, contro lo Spirito. L’umiliazione degli umani deve essere voluta: ha bisogno della complicità della mente e dell’anima. Nel mondo animale non si accende nella forma tipica degli umani: che vi si dedicano per il puro piacere di avvilire, e la trasmettono alle generazioni come un tratto apprezzabile di personalità dominante.

L’ombra dell’umiliazione e della vendetta ha oscurato per millenni anche i divini. Lo stesso Dio rappresentato dalla Bibbia, a volte ha i tratti del vendicatore. Ma a questi, per fortuna, unisce i tratti della giustizia incommensurabile e della pietà che punta al riscatto. Il vangelo imporrà di prendere distanza dall’ombra dell’umano linguaggio che vive anche i divini come potenze dell’umiliazione e della rappresaglia. Le religioni oggi hanno questo compito epocale: smarcarsi definitivamente dall’inerzia residuale di una celebrazione della potenza del divino che intrattiene un rapporto superato con gli dèi della guerra che devono proteggere i popoli. I popoli devono cercare protezione nel Dio che impone il dialogo e custodisce l’umanità dell’umano: anche quando l’umano, impaurito e avvilito oltre la misura del sopportabile, straparla (come prima o poi a tutti noi accade).

Allora le frasi e le reazioni composte e misurate, fin dall’inizio, di Gino Cecchettin, ci offrono un formidabile insegnamento. Costruiscono la speranza che un’altra via è possibile in concreto, è praticabile, è lì. Nel dolore più atroce, quest’uomo non ha perduto la capacità di ragionare, di riflettere, di non lasciarsi intrappolare dal “lato oscuro” della vendetta. Una grande saga – Star Wars nella versione di George Lucas – ha messo in scena la lotta tra il bene e il male in termini epici. E come sia facile cadere nel “lato oscuro” della vendetta, nel desiderio di dominio, nell’ingordigia che divora tutti i rapporti interpersonali. E come sia facile non uscirne più. A meno di non imboccarla, come fanno gli eroi positivi di Lucas e come fanno tantissimi eroi sconosciuti del nostro tempo.

Il papà della nostra Giulia, uccisa innocente, non la imbocca. È un esempio umano, da seguire. Il mondo cristiano conosce bene la via calma, serena, sicura, della volontà di seguire un Dio misericordioso, che ricorda l’esistenza di una giustizia superiore a quella umana. I discepoli lo hanno capito. Non si sono vendicati contro il Sinedrio e i Romani per la morte di Gesù. Non sono scesi in piazza. Davanti alle migliaia di martiri uccisi brutalmente nell’impero, gli altri cristiani non hanno assalito le caserme dei soldati o i palazzi degli imperatori. Hanno pregato. Hanno sofferto. Hanno fortificato la loro fede. Hanno seguito un’altra strada. Allora un’altra strada è possibile. Dobbiamo gridarlo con forza ai protagonisti delle troppe guerre che tormentano i nostri giorni e devastano il futuro di tanti, troppi nostri fratelli e sorelle. Da questa Italia, in un Mediterraneo tormentato, arriva un segnale di speranza. Facciamolo nostro, custodiamolo, moltiplichiamolo.

6 Agosto 2024

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