Il report sulle migrazioni in Africa
Torture e abusi, il rapporto OIM e UNHCR sulle rotte migratorie e le violenze
Il rapporto sulle rotte migratorie in Africa mostra come le violenze vengano perpetrate non soltanto da attori criminali ma anche istituzionali e quanto sia necessario un controllo del rispetto dei diritti umani negli accordi di bipartenariato con Paesi di transito
Editoriali - di Gianfranco Schiavone
Da alcuni anni l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), il Centro misto per le migrazioni (Mmc) e l’ufficio dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) collaborano alla redazione di un rapporto finalizzato a meglio conoscere i luoghi, gli attori e la tipologia delle diverse forme di violenza attuate verso le persone, i migranti e i rifugiati che si muovono lungo le diverse rotte migratorie in Africa. Il primo rapporto uscì nel 2020 mentre il secondo è stato appena pubblicato (5 luglio 2024) con un titolo significativo: “In questo viaggio, a nessuno importa se vivi o muori: abusi, protezione e giustizia lungo le rotte tra l’Africa orientale e occidentale e la costa mediterranea dell’Africa”.
Il rapporto, curato da Michele Cavinato, si basa su diverse fonti di informazione, tra cui interviste condotte con oltre 31mila rifugiati e migranti di 59 diverse nazionalità, raccolte in diversi contesti e paesi tra gennaio 2020 e la primavera 2023 (il 28% delle interviste sono state realizzate di persona, il 78% telefonicamente). Le testimonianze raccolte “evidenziano atrocità, violazioni e abusi perpetrati da criminali, milizie e autorità governative de iure o de facto” commesse verso “rifugiati e migranti con esigenze e profili diversi. Molti hanno bisogno di protezione internazionale, alcuni si spostano per adattarsi o fuggire dagli effetti del cambiamento climatico, altri cercano una vita migliore, comprese opportunità di lavoro e di studio, altri ancora sono costretti a cercare altrove un sostentamento per disperazione”. Gli autori del Rapporto sono consapevoli che i flussi migratori sono misti e che “in un contesto (…) in cui molti Paesi europei si trovano ad affrontare carenze di manodopera dovute all’invecchiamento della società che determina una domanda di manodopera migrante, questi spostamenti misti sono destinati a continuare e, in alcuni contesti, ad aumentare”.
Il rapporto dedica la gran parte della sua attenzione ai rischi di attraversamento delle aree desertiche, e del Sahara in particolare, evidenziando come “i rifugiati e i migranti che attraversano il deserto del Sahara affrontano rischi legati sia all’ambiente estremo sia alla violenza di contrabbandieri, trafficanti e funzionari di frontiera”. Nel periodo 2021-2024 (fino a maggio) sarebbero almeno 1.031 rifugiati e migranti sono morti attraversando il deserto mentre stesso periodo, sono state segnalate circa 8.381 persone morte o disperse durante la traversata del Mar Mediterraneo, di cui 6.068 nella traversata del Mediterraneo centrale, quasi tutte (94%) annegate. Si tratta, per ciò che riguarda le morti via terra, di dati largamente sottostimati e lo stesso rapporto ipotizza che il numero di persone che muoiono nel deserto possa essere molto più elevato, e persino maggiore di quello di coloro che muoiono nel Mediterraneo.
Diversamente dal primo rapporto del 2020, il secondo prende in considerazione forme di violenza quali la detenzione arbitraria, le espulsioni collettive e i respingimenti che per la loro natura sono attuati in prevalenza da autorità statali, sia che esse agiscano de iure o de facto. Ed è sotto questo profilo di ricerca che emergono i dati più interessanti e nello stesso più terribili: in percentuali che variano sensibilmente a seconda delle macro aree geografiche considerate dal rapporto (Corno d’Africa, Africa del nord, Africa occidentale), attori quali le polizie di frontiera, corpi militari e altri agenti statali sono indicati dalle vittime come gli autori delle violenze subite, anche efferate, all’interno di una forbice che va dal 20% a quasi il 50% dei casi. Si tratta di percentuali impressionanti che contribuiscono a svelare una realtà per nulla inedita a chiunque studi questi drammatici contesti, ma che viene radicalmente rimossa dal dibattito pubblico, ovvero che le violenze commesse verso i migranti non vengono attuate solo dai trafficanti di esseri umani sui quali riversare il nostro comodo sdegno, bensì anche, e in forma massiccia, da soggetti istituzionali. Le operazioni criminali si concentrano soprattutto sulle detenzioni arbitrarie e sulle forme di tortura durante la detenzione, nonché sui respingimenti alle frontiere, e sulle espulsioni collettive attuate in violazione del diritto internazionale.
Il rapporto evidenzia in modo particolare il caso delle espulsioni collettive dall’Algeria verso il Niger attuate tra gennaio 2021 e maggio 2023 che avrebbero riguardato 74.759 casi. Ricostruendo gli eventi sulla base di diverse fonti (tra cui Human rights watch, 2020 e Alarme phone Sahara, 2022) si richiamano eventi agghiaccianti: “dopo essere stati arrestati nel corso di ondate di rastrellamenti che hanno avuto luogo in diverse città algerine, gli espulsi – che comprendono bambini e altre persone in situazioni di vulnerabilità – vengono radunati a Tamanrasset, nella parte algerina del deserto del Sahara. Successivamente, vengono trasportati in convogli e abbandonati al “punto zero” situato a circa 15 chilometri dal confine con il Niger. Da lì, devono camminare nel deserto e, secondo quanto riferito, alcuni sono morti mentre cercavano di raggiungere Assamaka, un villaggio di circa 3mila abitanti nel Niger”. Il rapporto sottolinea infine anche il caso della Tunisia (paese fortemente appoggiato dall’Italia) dove nel luglio 2023 “diverse centinaia di persone, tra cui bambini e donne incinte, sarebbero state radunate e portate al confine tra Tunisia e Libia, nella zona di Ras Jedir, dove sono state lasciate nel deserto e successivamente trasferite in centri di detenzione. In seguito alle deportazioni, decine di persone sono state trovate morte dalla guardia di frontiera libica e da altri attori in questa regione di confine, mentre diversi individui sono stati dati per dispersi”.
Il Rapporto si conclude con una nutrita serie di raccomandazioni, alcune molte generiche, ma altre di indubbio interesse; tra esse la proposta di “stabilire partenariati con i comuni e le autorità locali lungo la rotta e indirizzare i finanziamenti a questi ultimi per creare sistemi di accoglienza e di riferimento” e quella di “sostenere l’accesso alla giustizia anche attraverso la consulenza e l’assistenza legale gratuita alle vittime e lo sviluppo di misure pratiche per proteggere le vittime/testimoni”. La raccomandazione più rilevante (già contenuta altresì nel primo rapporto e rimasta inattuata) è tuttavia quella di prevedere di “sottoporre qualsiasi assistenza fornita ai Paesi lungo la rotta del Mediterraneo centrale a requisiti di condizionalità, tra cui misure chiare ed efficaci per mitigare il rischio di violazioni dei diritti umani”. I soggetti statali coinvolti nelle violenze, che siano formalmente riconosciuti o che abbiano solo un controllo di fatto dei loro territori, sono gli stessi con i quali le istituzioni europee intrattengono fitti legami in termini di finanziamento, equipaggiamento e formazione per la gestione dei flussi migratori.
Come ho scritto più volte, il sostegno dell’Unione europea e degli Stati membri a paesi terzi per la gestione delle migrazioni e per il contrasto al traffico di esseri umani erogato di fatto senza condizioni, apre serissimi interrogativi giuridici ed etici su possibili forme di responsabilità per complicità nella commissione di crimini (il rinvio al rispetto dei diritti umani è sempre contenuto negli accordi ma nella realtà è solo una vuota formula di stile). Nel suo vacuo discorso di insediamento del 17.07.24 la “nuova” commissaria von der Leyen si limitava a ripetere formule stereotipate, come quella che dobbiamo “ridurre la migrazione irregolare, dobbiamo combattere i contrabbandieri e i trafficanti – criminalità organizzata – dobbiamo tutelare il diritto di asilo e migliorare la situazione dei rifugiati, ad esempio attraverso corridoi umanitari”.
Rispetto al rapporto con i paesi terzi la Commissaria sosteneva la necessità di “forme di cooperazione equa con i paesi di origine e di transito perché è nell’interesse di entrambe le parti”. Affermazioni, come si può vedere, prive di alcun contenuto, ma utili a celare la tremenda realtà di un’Europa che non intende porre ai dittatori di turno dei paesi con i quali si fanno gli accordi per l’esternalizzazione delle frontiere (Libia, Tunisia, Turchia e molti altri) alcuna condizionalità. Il tacito ma incrollabile presupposto degli accordi sulle migrazioni tra l’Unione europea e i paesi terzi è, al contrario, di non prevedere alcun vincolo e alcun meccanismo di controllo e di verifica. In questo quadro così cupo, il primo compito che nella attuale legislatura spetta alle forze di sinistra (intese nel loro complesso) presenti nel nuovo Parlamento europeo è quello di ostacolare con tenacia e rigore morale la proliferazione di accordi senza condizioni tra l’Unione europea e i paesi terzi che siano finalizzati a confinare, trattenere e respingere migranti e rifugiati.