I 'nemici' di Giorgia
Perché Meloni fa la lotta ai migranti: l’unico, vero e perseguito obiettivo della premier anche in Europa
La politica di protezione dei confini e la lotta all’immigrazione illegale rimane una priorità europea. La premier ha stretto rapporti con paesi di transito molto importanti, come Libia e Tunisia, aiutandoli nel loro “business dei migranti”
Politica - di Luca Casarini
La premier italiana fa sempre bella figura ai vertici. Innanzitutto è il suo inglese fluido a qualificarla come “adeguata”. La società dello spettacolo, che ha sussunto interamente il modo di essere della politica, ha bisogno di questi dettagli più che di altro. Le gaffe senili di Biden contano molto di più dei suoi programmi, come conta molto di più il pugno alzato di Trump, dopo il miracoloso sparo che gli ha graffiato l’orecchio, e che l’ha trasformato da pericoloso golpista ad eroe americano. In fondo per la Meloni, fare bella figura, dimostrarsi adeguata, era il primo obiettivo, dichiarato pubblicamente. Per una underdog cresciuta come lei tra le ambizioni personali della carriera istituzionale imboccata fin da piccola, e la impresentabile militanza fascista, poter conciliare tutto non era scontato. Portare al governo i fascisti del nuovo millennio, in un paese come l’Italia, e trovare la strada per dare nuovo ruolo storico agli sconfitti di ottanta anni fa, è una questione seria, che ha poco a che vedere con camice nere e olio di ricino e molto invece, con la crisi della democrazia liberale rappresentativa del nostro tempo. E’ questa crisi, quella delle democrazie nate dopo la sconfitta del fascismo e del nazismo in Europa, che è l’opportunità per Meloni. In fondo anche quando Orban dice che la sua è una “democrazia illiberale”, non fa altro che affermare che quell’altra non c’è più, o sta molto molto male. Che la democrazia storicamente determinata dal dopoguerra stia molto male, lo dice Mattarella dal Brasile, mentre ricorda quando i migranti eravamo noi. Lo ha detto papa Francesco al G7. Lo dicono i francesi con la Le Pen alle calcagna e Macron sul collo. Lo dicono tutti, sia che stiano in alto che in basso, a destra o a sinistra. I più intelligenti tra i fascisti del nuovo millennio, come lo è la Meloni, provano a cogliere l’occasione. I meno intelligenti, come Salvini, sono condotti solo dalla smania di risultato personale, e usano la prima cosa che gli capita a tiro. Ma la loro irresponsabilità li tradisce, svelando le miserie di cui è fatta la loro visione del mondo. I più avveduti, come la Meloni, provano ad inserirsi in un caos e lo usano per proporsi come guida di un “ordine nuovo” possibile, post democratico. “Ogni crisi, come quella dei migranti, è anche un’opportunità”, lo ripete sempre e anche questa volta, al Forum di Tripoli. Dal palco della sala conferenze del Rixos al-Nasr, Meloni fa la sua performance. Si tratta di “vendere” un prodotto, la “nuova” geopolitica mediterranea sulle migrazioni, e di continuare a qualificarsi come “adeguata” e anche “migliore” in questo campo. Per ottenere il risultato, primo punto importante, lisciare il pelo, lei donna solitaria, ai lupi maschi riuniti in branco che popolano la conference hall. Non sono inclini al matriarcato quei personaggi al comando dei paesi devastati del nordafrica e dell’africa subsahariana. Libia e Tunisia sono esempi indicativi. Paesi portati allo stremo dalle politiche di accaparramento delle fonti energetiche operate in decenni di colonialismo 2.0 dei grandi gruppi occidentali, Eni e Total per citarne un paio, che hanno messo le mani su tutto ciò che scorre nel sottosuolo, fregandosene di ciò che accadeva sopra. «Non deve essere il nostro, quello dell’Europa, un approccio predatorio», ripete la premier. Sapendo che questo è il primo, antico e grande problema. Come non far apparire come predatorio ciò che stiamo facendo, da sempre, noi all’Africa? Ai tempi dell’avventura coloniale italiana, dalle pagine del Popolo d’Italia, Mussolini lo diceva con altre parole, ma il concetto era lo stesso: «grande opportunità di lavoro per i nostri disoccupati, che smetteranno presto il fucile, e si trasformeranno in operosa comunità, accolta con gratitudine dalle popolazioni locali». Sappiamo che non è andata così, anche se l’auspicio del duce che veniva dal socialismo, è diventato luogo comune e quel “italiani brava gente” copre ancor oggi i massacri sanguinari che “l’operosa comunità” di invasori ha commesso. Ma allora, a quel tempo, l’intento del fascismo italiano sulla carta era questo, ed era criticato da altri fascisti che ritenevano “troppo morbido” questo approccio nell’epoca nella quale il colonialismo era la regola generale. La premier, erede di questa storia, ha oggi un approccio coloniale moderno, anch’esso criticato da altri fascisti, che lo ritengono “troppo morbido”. Il branco di lupi che la ascolta in sala, presidenti, ministri e generali tutti inclini all’autocrazia, vuole sentirsi dire esattamente ciò che lei dice. Cioè che non sono, loro, dei venduti che sacrificano i loro popoli per tornaconto personale – basta andarsi a vedere le enormi ricchezze personali che questi signorotti della guerra e dei traffici hanno a disposizione – che non sono dei corrotti sanguinari, dei trafficanti di armi, diamanti, petrolio, esseri umani, mafiosi, che hanno avuto successo fino a prendere il potere e a trasformarsi da criminali in “autorità” riconosciute dalle civili democrazie occidentali più che dalla loro gente. Non ci sono in sala dei Thomas Sankara, ma nemmeno dei Ben Ali. C’è invece uno come Emad Trabelsi, il vero capo del governo libico retto formalmente da un debolissimo Dabaiba, eletto a Ginevra con tutto il governo e spedito a reggere il baraccone della Libia. Trabelsi era un camionista durante il regime di Gheddafi. Si occupava di piccoli traffici, perlopiù contrabbando di carburante. Il salto, come per molti altri delinquenti di piccola tacca, avvenne con la caduta e l’uccisione di Gheddafi, decisa nel 2011 da Sarkozy per garantire la Total e il petrolio. Da camionista a capo di una delle milizie più intraprendenti e feroci, il passo è stato rapido. Da piccolo ladro di carburante che rivendeva in Tunisia, a capo dei clan armati di Zintan, specializzati tra le altre cose, secondo l’Onu e la Segreteria di Stato USA, in traffico di esseri umani, torture, stupri, riduzione in schiavitù di migranti. E da capo dei clan di confine con la Tunisia, a ministro degli Interni, il passo è stato ancora più rapido. Usare le crisi come opportunità, come insegna la premier, è dunque una lezione che questi branchi di lupi sanguinari conoscono bene. E che dire dell’autocrate tunisino, Saied, quello che arresta avvocati, attivisti per i diritti umani, candidati dell’opposizione, e che deporta nel deserto migliaia tra donne uomini e bambini? Anche lui lì, a farsi lisciare il pelo dalla candidata matrona di questo Mediterraneo insanguinato e senza dignità, forte con i deboli e debole con i forti. Le grandi organizzazioni criminali, le mafie globali, hanno usato la crisi delle politiche sulla migrazione, tutte impostate sui respingimenti ed esternalizzazione delle frontiere, come “opportunità”. Anche in questo caso, la Meloni non ha nulla da insegnare. Il traffico di esseri umani, favorito da queste politiche, è diventato un grande business. Non solo per il volume di soldi che muove, trenta miliardi di euro all’anno, ma per l’opportunità di usarlo per prendere il controllo “politico” di interi paesi. Le fonti energetiche infatti, sono già sotto il controllo dei grandi gruppi occidentali. Anche il traffico illegale d’armi, nel tempo della guerra globale, è inficiato dalla iperproduzione e distribuzione “legale” ad opera dei grandi gruppi internazionali. Per comprare armi non c’è problema: non occorre rivolgersi alle mafie, basta comprarle direttamente da chi le produce e non ha più alcuna limitazione allo smercio. Gli esseri umani impoveriti, profughi di guerra o climatici, che si spostano invece, non li aiuta nessuno. E qui sta la grande occasione: si fanno i soldi in quattro fasi. La prima è facendosi pagare il viaggio da chi prova a fuggire. La seconda è riducendo in schiavitù e vendendo i fuggiaschi per vari servizi, tra cui la guerra e lo sfruttamento sessuale. La terza è la richiesta di riscatto alle famiglie di provenienza, inviando video con torture usando i loro stessi telefoni e ricevendo i soldi via Western union, come succede in Libia. La quarta è offrirsi all’Unione europea e all’Italia come guardia coste, polizia di frontiera, e non far arrivare, vivi, i migranti sulle nostre coste. Si potrebbe definire un business assoluto, dove ci guadagnano tutti fuorchè gli esseri umani più vulnerabili. Il mare e il deserto sono stati trasformati in fosse comuni per le decine di migliaia di persone che vengono eliminate attraverso la deportazione e l’abbandono. Il “rimpatrio volontario”, i campi profughi nei paesi di transito o in paesi terzi disponibili a fare da galera per i deportati, come recentemente l’Albania, il Kosovo e il Rwanda, sono un altro business in tragica crescita. E qui sta l’intelligenza dei fascisti del terzo millennio come la Meloni: c’è un consenso bipartisan, destra e sinistra, democratici e repubblicani, liberali e conservatori, autoritari e progressisti, su questo punto. Il mancato appoggio alla von der Layen in Europa, è stato sofferto da Fratelli d’Italia. Se non ci fosse stato il Green deal con conseguente apertura ai Verdi da parte del blocco di governo, proprio la visione comune sulla migrazione avrebbe condotto la Meloni a fare ciò che in tanti della sua parte, desiderosi di un rinnovato ruolo storico per i fascisti di oggi, poteva fare, e cioè appoggiare una presidente con la quale, negli ultimi due anni, ha costruito la politica europea del Migration pact. La sua amica von der Layen, espressione più alta in Europa di quella pragmatica convergenza sulla “protezione dei confini” dalla pressione, che i poveri che noi abbiamo creato, vi esercitano. Questa è stata, ed è vissuta così dalla premier italiana e dal suo entourage, come un’occasione persa. La Meloni parla dal palco di Tripoli e non nomina mai i «diritti umani». Parla di «approccio strategico» nel «combattere l’immigrazione clandestina fin dai paesi d’origine, e in quelli di transito». Ma senza mai dire : «dobbiamo farlo rispettando i diritti umani». E qui, la convergenza pragmatica fa ciò che il voto formale in Europa non ha saputo concedere: creare un’alleanza, politica e culturale, tra una fascista e una liberale, entrambe del terzo millennio. Lei e Ursula, nei fatti. I post un po’ patetici di Fratelli d’Italia per giustificare il forzato isolamento politico dopo il voto europeo, recitano «mai con la sinistra». Ma perché Edi Rama, il premier albanese con il quale hanno istituito i primi centri di detenzione e il primo carcere per migranti in un paese terzo, non appartenente all’Unione, di che partito è? E il primo discorso ufficiale del neopremier britannico, il laburista Strammer, che ha elogiato il modello «Italia – Albania», che cosa rappresenta? Ma se volessimo approfondire, gli accordi di Sanchez, premier socialista spagnolo, con il Marocco per la deportazione nel deserto dei migranti che tentano di passare attraverso Ceuta e Melilla per giungere in Europa, sono così diversi dagli omicidi di massa di migranti compiuti tra la Polonia e la Bielorussia (123 fino ad ora quelli accertati negli ultimi sei mesi) con la diretta responsabilità del governo Tusk, uno dei fondatori di Solidarnosc? Questa convergenza tra tutti sul respingere i migranti “con ogni mezzo necessario” legale ed illegale, soft o hard, pubblicamente cruento o subdolamente occulto, si chiama “egemonia”. La Meloni lo sa, e ne rivendica la maternità.
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