La parola al Gip
David Ermini preferisce i soldi di Spinelli e lascia il Pd
L’ex vicepresidente del Csm non rinuncia alla presidenza del Gruppo dell’imprenditore indagato a Genova e si dimette dalla direzione Dem
Giustizia - di Paolo Comi
David Ermini non ha avuto dubbi. Dovendo scegliere fra l’incarico, verosimilmente ben retribuito, di presidente del Gruppo Spinelli e rimanere nel Pd, il partito con il quale era stato eletto due volte in Parlamento e che gli aveva permesso di diventare vice presidente del Consiglio superiore della magistratura, ha scelto ieri il primo. Finisce dunque così l’esperienza di Ermini nel Pd di cui era stato durante la segreteria di Matteo Renzi anche responsabile giustizia e, da ultimo, difensore dei deputati Debora Serracchiani e Valter Verini, parti civili nel processo a carico del sottosegretario Andrea Delmastro per rivelazione del segreto d’ufficio nel caso di Alfredo Cospito.
“Mi stupisco per le strumentalizzazioni che sono state fatte e che continuano sul mio ruolo nella direzione nazionale”, ha dichiarato ieri Ermini. “Non avrei mai pensato – ha aggiunto – che assumere un incarico professionale potesse suscitare imbarazzi, che risentono evidentemente della situazione e del clima a Genova e in Liguria”. “Ringrazio Ermini perché, con la scelta di dimettersi da membro della direzione nazionale del Pd, toglie di mezzo polveroni, incomprensioni e strumentalizzazioni”, ha commentato invece il presidente del Pd, l’europarlamentare Stefano Bonaccini. Il primo a chiedere, senza successo come si è visto, di rinunciare all’incarico di presidente del Gruppo Spinelli era stato Andrea Orlando, candidato in pectore per la presidenza della Regione Liguria.
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Ma ieri è stato comunque un giorno importante anche per Giovanni Toti: la Procura di Genova ha dato il via libera per la sua scarcerazione dopo che la scorsa settimana aveva rassegnato le dimissioni da governatore. Che questa fosse l’unica soluzione possibile per Toti si era capito da tempo in quanto tutte le istanze di liberazione presentate dai suoi difensori in questi mesi erano sempre state respinte con la motivazione che avrebbe potuto “reiterare” i reati. Ed a nulla erano serviti i pareri autorevoli, come quello del giurista Sabino Cassese, che stigmatizzavano l’abnormità della misura cautelare. Pm/gip/tribunale del riesame si sono sempre mossi in perfetto sincrono, consolidando l’iniziale quadro accusatorio della guardia di finanza, senza lasciare spazio ad una altra lettura dei fatti. Da più parti si è poi sottolineato che un provvedimento diverso sarebbe stato visto come una sconfessione della attività della magistratura genovese. L’ultima parola spetterà adesso al gip Paola Faggioni. Ma non dovrebbero esserci sorprese in quanto, come detto, fino ad oggi ha sempre sposato in pieno le tesi della Procura.
“È evidente – aveva scritto Faggioni in uno degli ultimi atti – la permanenza e attualità del pericolo che l’indagato possa reiterare analoghe condotte peraltro ritenute pienamente legittime e corrette dal predetto tenuto conto anche del fatto che nel 2025 sono calendarizzate le elezioni regionali e che la campagna per la raccolta dei fondi è già iniziata”. E dal momento che Toti, come avevano invece scritto i magistrati del Riesame, non distingue ciò che è lecito da ciò che è illecito, ecco quindi la necessità di tenerlo agli arresti. Per Toti i pm hanno anche chiesto il giudizio immediato, convinti che non ci sia bisogno di perdere tempo con l’udienza preliminare essendo evidenti le prove della colpevolezza. Toti – a differenza di Emilio Signorini, ex ad di Iren ed ex presidente del porto di Genova, che ha già informalmente fatto sapere di essere in procinto di patteggiare – si è sempre dichiarato pronto per il processo, trattandosi di una opzione di fatto obbligata. Il patteggiamento infatti gli precluderebbe per anni ogni velleità politica e sarebbe utilizzato come una clava dagli avversari, rendendo peraltro problematico un ritorno sugli schermi di Mediaset.
Con la decisione di ieri della Procura si chiude allora la prima fase di questa vicenda giudiziaria iniziata all’alba del 7 maggio scorso con l’arresto di Toti per l’accusa di corruzione. I pm gli contestarono di aver ricevuto 74 mila euro dall’imprenditore Aldo Spinelli, patron dell’omonimo gruppo leader nella logistica portuale nel biennio 2021-2023. Il mese scorso era arrivata una seconda ordinanza di custodia cautelare per l’accusa di finanziamento illecito ai partiti per la campagna elettorale del 2022. In questa indagine, va ricordato, si è perso il conto delle anomalie.
Ad esempio le tempistiche. Il procedimento venne aperto nel 2020 dalla Procura di Spezia che indagava su una lottizzazione abusiva sull’isolotto della Palmaria ad opera dell’allora sindaco di Portovenere Matteo Cozzani, poi nominato capo di gabinetto di Toti. Il primo telefono ad essere intercettato era stato il suo. Il resto lo ha fatto il tradizionale “strascico” che ha permesso di allargare a dismisura il campo investigavo: dallo stabilimento balneare abusivo sull’isola della Palmaria, alle campagne elettorali del movimento di Toti Coraggio Italia, con tutte le conseguenze del caso.