Minacce ed escalation
Erdogan minaccia Israele: “Non possono fare questo ai palestinesi, possiamo invaderli”
Dopo il razzo caduto a Majdal Shams, uccidendo 12 ragazzi, il premier israeliano promette vendetta ad Hezbollah. Il governo libanese e americano cercano di limitare l’escalation
Esteri - di Umberto De Giovannangeli
La guerra del Libano. La guerra in Libano. È iniziata. Da vedere c’è quale ne sarà la profondità devastatrice. La polveriera mediorientale rischia di esplodere. Il razzo lanciato dal Libano verso la cittadina druso-israeliana di Majdal Shams è andato “oltre i limiti”, ammonisce il ministro degli Esteri israeliano, Israel Katz, e rischia di far precipitare il conflitto con gli Hezbollah in una guerra “aperta e totale”. Il governo israeliano ha autorizzato una rappresaglia militare contro obiettivi del movimento sciita filoiraniano Hezbollah in Libano, dopo il lancio di razzi che sabato ha causato la morte di 12 minorenni israeliani a Majdal Shams, sulle Alture del Golan.
L’approvazione è giunta al termine di una riunione di emergenza del gabinetto di sicurezza israeliano convocata domenica pomeriggio, e protrattasi per ore sino a tarda notte. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, appena rientrato dagli Stati Uniti, è stato autorizzato assieme al ministro della Difesa Yoav Gallant a stabilire i termini e le tempistiche della rappresaglia. «Lo Stato di Israele non vuole e non può passare sotto silenzio quello che è accaduto. La nostra risposta arriverà e sarà dura». Lo ha ribadito ieri Netanyahu in visita a Majdal Shams. «Hezbollah, con il sostegno iraniano, ha lanciato qui un missile iraniano che ha causato la morte di 12 anime innocenti», ha aggiunto il primo ministro israeliano. Ad accoglierlo c’erano duecento residenti di Majdal Shams che hanno duramente contestato il premier. Lo riferisce Haaretz secondo cui a Netanyahu è stato gridato «vattene via» e «assassino». Inoltre, gli è stato urlato, secondo la stessa fonte, «sei il nemico di tutti noi» e «ora si ricorda del Golan».
Francia e Stati Uniti sono intervenuti per chiedere alle parti di contenere le reazioni in seguito a quello che, da subito, è apparso un attacco anomalo rispetto a quanto sta avvenendo dal 7 ottobre. Il missile ha infatti colpito un territorio formalmente appartenente alla Siria, quello delle Alture del Golan, ma sotto occupazione israeliana, e una popolazione, quella di religione drusa, i cui rappresentanti hanno spesso rifiutato la cittadinanza israeliana, ma che anche rispetto a Libano e Siria si sentono culturalmente parte di una comunità a sé stante. Ora l’intera area corre il rischio di diventare un nuovo, ulteriore, fronte di questa guerra, dopo anni di tensioni latenti e mai sopite, e incertezza dovuta all’intransigenza dello Stato ebraico rispetto alle rivendicazioni della Siria ed Hezbollah, da sempre alleato di Damasco. Le alture del Golan sono un altopiano di grande valore strategico di cui Israele ha sottratto il controllo alla Siria durante la Guerra dei Sei Giorni, nel 1967 e ha poi annesso al proprio territorio nel 1981. Oltre che per la loro dimensione, 840 chilometri quadrati, le Alture del Golan sono importanti perché confinano con Libano e Giordania e per la vicinanza rispetto alla capitale siriana Damasco, visibile dalle colline della zona.
L’amministrazione Biden ha messo in guardia Israele dal colpire obiettivi di Hezbollah a Beirut in risposta all’attacco al villaggio druso. Funzionari statunitensi e israeliani concordano sul fatto che una guerra totale tra Israele e Hezbollah causerebbe un’enorme distruzione da entrambe le parti e potrebbe portare a una guerra regionale. «La situazione sarebbe probabilmente sfuggita al controllo» hanno dichiarato i due funzionari ad Axios. Israele e Hezbollah hanno entrambi affermato di aver condotto attacchi durante la notte tra sabato e domenica dopo il lancio del razzo sulle Alture del Golan. Il consigliere per il Medio Oriente del presidente Joe Biden, Amos Hochstein, ha espresso preoccupazione per il fatto che se l’esercito israeliano attaccasse Beirut, Hezbollah risponderebbe lanciando missili a lungo raggio contro Israele e allargherebbe il conflitto. Il primo ministro libanese Najib Mikati ha affermato che «sono in corso colloqui con parti internazionali, europee e arabe per proteggere il Libano e scongiurare i pericoli».
Intanto, Hezbollah «ha evacuato alcune posizioni nel Sud e nella pianura della Bekaa che ritiene possano essere un obiettivo per Israele», secondo una fonte vicina al Partito di Dio libanese.
Alla guerra sul campo si accompagna quella delle dichiarazioni, nella quale eccelle Recep Tayyp Erdogan. Dura minaccia del presidente turco, che ha parlato esplicitamente della possibilità di invadere Israele, in risposta all’operazione dell’Idf a Gaza. «Dobbiamo essere forti affinché Israele non possa fare questo ai palestinesi. Come abbiamo fatto in Karabakh, in Libia, possiamo fare lo stesso con loro», ha affermato in un intervento trasmesso in televisione. «Erdogan sta seguendo le orme di Saddam minacciando di attaccare Israele. Dovrebbe ricordare cosa è successo in Iraq e come è finita», ha scritto il ministro degli Esteri israeliano, Israel Katz, in un post su X, in cui ha riportato le foto dei due uomini. Ma in Israele è anche “guerra” interna. Il capo di stato maggiore delle Forze di difesa israeliane (Idf), tenente generale Herzi Halevi, ha condannato l’irruzione di attivisti e deputati di estrema destra nel centro di detenzione di Sde Teiman, nel sud di Israele, per protestare contro l’arresto di 9 soldati, accusati di abusi gravi su un detenuto palestinese.
L’irruzione è stata stigmatizzata da Netanyahu, mentre a esaltarla è un suo ministro, Itimar Ben-Gvir, uno dei leader della destra estrema israeliana. Secondo il ministro per la Sicurezza nazionale, «lo spettacolo degli ufficiali della polizia militare che vanno ad arrestare i nostri migliori eroi a Sde Teiman è niente meno che vergognoso». A dar manforte a Ben-Gvir è il figlio di Netanyahu, Yair, che su X ha scritto che l’accusa di stato è «criminale e antisionista» riferendosi all’arresto, eseguito dalla polizia militare, dei nove soldati del centro di detenzione di Sde Taimam, nel sud di Israele, sospettati di «seri abusi su un detenuto palestinese».
Un soldato che ha prestato servizio a Sde Teiman ha detto che l’unità ha usato violenza nei confronti dei detenuti, raccontando che «in un’occasione hanno detto a tutti di sdraiarsi sul pavimento e hanno immediatamente lanciato una granata stordente al centro della cella, poi li hanno presi violentemente a calci». Altri testimoni hanno riferito al quotidiano israeliano che i soldati occasionalmente prendevano da parte i detenuti e «li maltrattavano, picchiandoli con mazze» e rompendo denti e costole. Costoro per l’estrema destra israeliana, e per l’influente figlio del premier, sono degli eroi. Eroi torturatori.