L'opinione
Parla Nadia Urbinati: “Pressioni per il ritiro di Biden? Un grave errore di Obama e dei democratici”
Bersagliare il presidente a causa dell’età è una discriminazione, contro di lui i dem hanno usato toni e parole che ricordano quelli di Trump. E poi è incredibile che non siano riusciti a pubblicizzare il governo migliore dai tempi di L.B. Johnson
Esteri - di Umberto De Giovannangeli
La Convention repubblicana incorona il “miracolato” Trump ed esalta il suo giovane “clone” J.D.Vance. Mentre in campo democratico la “congiura anti Biden” acquista sempre più i connotati di un suicidio politico. L’Unità ne discute con Nadia Urbinati, accademica, politologa italiana naturalizzata statunitense, docente di Scienze politiche alla Columbia University di New York.
Alla Convention repubblicana di Milwaukee, che ha celebrato il Trump “unificatore d’America”, è nata una stella: J.D. Vance, il trentanovenne senatore dell’Ohio acclamato come vice del tycoon nella corsa alla Casa Bianca.
J.D. Vance non è un uomo nuovo. Conosciuto da qualche anno e non solo per il suo libro. Incarna un modello che è trasversale e unisce destra, sinistra, democratici, repubblicani. Il mito del “sogno americano”. Il mito del “se vuoi puoi farcela”, “se ci credi ci riesci’. Credere nelle proprie possibilità; non ha importanza da dove vieni; anzi più il tuo luogo d’origine è periferico, più il tuo ceto è umile, più la carica adrenalinica sarà forte e ti spingerà in alto.
L’eroismo della persona singola è questo: senza appartenere a chissà quali mondi, riuscire a costruirsi una storia eccezionale che altri possono emulare. Vance rappresenta questo mito americano. Ha tutti gli ingredienti a posto, come un puzzle riuscito. Una famiglia disagiata, una nonna che lo alleva; bambini come lui, senza una famiglia stabile, che giocano in strada, esposti a tutti i rischi — molti suoi amici sono morti per overdose nell’adolescenza. Una vita ai margini. Che può essere cambiata anche grazie ad un sistema d’istruzione che dall’Italia si fa fatica a comprendere.
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Vale a dire?
È vero che le migliori scuole e università sono private; ma è altrettanto vero che lo stato federale o i singoli stati (se governati con politiche ‘liberal’) mettono a disposizione molte borse di studio per giovani come Vance: se hai un buon curriculum puoi contare su contributi. Vance ha goduto di questa opportunità, grazie alla quale è andato a Yale, da dove è cominciata la rinascita. Il mito è quello del “to be born again”, in tutti i sensi, sia religioso che materiale.
In questa scelta quanto ha pesato la carta d’identità, quel fattore anagrafico che mai come in questa campagna ha assunto un peso politico così importante?
In questo senso, e lo dice una che non può certo essere certo tacciata di simpatie trumpiane, quella di puntare su Vance è una scelta “geniale”. Di fronte a due contendenti anziani – Trump e Biden hanno quasi la stessa età – mettere in campo un personaggio così giovane, più della Harris, e soprattutto capace di parlare a tutte le categorie e le classi sociali, è una scelta azzeccata. Può piacere o no, ma è così. Vance rappresenta un Trump giovane, un suo clone con quarant’anni in meno. Ha tutte le caratteristiche di un uomo senza qualità morali, disposto a tutto per ottenere ciò che vuole. Alleggerito della retorica buonista, il “sogno americano” alla fine è questo. È quello che anche Trump è, anche se proviene da una famiglia importante; ma ricordiamo che la sua condizione finanziaria era disastrata quando ha deciso di darsi alla politica. Una famiglia ricca. Ma lui ha sperperato ed è stato bancarottiere. A tutti i costi e con tutti i mezzi si è rialzato. Si vince a costo di violare regole morali (e non solo, come i suoi processi mostrano). Non stiamo parlando di persone dal grande spessore etico. Stiamo parlando di astuti affaristi; di gente che aspira al successo, costi quel che costi. Anche questo fa parte dell’American dream. Con il “clone Vance”, l’ambizione dei repubblicani è quella di governare l’America almeno per un decennio e mezzo, forse più.
In che termini e misura il fallito attentato a Trump può segnare il proseguo della campagna presidenziale?
Su questo sarei più cauta. Indubbiamente ha un effetto emotivo immediato, tra l’altro ben sfruttato da Trump che sfoggia quella esagerata e ridicola benda all’orecchio, enorme rispetto al graffio che ha subito. Ma deve essere ben visibile, come il segno di una ferita in battaglia. È anche questo l’”holliwoodismo” della politica americana. Passato un periodo di decantazione, penso che saranno altri i temi che cattureranno l’attenzione.
Ad esempio?
Già ora l’attenzione si sta spostando sul partito Democratico. Per ragioni magari non gloriose, ma si sta spostando lì. Appena finito di ascoltare il discorso autocelebrativo di Trump alla Convention repubblicana, di uno che si sente già la vittoria presidenziale in tasca, ci si focalizzerà sui Democratici. E da quel momento, anche l’immagine di questo “fortunato incidente” di Trump, perderà un po’ del suo glamour.
Spostiamoci sui Dem. Tutto è concentrato sull’uscita di scena di Biden.
Vede, forse andrò controcorrente, ma l’idea che mi sono fatta, anche parlando con colleghi americani (un’idea che appare non peregrina) è che il partito Democratico stia commettendo un errore. Che può generare, come in parte già sta accadendo, effetti a catena che non controlla.
Quali, professoressa Urbinati?
Anzitutto, crea una condizione spiacevolissima: la discriminazione per l’età. Joe Biden è stato attaccato ferocemente per via dell’età. Ci sono milioni di “senior citizens” che vanno a votare e che si possono identificare con questo bersaglio di accuse. È pesantissimo dover essere continuamente offesi per l’età. Biden, ogni giorno, ogni minuto, deve dire sì: sono anziano, ma capisco, ragiono. È una forma di discriminazione che peserà, anche se dovesse ritirarsi. Perché viene bersagliato come lo sono le minoranze, oltretutto quella forse meno tutelata (quella appunto dell’anzianità); in lui si possono identificare altre minoranze (che vanno generalmente a votare e non votano Trump). Ma questo i Democratici sembrano non considerarlo.
In secondo luogo, è da tempo che i Democratici, soprattutto i maggiorenti del partito, stanno conducendo una campagna contro Biden che nei toni e nel linguaggio assomiglia a quella di Trump.
Vale a dire?
Se avessero voluto sostituire Biden, avrebbero dovuto farlo con altri metodi, più “discreti”. Fare in modo di non crearne un caso. Loro ne hanno fatto un caso; loro, non Trump; dimostrandosi in questo anche poco avveduti. In terzo luogo, se verrà sostituito adesso, non ci sarà nessuno, non certo la Harris, capace di fare quello che Biden fa, cioè mettere insieme un po’ di Vance e un po’ di Trump nella sua persona, ovvero i volti del sogno americano; la classe operaia e quella media e medio-alta. Fare grande l’America ha una traduzione in “America first” – che non è un credo soltanto trumpiano e che lo stesso Biden in qualche modo impersona. E, per venire nel campo di Vance, Biden può coprirlo perché anche lui viene da una classe popolare ed è cattolico. Biden è capace, come ha dimostrato in tutta la sua presidenza e prima, di poter parlare alla classe operaia bianca e non. È l’unico democratico che fino ad ora è stato capace di unire tutto l’universo Dem, dai moderati fino alla Cortez o a Sanders. Chi potrà fare questo? Il suo successore, se ci sarà, soprattutto se sarà Kamala Harris, coprirà una parte dell’elettorato, ma non tutto. E quindi, anche se dovesse essere dimissionario, o dimissionato (come molto probabilmente avverrà), di lui ci sarà bisogno. Biden è il punto di riferimento, questo non cambierà. È un leader popolare come ce ne sono pochi nel suo partito.
L’immagine dell’America è sempre più quella di un Paese lacerato, incattivito, irricomponibile.
L’America è incattivita, perché Mr. Trump l’ha resa tale. Ha usato, dalla sua prima campagna elettorale contro Hillary Clinton, un linguaggio violento, aggressivo, di sbeffeggio. Lui intende demolire le persone. Character assassination: ha adottato questa politica violenta che il 6 gennaio 2021, con l’assalto a Capitol Hill, ha portato all’estremo. L’America ha rischiato il colpo di stato. E lui ha usato continuamente una politica che ha esasperato la campagna elettorale; di questo anche lui, alla fine, ne è rimasto, in qualche modo, vittima. Ora si presenta come una sorta di vicario di Cristo made in Usa: Dio ha voluto che non morissi per poter salvare l’America dai liberal che fanno sposare gli omosessuali e danno alle donne la possibilità di abortire! L’ “angelo moralizzatore” è stato salvato, perché se Dio avesse voluto lui sarebbe morto, ed è in vita perché ha una missione superiore da compiere, per grazia divina ricevuta. E così raccoglie tutti gli evangelici dalla sua parte, e con Vance anche molti cattolici. Userà questa narrazione per richiamare all’unità: andiamo oltre l’odio; sono io, salvato da Dio, l’uomo dell’unità. Un gioco sporco, che Trump e i suoi consiglieri stanno conducendo con grande professionalità. Anche grazie al fatto di aver trovato una strada spianata da avversari che non hanno saputo ‘venderÈ bene se stessi, ciò che in quattro anni di presidenza Biden è stato capace di fare. Questo mi manda ai matti. Con Biden abbiamo avuto il governo migliore dai tempi di L. B. Johnson. Sul piano sociale, ha risollevato un’America che Trump aveva lasciato in condizioni miserrime, con un altissimo numero di disoccupati. Oggi abbiamo una disoccupazione molto bassa, attorno al 3,9%, buoni salari e una caduta dell’inflazione nell’ultimo anno. Investimenti nelle vecchie infrastrutture, per ridare smalto all’America e lavoro agli americani. Biden lascia a chi viene dopo condizioni invidiabili. Tutto questo non è stato pubblicizzato come sarebbe stato importante fare. Anche i Democratici hanno esperti in campagne elettorali (lautamente pagati), ed è incredibile l’incapacità di illustrare dati oggettivi, condizioni evidenti.
A chiedere a Biden di farsi da parte sono anche due pilastri del partito dell’asinello: Nancy Pelosi e Barack Obama. Che spiegazione si dà, professoressa Urbinati?
Potenza dei social. Li seguo, e qualche volta partecipo anche a dibattiti che in quell’ambito si sviluppano. I social Dem hanno lanciato una campagna per capire se il pubblico voleva o no cambiare in corsa Joe Biden. Una larga fetta di persone ha spinto in questa direzione. Obama e Pelosi hanno rappresentato in qualche modo questo volere popolar-social, e hanno deciso di dire pubblicamente ciò che Biden dovrebbe fare. Sono convinta che abbiano toppato, certamente per i modi adottati. Se sostituzione doveva esserci, forse doveva essere fatta senza tsunami mediatici. La politica ha bisogno di buone strategie (e di un po’ di penombra) e i Democratici in questo frangente ne sono stati privi. E hanno messo il vecchio Joe in pubblico. Così, ora, il povero Biden deve quasi supplicare di essere malato per avere una giustificazione che motivi il suo ritiro. Il modo in cui stanno “assassinando” politicamente Biden non è solo controproducente per i Democratici, ma è anche penoso da vedere.