A sinistra c’è voglia di unità, Conte torna all’ovile
A sinistra dilaga la febbre unitaria: un’epidemia come non si vedeva da quasi vent’anni, dai tempi di Romano Prodi e della sua sfortunata Unione, anno di grazia 2006
Politica - di Danilo Di Matteo
A sinistra dilaga la febbre unitaria: un’epidemia come non si vedeva da quasi vent’anni, dai tempi di Romano Prodi e della sua sfortunata Unione, anno di grazia 2006. Conte il guerrigliero ha messo la sordina a ogni polemica. Neppure la marcia dell’escalation nella guerra ucraina, suo eterno cavallo di battaglia, lo infiamma come un tempo. Tra Elly e il reprobo per eccellenza, Matteo Renzi, è scattata la scintilla nonostante la spaccatura su una questione non proprio trascurabile come la giustizia. Lei ne loda “l’afflato unitario”, lui mette la mordacchia alle abituali polemiche e profetizza disastri per la premier. Riccardo Magi si è già di fatto smarcato dai centristi. Manca all’appello Calenda che, parola di Elly, “è meno politico”: ma se c’è un leader senza alternative al ritorno all’ovile è proprio lui. Dopo mesi di chiacchiere, tira e molla, distinguo sornioni ed esitazioni strategiche il Campo Largo è stato imposto di fatto dagli elettori, quelli italiani ma anche quelli francesi.
L’impatto del miracolo francese non è trascurabile ma a spiegare l’improvvisa passione unitaria valgono più i rapporti di forza registrati dalle elezioni europee e amministrative. Il miraggio renziano di rispolverare l’armatura di Ghino di Tacco per infilarsela lui, insomma di trasformarsi in ago della bilancia, è svanito nelle urne delle europee. Il centro in Italia non c’è o, se c’è, è già incarnato da Fi a destra e dalle ali più moderate del Pd a sinistra. Renzi e Calenda possono scegliere tra queste due opzioni e lo sanno. Per Calenda il forno di destra è proibitivo, per questo sembra agitarsi solo in cerca di una via d’uscita inesistente. Renzi potrebbe battere quella strada ma non è probabile che lo faccia: le comunali nella sua roccaforte fiorentina hanno detto forte e chiaro che neppure i suoi elettori lo seguirebbero e nel fortino azzurro la leadership è ormai saldamente nelle mani di Tajani. Lo scambio di sorrisoni con Elly si spiega così.
Su Conte non incide solo l’esito disgraziato delle europee e il disastroso responso della sfida a Bari ma anche, anzi soprattutto, le scosse che sono arrivate nel Movimento dopo quei voti: l’attacco di Grillo, la minaccia esplicita di Raggi e Di Battista, quella coperta ma molto più insidiosa di Chiara Appendino. Conte ha dimostrato più volte di saper cogliere per tempo le priorità e la priorità, oggi, è evitare di essere disarcionato. Per farlo deve pigiare l’acceleratore a tavoletta sull’alleanza con il Pd e tenersi da conto i pezzi da novanta che lo difendono e che sono tutti decisamente a favore del Campo di Elly. Pratico e pragmatico, l’avvocato procede di conseguenza. Stilettate e colpi di fioretto non mancheranno ma il miraggio di insidiare la candidatura di Elly alla premiership, ruolo al quale la segretaria del Pd non ha alcuna intenzione di rinunciare, sembra sfumato. Avs è uscita dalle elezioni con la speranza non più solo infondata di superare lo stesso Movimento nei consensi. Ma se una cosa sia Fratoianni che Bonelli hanno ben chiara è che in nessun caso potranno e dovranno mettere in forse un campo largo del quale sono sempre stati i primi sponsor.
Nella cultura della sinistra italiana è una mezza rivoluzione. Il gioco dei veti incrociati da quelle parti ha quasi sempre fatto premio su tutto e nel 2022 ha toccato livelli tanto inarrivabili quanto disastrosi. Eppure almeno fino al doppio colpo delle elezioni europee e francesi non si può dire che la lezione fosse servita a molto e anche adesso converrà aspettare per capire se quella unitaria è solo una febbre passeggera o una vera svolta. La stessa atmosfera unitaria si respira persino nel Pd, dove per mesi le tensioni, dopo l’elezione a sorpresa di Elly, erano state inconfessate ma elevatissime. Anche in questo caso all’origine dell’afflato unitario ci sono gli effetti delle elezioni. A questo punto, salvo improbabili sconvolgimenti nelle regionali del 2025, è chiaro a tutti che la segretaria sarà ancora al suo posto quando arriverà il momento di comporre le liste per le elezioni politiche e sarà lei a dare le carte. Del resto le scelte che sta facendo per gli incarichi a Bruxelles rivelano, come spiega un dirigente di lungo corso che “alla fine Elly fa sempre come vuole lei”. Con la mannaia delle candidature già affilata, l’improvvisa accelerazione del Campo Largo, l’accordo tra la segretaria stessa e i capibastone, che non hanno alcun interesse a metterla in crisi, alla minoranza e agli scontenti, che sono ammutoliti, non scomparsi, non resta che riscoprirsi unitari. Magari obtorto collo ma comunque unitari.