L'intervista

“Vance sarà decisivo tra giovani e stati in bilico”, intervista a Massimo Teodori

“Biden non molla?” No, perché ha la convinzione assoluta di essere l’unico a poter battere Trump e poi perché vuole farla pagare ai democratici per averlo trascurato e trattato malamente negli ultimi dieci anni

Esteri - di Umberto De Giovannangeli

17 Luglio 2024 alle 16:00

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“Vance sarà decisivo tra giovani e stati in bilico”, intervista a Massimo Teodori

La corsa alla Casa Bianca dopo l’attentato a Donald Trump. Il segno politico della candidatura di J.D. Vance alla vicepresidenza da parte del tycoon repubblicano. L’Unità ne discute con uno dei più autorevoli analisti del “pianeta americano”: Massimo Teodori. professore di Storia e Istituzioni degli Stati Uniti, ha insegnato in università italiane e americane. Tra i suoi libri sull’America, ricordiamo: Maledetti americani. Destra, sinistra e cattolici: storia del pregiudizio antiamericano (Mondadori), Ossessioni americane. Storia del lato oscuro degli Stati Uniti (Marsilio); Obama il grande (Marsilio); Storia degli Stati Uniti e il sistema politico americano (Mondadori) e Il genio americano. Sconfiggere Trump e la pandemia globale (Rubettino).

Donald Trump ha scelto James David – “J.D.” – Vance, trentanovenne senatore dell’Ohio come vicepresidente nella corsa alla Casa Bianca. Professor Teodori, qual è il segno politico di questa investitura?
Questa nomina può avere molti segni. Il dato anagrafico, ad esempio: Vance ha 39 anni, in una elezione segnata dalla gerontocrazia. Il carattere da self made man che, provenendo da famiglia povera e marginale, riesce brillantemente ad avanzare nella carriera da classe dirigente espressione dell’élite universitaria, la spregiudicatezza politica che, da acceso anti-trumpista, lo trasforma nel più trumpiano della destra radicale tra coloro che potevano essere potenziali candidati vicepresidenti. Sono alcune delle tesi che in queste ore vanno per la maggiore. Tutto vero, ma la mia interpretazione è un’altra.

Quale?
Il puntare tutto sugli Stati oscillanti dei laghi, cioè Michigan, Wisconsin, in parte l’Ohio, Minnesota. Sono i tre-quattro stati, insieme alla Pennsylvania, ancora in bilico e che potrebbero essere conquistati più facilmente dai democratici. Sono oscillanti, ma non come quelli del sud, che sono più orientati verso i repubblicani. Gli stati a cui ho fatto riferimento, stando agli ultimi rilevamenti, oscillano più verso l’asinello (il simbolo del partito democratico) che verso l’elefantino (simbolo dei repubblicani). Aver indicato come vice un personaggio giovane, che si è fatto da solo e viene da una famiglia povera, e in più rappresenta quello strato della popolazione della Rust Belt, (espressione che indica la regione compresa tra i monti Appalachi settentrionali e i Grandi Laghi, un tempo cuore dell’industria pesante statunitense, ndr), cioè di tutta quella fascia di vecchia industrializzazione che oggi è in crisi, è un messaggio molto chiaro indirizzato ai milioni di lavoratori, in maggior parte immigrati, neri, sindacalizzati, che hanno sempre avuto il riferimento principale nel partito democratico e che oggi Trump cerca di attirare nella sua orbita, visto che un piccolo spostamento in stati come Michigan, Wisconsin, Pennsylvania , potrebbe rivelarsi alla fine quello decisivo per la conquista della Casa Bianca. La scelta di Vance è una mossa molto astuta, non so in che misura sia una mossa intuita da Trump o piuttosto, come ritengo, suggerito dal suo gruppo di strateghi elettorali molto capaci.

Quanto può incidere l’attentato a Trump sulla corsa alla Casa Bianca?
Può pesare molto se la campagna elettorale dei prossimi tre mesi sarà orientata su quell’elemento lì e se ci sarà una reazione impropria da parte della sinistra democratica. Se si scatenano quelli della cultura woke o altri del genere, non faranno altro che alimentare una radicalizzazione che finisce per favorire il populismo di Trump. Questo lo vedremo da ora in poi, non lo possiamo dire oggi. Oggi i sondaggi seguitano ad essere, più o meno, quelli che erano prima del fallito attentato.

In precedenza, ha fatto riferimento alla carta d’identità del neocandidato repubblicano alla vicepresidenza. Mai come in questa campagna presidenziale, il dato anagrafico ha acquisito una valenza politica così pervasiva. Un giovane vicepresidente in pectore contro un candidato presidente democratico, non solo ottantenne ma anche, così viene raccontato, un po’ rimba….
I trentanove anni di Vance sono una carta da giocare in una gara elettorale che finora è stata tutta centrata sulla questione degli anni dei canditati e sui guasti della senilità. Si tratta di una carta abbastanza forte. Ma, come al solito, le carte sono forti in termini di risultato finale da come vengono giocate in campagna elettorale. Anche questo lo si vedrà nei prossimi mesi. Biden non molla. Per ora non sembra volerlo fare. Lui ritiene che i democratici debbano pagare uno scotto per averlo trascurato e trattato malamente negli ultimi dieci anni, prima con la decisione di candidare Hillary Clinton, che ha fatto la fine che ha fatto, e altre cose del genere, e poi per la convinzione assoluta che ha di essere l’unico in grado di battere Trump, in base alla capacità politica che ha dimostrato nella campagna elettorale di quattro anni fa, mettendo insieme una coalizione di pezzi importanti, decisivi se stanno tutti assieme: le minoranze di colore, i neri e i latinos, i bianchi di centro e quelli di sinistra… Mettere insieme una coalizione è necessario per vincere le presidenziali, che si vincono sempre per poche migliaia di voti in alcuni stati.

Quella che emerge è un’America sempre più lacerata e incattivita.
Questa è la situazione, rappresentata dalla svolta che ha dato Trump, quella della polarizzazione estrema. La guerra culturale genera prima o poi il mostro della guerra armata. L’attentato a Donald Trump è l’ultimo capitolo – quasi ovvio – della trasformazione dello scontro politico fondato sulle regole democratiche in scontro armato tra militanti delle fedi contrapposte: da una parte i cosiddetti “antifa”, con gli annessi e connessi delle esasperazioni controculturali volte a imporre singolari teorie e ad abbattere monumenti del passato, e, dall’altra, i tradizionalisti religiosi e laici protesi a difendere le loro credenze integraliste e il loro stile di vita fondato sull’America d’altri tempi, che rifiuta pluralismo e multiculturalismo. È una spaccatura anche geolocale.

In che senso?
I “metropolitani”, multiculturali, da un lato, e dall’altro i tradizionalisti dell’ovest e del sud. Su questo non c’è il minimo dubbio. Lo dicono anche le statistiche. In tutte le metropoli superiori ai 200mila abitanti, c’è una prevalenza molto netta dei democratici anche negli stati repubblicani. In tutti i sobborghi, anche degli stati di orientamento democratico, c’è una prevalenza repubblicana. L’America è ormai un Paese spaccato culturalmente, lacerato da una guerra culturale prim’ancora che politica.

A proposito di vicepresidenti, un problema che hanno anche i democratici. Lei, che dell’America politica è un profondo conoscitore, avrebbe un nome da suggerire a Biden?
Non faccio questo tipo di previsioni, mi pare un gioco un po’ inutile, anche perché se Biden rinuncia, forzosamente, in prima linea, in una successione naturale, c’è l’attuale sua vicepresidente, Kamala Harris. Se fosse messa da parte, si griderebbe allo scandalo da parte delle femministe, dai neri, da una certa subcultura dei gruppi identitari.

Le elezioni del Presidente di quella che resta, almeno sul piano militare, l’iperpotenza mondiale, non riguarda soltanto gli americani ma anche il resto del mondo, un mondo segnato dal disordine globale.
Se Trump fosse eletto, nessuno potrebbe dire cosa accadrà. Certamente le sue dichiarazioni negli anni sono tali da ribaltare completamente la politica internazionale dell’attuale amministrazione, e si ritorna nel solco dell’isolazionismo che poi ha rappresentato gran parte della storia americana, soprattutto negli anni 30 fino alla Seconda guerra mondiale, quando l’episodio di Pearl Harbor decise l’orientamento di un Paese che fino a quel momento era in tutt’altra direzione.

Questo riguarda le guerre in corso, dall’Ucraina al Medio Oriente?
Riguarda le guerre in corso ma soprattutto riguarda la visione del ruolo degli Stati Uniti nel mondo. Una visione ben diversa tra chi pensa che un’isola circondata da due oceani debba pensare a se stessa e chi, invece, ritiene che il suo ruolo dopo la Seconda guerra mondiale sia quello di essere alla guida di un blocco di paesi democratici, liberali, antiautoritari.

In ultimo. Lei, professor Teodori, è sempre stato molto attento, e su questo ha scritto libri importanti, sui mezzi di comunicazione e il loro impatto sulla politica. Non ritiene che l’accanimento mediatico, anche di grandi e prestigiosi giornali come il New York Times, il Washington Post ecc, rispetto al “rimbambimento” senile di Biden, sia un eccesso?
È un eccesso, forse perché c’è anche un eccesso nell’ostinazione di Biden. Penso che i grandi giornali liberal siano molto preoccupati di quello che accadrebbe con una vittoria trionfante di Trump. E questo spiega le cose. Peserà anche il fatto che, come dice Biden, l’élite democratica vuole disfarsi di un personaggio scomodo, risorto tante volte e che intende rifarlo anche adesso.

17 Luglio 2024

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