Il voto francese
Intervista a Marcelle Padovani: “Bardella automa di Le Pen, fermato dal buon senso, mai sottovalutare la democrazia
“Bisogna ammettere che stavolta Macron ci aveva visto giusto. Nonostante il divorzio sentimentale con il presidente, i francesi hanno scelto di relegare ai margini Bardella, ignorando il battage mediatico”
Interviste - di Umberto De Giovannangeli

“Un popolo ha difeso il valore più prezioso: quello della democrazia. È questo il bello del voto francese al secondo turno delle elezioni legislative. Una vittoria di popolo, che va oltre l’appartenenza partitica e gli orientamenti ideologici. Ed è un messaggio importante che la Francia lancia all’Europa e all’Italia”. Ad affermarlo è Marcelle Padovani, una delle più autorevoli giornaliste e saggiste francesi, storica corrispondente in Italia del Nouvel Observateur. Tra i suoi libri, ricordiamo Giovanni Falcone. Con Marcelle Padovani. Cose di cosa nostra (Bur Biblioteca Univ. Rizzoli), un libro che ha venduto 1,2 milioni di copie ed è una pietra miliare nella letteratura sulla mafia e chi l’ha combattuta; Mafia, mafie (Gremese Editore); Leonardo Sciascia. La Sicilia come metafora. Intervista di Marcelle Padovani (Arnoldo Mondadori editore) Les Dernières de la Mafia (Folio Actuel Inedit); Vivre avec terrorisme: le modèl italien (Calmann-Lèvy); La lunga marcia del Pci (Mursia).
La Francia ha tirato un sospiro di sollievo dopo il secondo turno delle elezioni legislative. Cosa c’è al fondo di questo “sospiro”?
Mi lasci dire, a premessa, che va dato merito a Macron di aver operato una scelta, quella dello scioglimento dell’Assemblea Nazionale dopo il voto alle europee e l’indizione immediata di elezioni legislative anticipate, che in molti, anche autorevoli analisti, avevano bollato come un azzardo se non addirittura come un suicidio politico. Macron è stato subissato da critiche feroci. Ma alla luce dei risultati del secondo turno, gli va riconosciuto, per onestà intellettuale, di aver visto giusto. Il suo è stato un azzardo vincente. È riuscito a fare del secondo, decisivo, turno elettorale, un referendum sulla Le Pen e il Rassemblement National dal quale la destra estrema è uscita sconfitta. Di questo dobbiamo rendere merito al tanto vituperato presidente. Questo non vuol dire che sia venuta meno, anzi, la diffidenza verso Macron. Il “divorzio sentimentale” dei francesi verso il presidente della Repubblica non è stato ricomposto. Ma la grande novità è che la grande maggioranza dei francesi è riuscita ad andare oltre questo “divorzio sentimentale” e al momento del voto decisivo, con il coltello alla gola, hanno votato altro e hanno dato alla Le Pen, che era accreditata della maggioranza assoluta o quantomeno relativo, neanche un terzo dei seggi. Ciò sembra dimostrare che l’attaccamento alla democrazia in Francia si è rivelato molto più forte di quanto si temeva non fosse più. Nonostante il battage pubblicitario mediatico verso Le Pen, cosa mai vista in precedenza, a prevalere è stato il buon senso. Rassicurante per la Francia e per l’Europa. Il sospiro di sollievo non è stato solo francese ma anche europeo.
Faceva riferimento ad una propaganda mai vista. In cosa è consistita?
Per la prima volta, tutti, ma proprio tutti, gli istituti di sondaggio, hanno sbagliato clamorosamente. E non hanno sbagliato di uno o due punti, di venti, trenta… Vuol dire che erano completamente sovra motivati nell’altro senso. Non si sono resi conto di questa volontà fondamentalmente democratica che in definitiva esiste. Si pensi alla pubblicità che è stata fatta alla Le Pen e a Mélenchon. Gli altri non esistevano, nelle Tv, sui giornali. C’erano le foto di Le Pen e di Bardella e poi, sul versante opposto, c’era quella di Mélenchon. I due populismi: quello di estrema destra e quello di estrema sinistra. I media hanno giocato molto su questo. C’è stato il fallimento dei sondaggisti: Ifop (Institut français d’opinion publique, ndr) e compagnia bella dovrebbero cominciare una seduta di autocritica molto forte. E poi ci sono i media che puntano sulla cosa più facile, più emotiva, più coinvolgente ma in modo superficiale. Stavolta c’è stato il popolo sovrano che li ha smentiti. Due cose positive sono avvenute: l’azzardo di Macron si è rivelato vincente, ed è stata clamorosamente smentita la facilità superficiale dei sondaggisti e dei media. Quello francese si è rivelato un popolo di elettori e non di tele o media dipendenti. Un popolo sovrano ha vinto.
Adesso c’è l’altra prova del nove: quella di dare alla Francia un governo stabile e capace di agire con una spinta riformatrice.
Nessuno ha la ricetta in tasca. Sono aperte tre opzioni: un governo minoritario di centro-sinistra, senza Mélenchon; un governo con Mélenchon, ma a questa ipotesi credo poco, e un governo tecnico. Non vedo altro. Non credo a un governo di destra moderata, con i macroniani che si distaccano dal Nuovo Fronte popolare, dopo gli accordi di desistenza nei ballottaggi, e si uniscono ai Républicains. Questa soluzione mi pare poco probabile, a differenza delle altre tre che restano sul tavolo, le più ragionevoli.
Ogni Paese ha una sua storia, il suo sistema elettorale, e sarebbe cosa buona e giusta evitare trasposizioni forzate e letture di bottega politica interna…
Assolutamente.
Ma c’è una lezione che il centrosinistra italiano dovrebbe trarre dal voto francese?
Da quello francese e da quello britannico. In tutti e due i casi, in contesti istituzionali completamente diversi da quello italiano, hanno vinto il pragmatismo e il riformismo, contro ogni delirio massimalista. Le pare poco? Per restare alla Francia, Le Pen e Mélenchon ne escono col fiato corto. Il voto ha confermato sia la validità dei laburisti britannici che del Fronte popolare francese. Credo che questa sia una lezione per tutta l’Europa, non solo per l’Italia. Una scelta di razionalità, di pragmatismo, di buon senso riformatore, è stata premiata. Il Fronte popolare senza France Insoumise sarebbe qualcosa di assolutamente accettabile anche per i moderati.
Quanto ha pesato sul voto francese una memoria storica. Una memoria antifascista?
Il problema è che l’antifascismo francese non è l’antifascismo italiano, che è stato veramente una resistenza di popolo. I francesi non l’hanno fatta questa guerra. Vichy è stata sconfitta dalle armate alleate più che dalla resistenza interna. Non credo francamente che la memoria a cui lei faceva riferimento abbia pesato granché. Hanno evocato Vichy e l’inizio della guerra, ma lo hanno fatto all’ultimo, non è stato un elemento decisivo della campagna elettorale contro l’estrema destra. La memoria e la storia hanno contato pochissimo. Forse, nonostante tutto, conta di più in Italia. L’Italia ha inventato il fascismo, nel 1922, è stata la prima ed è stata anche la prima a sconfiggerlo.
Le elezioni sono anche un momento in cui emergono sulla scena nuove figure, personalità politiche. Quali sono quelle che l’hanno sorpresa di più?
La più sorprende di tutte è stata Marine Tondelier, la leader dei Verdi. Una persona che parlava di ecologia senza eccessi, senza dare bastonate di qua o di là, con grande senso politico, cosa che agli ecologisti mancava. È andata oltre la testimonianza purista, dimostrando un grande senso politico che gli elettori hanno apprezzato e premiato. Un’altra persona che mi ha favorevolmente sorpreso è stato Gabriel Attal. Che fosse un politico competente, dalla formazione di prim’ordine, era risaputo, ma alla prova politicamente più dura, ha rivelato una personalità politica di spessore. Ha fatto capire che avrebbe voluto partecipare e avere voce in capitolo nelle decisioni di Macron, e adesso è lui che più di chiunque altro propone un governo di Fronte popolare, lui che è un macroniano. Io lo vedevo come un assistente di Macron. Ha dimostrato di non esserlo e di avere capacità politiche e autonomia che verranno utili nel futuro. In negativo, mi ha colpito quello che veniva dipinto dai media come l’enfant prodige della destra: Jordan Bardella. Mamma mia! Sembra un robot, uno che non ha né sentimenti né pensieri. Un vuoto inespressivo di chi ripete come mantra sempre le stesse analisi, gli stessi slogan del RN. Un automa spara selfie. Bardella non è il solito violento dell’estrema destra, lui è una personalità inesistente che si è messa al servizio della Le Pen che lo ha scelto proprio per la sua totale vacuità. Il disegno era chiaro: Bardella avrebbe fatto il primo ministro, non importa se mediocre, e dopo lei, Marine Le Pen, si sarebbe presentata nel 2027 come candidata senza alternative alle presidenziali. Oggi tutto questo è un po’ più complicato. A meno che, e questo sarebbe lo scenario più deleterio, l’estrema destra non riesca a scatenare il caos sociale, alimentare la rivolta delle banlieue e scegliere la violenza. Dall’estrema destra ci si può aspettare di tutto.
In chiave europea che ricadute immediate può avere il voto francese?
Rafforza la candidatura della von der Leyen per un secondo mandato alla guida della Commissione europea. Dà un po’ più peso ai tre gruppi – popolari, socialisti, liberali – che la sostengono. Con ogni probabilità, quando il 18 luglio ci sarà l’elezione della Commissione, lei verrà confermata con una buona maggioranza. Resta da vedere se Giorgia Meloni vorrà far parte di questa maggioranza, votando sì alla von der Leyen, o se sceglierà l’astensione con tutto ciò che ne conseguirà.