Torna al 41bis
Francesco Schiavone, il pentito “inutile”: “Sandokan” torna in carcere, stop alla collaborazione con i magistrati
Cronaca - di Redazione
La collaborazione di Francesco “Sandokan” Schiavone con i magistrati napoletani si è interrotta dopo pochi mesi. La Procura di Napoli ha infatti deciso di interrompere il percorso avviato lo scorso marzo dall’ex capo del clan dei Casalesi, la potente organizzazione criminale casertana.
Gli inquirenti, come riferisce l’Ansa, hanno ritenuto di dover revocare il programma di protezione per l’ex boss 70enne ritenendo che le dichiarazioni finora rilasciate da Schiavone non fossero utili. I pm anticamorra, coordinati dal procuratore Nicola Gratteri, hanno chiesto il via libera al Ministero della Giustizia, che ha quindi disposto per Schiavone il ritorno in carcere in regime di 41 bis.
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Le “rivelazioni” sostanzialmente promesse dall’ex boss in fase di “trattativa” per ottenere come contropartita il programma di protezione non si sono rivelate utili, secondo gli inquirenti.
Chi è Francesco ‘Sandokan’ Schiavone
Arrestato l’11 luglio del 1998, quando fu scovato in un bunker costruito all’interno di una abitazione al centro di Casal di Principe, in via Salerno, assieme con la moglie Giuseppina Nappa, le figlie e il cugino Mario, Francesco “Sandokan” Schiavone è stato condannato all’ergastolo nel processo Spartacus per diversi omicidi di camorra.
Nel 2018 il primogenito Nicola, che aveva assunto le redini del clan, era stato il primo degli Schiavone a collaborare con la giustizia, una scelta che era stata seguita dal fratello Walter nel 2021. Restano in carcere gli altri figli Emanuele Libero, che uscirà di cella ad agosto prossimo, e Carmine, mentre la moglie di Sandokan, Giuseppina Nappa, non è a Casal di Principe.
“Sandokan” iniziò la sua carriera criminale come autista e guardiaspalle di Umberto Ammaturo, venendo arrestato per la prima volta nel 1972, appena 18enne, per detenzione e porto abusivo di arma da fuoco. La sua scalata al vertice della criminalità organizzata la si deve ad Antonio Bardellino, storico capoclan contro il quale Schiavone si rivoltò assieme agli altri capi dei clan Casalesi, ottenendo per sé e l’alleato Iovine il controllo dell’organizzazione.
La collaborazione
Quando divenne nota la notizia della sua collaborazione con gli inquirenti napoletani, la speranza era quella di un “pentimento” che avrebbe potuto dare nuova linfa alle indagini di camorra ed in particolare su alcuni misteri irrisolti, a partire dall’omicidio in Brasile di Antonio Bardellino, il fondatore del clan dei Casalesi ucciso nel 1988 il cui corpo non fu mai ritrovato, oltre all’annosa questione dei rapporti tra politica e camorra.
Invece, come emerso chiaramente dopo soli tre mesi, per gli inquirenti quanto riferito da Schiavone non ha portato ad alcuna novità di interesse investigativo, spingendo così la Procura a chiedere lo stop al percorso di collaborazione.