Gli Usa danno l'ultimatum
Gaza: Hamas cattura 10 militari americani, Blinken tratta all’insaputa di Israele
Il dramma delle teste di cuoio americane catturate e prigioniere nei sotterranei di Gaza. Gli Usa dopo il fallimento danno l’ultimatum ad Haniyeh
Editoriali - di Marco Mancini
Per punti, alcune note di intelligence dal campo.
1) Il fatto più rilevante nello scenario di crisi mediorientale accaduto nelle ultime settimane è avvenuto circa dieci giorni fa a Gaza. Lo riveliamo qui, avendone avuto notizia da fonti coinvolte nell’evento. Una squadra delle forze speciali statunitensi, coordinata dall’intelligence, ha tentato un blitz a Gaza per liberare un gruppo di ostaggi israeliani. Missione fallita: 8-10 militari americani sono caduti in trappola e fatti a loro volta prigionieri da Hamas. Erano penetrati mascherandosi da convoglio di aiuti umanitari. Anthony Blinken, segretario di Stato di Biden, ha dato disposizione di riscattarli con una trattativa lampo, senza informare gli israeliani. Hamas ha respinto la proposta. Attacco, trattativa; un unico fiasco.
2) In nessun momento della vicenda, l’ala militare di Hamas ha coinvolto l’ala politica, totalmente fuori dai giochi, la cui impotenza negli ozi del Qatar ha fatto perdere la pazienza ai servizi segreti locali – i più efficienti del mondo arabo – che hanno distolto il miliardario Ismail Haniyeh dalla caccia con il falcone, intimandogli di andarsene da Doha con il suo entourage pena l’arresto. Haniyeh – sunnita – ha trovato accoglienza a Baghdad presso il governo sciita dell’Iraq, sotto controllo dell’Iran. L’ultimatum è stato posto dopo una visita lampo di Blinken all’emiro: o Haniyeh trova il modo di convincere ad accettare un accordo su ostaggi e scambio di prigionieri i due capi militari di Hamas (Yahya Sinwar, assistito dal fratello Mohammed, e Mohammed al Deif, nick name Abu Mohammed) o il Qatar – finora grande finanziatore dei palestinesi a Gaza – si allineerà con gli americani. I quali, dal canto loro, impediranno il trasferimento di risorse finanziarie dalle fondazioni arabe ai palestinesi.
3) Sinwar non intende accettare la restituzione di alcun ostaggio senza il ritiro permanente da Gaza dell’esercito israeliano e la liberazione di mille militanti palestinesi oggi nelle carceri di Israele. Tra essi duecento sono considerati terroristi di primo piano (eroi per Hamas). In particolare, Sinwar non è disposto a rinunciare alla liberazione di Abdullah Barghouti, l’ingegnere degli esplosivi su cui pesano 65 ergastoli, e di Marwan Barghouti (nessuna parentela tra i due), anch’egli ergastolano, leader carismatico.
4) Bibi Netanyahu sostiene di aver annientato Hamas di cui sopravvivrebbero solo frammenti. In realtà secondo informazione dall’interno dei tunnel, dei dodici battaglioni che componevano gli effettivi di Hamas a Gaza il 7 ottobre, ne sarebbero sopravvissuti otto, e le perdite ammonterebbero al 25/30 per cento dei miliziani (erano 40mila), in una certa parte rimpiazzati da sempre nuovi candidati al “martirio”.
5) A evidenziare la resistenza di Hamas è l’invisibilità dei corpi delle migliaia di caduti nelle sue file. Ci sono pochissime immagini che mostrino cadaveri di miliziani armati. Sono recuperati, seppelliti, e questo suppone una struttura logistica e uno stato mentale dei miliziani lontani dal tracollo.
6) Gli ostaggi israeliani ancora vivi sono 62. Di essi 37 sono tenuti separati e protetti, in quanto considerati particolarmente preziosi come detentori di notizie riservate (militari e intelligence). Sono gruppi in continuo movimento nella Gaza sotterranea, affidati ad aguzzini di altre formazioni della costellazione jihadista. Finora gli ostaggi liberati manu militari da Israele sono stati quattro, ma erano i soli custoditi in una abitazione privata fuori dai tunnel, che sono ritenuti inespugnabili essendo la loro rete sviluppata per 800 km e profonda fino a 80/100 metri. Per dimostrane l’inviolabilità si cita il caso del caporal maggiore Gilad Shalit, prigioniero in questi sotterranei per cinque anni (dal 2006 al 2011) e liberato poi in cambio di 1027 detenuti palestinesi.
7) Ad al Diahieh, Beirut Sud, quartier generale di Hezbollah, l’ordine del leader Hassan Nasrallah è quello di evitare la guerra totale con Israele. Per questo ci sono stati e continuano gli incontri con emissari americani. Finora i combattenti di Hezbollah eliminati dagli attacchi israeliani sono circa mille. L’Iran, che ha acquartierato in questa zona del Libano 15mila guardie della rivoluzione, non vuole l’allargamento del conflitto. Intanto ha comunque provveduto al rifornimento di droni di ultima tecnologia e razzi in quantità tali da ritenerli capaci di superare le barriere antimissile. Come a Gaza, anche ad al Diahieh, ai numerosi palazzi di sei, sette piani, corrispondono edifici sotterranei simmetrici comunicanti, dove alloggiano e si esercitano circa 30 mila miliziani.
8) Hamas è molto più che una organizzazione terroristica, è un’ideologia del profondo. Ammesso e non concesso – visti i risultati sul campo – che sia possibile una vittoria totale, tale da spazzare via da Sinwar fino all’ultima recluta, paradossalmente ne sarebbe alimentato il mito e la volontà di emularne il martirio. Gli attacchi in risposta all’orrore del 7 ottobre e i bombardamenti e la spietatezza del trattamento riservato ai civili, con il disastro umanitario connesso, alimentano il virus di Hamas o di analoghe entità votate alla distruzione di Israele e all’”antisemitismo musulmano” (Benny Morris).
9) Davanti all’insolubilità nei tempi brevi della questione, la strada per salvare gli ostaggi ed evitare nuove stragi è quella di una trattativa, tralasciando interlocutori che promettono e non contano, e arrivando direttamente a un dialogo con Sinwar. Ci sono opposizioni morali a questo? O piuttosto manca a livello di diplomazia segreta chi è capace di farlo? Provarci, sarebbe un dovere.