Le nomine europee

Commissario europeo italiano: spiraglio per Enrico Letta anche se Tajani spinge per Meloni in maggioranza

Il vero problema a Bruxelles si chiama Meloni, socialisti e liberali vorrebbero che restasse all’opposizione. Ma, in un’Europa che vira a destra, i popolari non ci stanno a passare per centristi sbilanciati sul fronte opposto

Politica - di David Romoli

18 Giugno 2024 alle 14:00 - Ultimo agg. 18 Giugno 2024 alle 14:08

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Commissario europeo italiano: spiraglio per Enrico Letta anche se Tajani spinge per Meloni in maggioranza

Quando esce dal vertice del Ppe a Bruxelles, forse il più importante tra la miriade di incontri e summit che preparano la cena a 27 apparecchiata per le 18, il mite Tajani tutto sembra tranne che mite. Si incarica di rispondere ai socialisti che insistono per un cordone sanitario che sbatta nell’angolo Ecr, il gruppo dei Conservatori di cui Meloni è presidente: “Non si possono tenere i Conservatori fuori dalla porta. Non ci si può chiudere in una maggioranza a tre”. In effetti i Socialisti non vogliono chiudersi ma allargare ai Verdi. Macché: “Non possiamo fare concessioni ai Verdi. Siamo per una lotta al cambiamento climatico non fondamentalista ma pragmatica”. Senza i Verdi l’elezione di Ursula von der Leyen il 18 luglio a Strasburgo, quando il Parlamento voterà sul nome indicato dal Consiglio il 25 e 26 giugno, sarebbe molto a rischio: tanto più servono i Conservatori, o almeno quella trentina di voti che da lì arriverebbero.

Tajani parla come vicepremier italiano, come quando reclama “una vicepresidenza e un portafoglio di grande importanza”, o come alto esponente del Ppe? Più la seconda che la prima ipotesi e non solo perché il ministro esterna all’uscita del vertice del Ppe. Quella è davvero l’opzione sulla quale puntano i popolari. L’assemblea ha riconfermato le candidature von der Leyen per la Commissione e Metsola per la presidenza del Parlamento, però non limitata a due anni e mezzo come vorrebbe la regola della staffetta con socialisti. Su quei due nomi gli ostacoli sono quasi inesistenti, sul mandato per l’intera legislatura sono invece quasi invalicabili. Sul nome di Kaja Kallas, prima ministra lettone, come Alto rappresentante per la politica estera, il Ppe è pronto al semaforo verde. Il posto spetta ai Liberali, terzo gruppo per importanza.

Kallas è criticata per la tendenza a occuparsi solo di Russia e Ucraina, il via libera dei popolari è dunque subordinato al fatto che “tenga conto anche del Medio Oriente del Sud Europa”, ma non è certo un ostacolo inaggirabile. I popolari storcono invece il naso per la presidenza del Consiglio europeo all’ex premier portoghese Antonio Costa. La poltrona in questione spetta ai socialisti ma Costa è apertamente considerato tiepido nell’appoggio a Kiev ma anche, pur senza confessarlo, un po’ troppo di sinistra. Tajani confessa “qualche perplessità” del suo gruppo, il che lascia aperto uno spiraglio ad altre candidature sempre targate Pse, come quella di Enrico Letta, ma esclude rinvii. Lui sarebbe stato anche favorevole a posticipare sino a dopo le elezioni francesi e ci ha anche provato nel weekend. Ma Ursula ha fretta, vuole battere il ferro ora che è caldo: di corsa verso la definizione delle candidature a cena.

Il vero problema a Bruxelles si chiama Giorgia Meloni. I socialisti e i liberali vorrebbero che se ne restasse all’opposizione, un’ “intoccabile” proprio come Marine Le Pen e i seminazisti di AfD. I popolari, come Tajani esplicita, sono di parere opposto: hanno bisogno di quei voti per andare sul sicuro ma non c’è solo questo. In un’Europa che piega a destra non intendono passare per centristi sbilanciati sul versante opposto. Secondo la denuncia del sito italiano Politico.eu la presidente ricandidata Ursula avrebbe anche rallentato l’approvazione di un report critico sullo stato della libertà di stampa in Italia per non contrariare Meloni. Difficile dire se sia vero ma certo non è inverosimile, data l’importanza che il sostegno di FdI ha per i Popolari ma per la candidata molto più direttamente che per gli altri. La discussione e il braccio di ferro sono difficilmente comprensibili dal momento che nessuno può impedire a Meloni di pronunciarsi a favore di von der Leyen o a un drappello di parlamentari Ecr di votarla, tanto più che il voto del 18 luglio sarà segreto. Quanto a sbandierare un’alleanza stabile con i socialisti, la Conservatrice è tanto contraria quanto gli stessi socialisti. Giurerà che il voto per la presidenza è tutt’altra cosa.

L’intera partita contro la premier si gioca dunque sul negare all’Italia quel che Tajani chiede, commissario di gran peso e vicepresidenza. I posti a disposizione non sono moltissimi: con l’Alto commissariato di spettanza liberale per Elisabetta Belloni ci sarebbe la Difesa. Tra i ministeri economici Concorrenza ed Economia sono fuori gioco, resterebbe però la Coesione che è una postazione strategica e preziosa per la distribuzione di fondi, con papabili il ministro Fitto, se Meloni accetterà di sguarnire il Pnrr, Gentiloni e forse addirittura l’ex ministro dell’Economia di Draghi Daniele Franco. Per metterla nell’angolo, missione difficile dopo il successo personale incassato al G7 e con l’assicurazione rappresentata dall’atlantismo d’acciaio, l’unica sarà mettere in discussione la fede europeista. Anche per questo, inevitabilmente, passati i sei mesi dalla mancata ratifica della riforma del Mes necessari per riparlarne, la faccenda tornerà in primo piano. Spinta anche dalle nuvole che si sono tornate ad addensare sui mercato dopo le elezioni europee ma soprattutto con l’obiettivo di costringere Meloni a scegliere tra una rottura con la destra europea, inclusa parte del suo stesso gruppo, o l’esporsi all’accusa di essere un’antieuropeista travestita da relegare ai margini.

18 Giugno 2024

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