Tel Aviv al bivio
Cosa succede a Israele: la rivolta contro la folle guerra di Netanyahu
L’appello dello scrittore al popolo di Israele: “coraggio, è ora di combattere. Di combattere per la pace”. L’analisi terrificante di Arie Pellman, ex vicedirettore dei servizi segreti di Tel Aviv
Esteri - di Umberto De Giovannangeli
Coraggio, Israele, è ora di combattere. Combattere per la pace. Combattere contro il peggiore governo della tua storia. È la “preghiera” laica che un grande scrittore israeliano ha rivolto alla moltitudine di manifestanti riunitisi sabato sera, alla fine di Shabbat, a Tel Aviv. Coraggio, Israele. “Combatti nelle strade”, senza armi ma forte della volontà di voltare pagina. David Grossman, critico da lungo tempo nei confronti del primo ministro Benjamin Netanyahu e del suo governo, come scrive il Times of Israel, ha lanciato l’appello in una poesia letta alle migliaia di partecipanti alla manifestazione in Kaplan Street: “Ora è il momento di combattere, uomini, donne”. La poesia recita: “È il momento di combattere, uomini e donne. È il momento di uscire nelle strade e nelle vie. E c’è qualcuno e qualcosa per cui combattere, perché un dono come questo non lo riceveremo mai più, e non vedremo mai più un Paese superare una disputa. E c’è qualcuno per cui combattere, tutto ora dipende da voi. Ora è il momento di sollevarsi, di vivere, di essere per il popolo o di cessare di esserlo, di essere una persona o di cessare di esserlo – e c’è qualcuno, e c’è qualcosa, e tutto è in bilico”.
L’Israele che combatte per la pace ha il volto di Yoni Levy, il padre di Naama Levy, la soldatessa israeliana nelle mani di Hamas dall’attacco del 7ottobre e che sabato scorso ha compiuto 20 anni. Yoni Levy è intervenuto alla protesta antigovernativa a Tel Aviv. “Sto immaginando esattamente cosa faresti oggi”, dice rivolgendosi alla figlia. “Avremmo preparato un tavolo pieno di caramelle, palloncini e regali per te, come facciamo ogni anno. Come avrebbe potuto essere felice questo giorno. Invece sei lì, al buio, da 260 giorni. Quest’anno le caramelle non hanno sapore e non c’è voglia di regali”, ha aggiunto. Rivolgendosi poi al premier Benjamin Netanyahu, Yoni Levy l’ha invitato ad “amare mia figlia e a prendersi cura di lei e di tutti gli ostaggi, così come ama e si prende cura di se stesso. Riportate la ragazza a casa da me”, ha detto. L’Israele che non si arrende alla deriva bellicista, ha anche il volto, la fierezza, della madre di un ostaggio israeliano. La donna ha preso la parola nella manifestazione di Tel Aviv: “Netanyahu – ha scandito con la voce rotta dal pianto ma determinata come solo può esserlo una madre che lotta per la vita del figlio – mi assicurerò personalmente che tu venga giudicato per ogni ostaggio entrato a Gaza vivo e lasciato morire”.
L’ex ostaggio Ilana Gritzewsky ha affermato: “Il mio corpo è qui, ma la mia anima è ancora lì. Ne ho abbastanza! Mi sento tradita dal governo. Nessuno si è preso la briga di chiamarmi e chiedermi come sto. Netanyahu ha detto che le proteste rendono Hamas più forte, ma in realtà danneggiano lo stesso Netanyahu”. Dani Elgarat, fratello del prigioniero Itzik Elgarat, ha accusato Netanyahu a Tel Aviv di anteporre la sua sopravvivenza politica e il suo guadagno personale alla vita dei 116 ostaggi. “Scegli di sacrificare la vita dei nostri cari per la tua sopravvivenza politica. Presto, ci conoscerai tutti perché tutti diventeremo famiglie in lutto per gli ostaggi”, ha detto Elgarat, riporta il quotidiano Haaretz, riferendosi al recente incontro che il primo ministro ha avuto con alcune famiglie. Yifat Caldero’n, cugina dell’ostaggio Ofer Caldero’n, 53 anni, si è chiesta come sia possibile che il governo israeliano ritenga plausibile dichiarare la sconfitta militare di Hamas nelle prossime settimane, se gli ostaggi sono ancora prigionieri. Arie Pellman è stato vicedirettore del servizio di sicurezza Shin Bet e attualmente è membro di Commanders for Israel’s Security. Non è un pacifista, ma non le manda a dire. E inchioda l’avventurismo bellicista della destra messianica e ultranazionalista.
Scrive Pellman sul quotidiano progressista di Tel Aviv: “ La destra estremista e messianica ha un unico obiettivo dichiarato, che non nasconde: realizzare la promessa divina di sovranità sull’intera Terra d’Israele, indipendentemente dai risultati dell’annessione di milioni di palestinesi. A loro avviso, poiché la strada maestra dell’annessione totale attraverso una legislazione celebrativa è stata bloccata, il caos sul terreno e una realtà sanguinosa possono essere una via di fuga verso l’annessione unilaterale della Cisgiordania.[…] In un momento in cui gli israeliani sono (giustamente) concentrati sulla lotta contro la distruzione della democrazia israeliana, la minaccia alla visione sionista rappresentata dagli estremisti messianici che controllano la politica in Cisgiordania sta diventando realtà. Il ritmo degli eventi non consente di affrontare queste due minacce in sequenza. È essenziale fermare gli annessionisti irresponsabili prima che ci costringano tutti a una realtà violenta dalla quale non c’è via d’uscita. Non solo Gaza, dunque. Netanyahu, Smotrich e i loro colleghi stanno annettendo la Cisgiordania proprio ora. Stanno istituendo l’apartheid e distruggendo la soluzione dei due Stati. E se ci riusciranno, Israele cesserà di esistere come Paese democratico”. È il possente j’accuse che conclude un editoriale di Haaretz.
I manifestanti antigovernativi hanno chiesto al sindacato dei lavoratori israeliano, Histadrut, di dichiarare uno sciopero generale fino a quando non verrà fissata una data per le nuove elezioni.
Combattere per la pace per scongiurare un’altra e ancor più devastante guerra: quella in Libano. A evocarla è lo stesso Netanyahu: “La fase più intensa della guerra a Rafah sta per terminare. Avremo poi la possibilità di spostare parte delle forze a nord e lo faremo. Prima e soprattutto a scopo difensivo e in seconda battuta per riportare gli sfollati alle loro case”, ha affermato il premier israeliano in una intervista a Channel 14, riferendosi alla battaglia contro Hezbollah. Una volta completata la fase più intensa delle operazioni a Rafah quindi, “affronteremo il nord. Faremo il necessario. Posso garantire agli israeliani che se sarà necessario impegnarsi in questa sfida, lo faremo. Siamo in grado di combattere su diversi fronti e ci stiamo preparando a farlo”, ha aggiunto. “La consegna degli aiuti a Gaza è impossibile: nulla entra e una parte degli aiuti marcirà presto, sarà perso. E anche quel poco che entra non può essere distribuito, perché la società civile è stata distrutta. Il piano Biden non viene attuato, per mancanza di sostegno da entrambi i lati”. Lo ha detto l’alto rappresentante Ue Josep Borrell tratteggiando uno scenario tragico sul terreno. “Questo weekend è stato tra i più sanguinosi dall’inizio del conflitto e il rischio di un contagio nel sud del Libano è ogni giorno sempre più grande”, ha messo in guardia.
“Un’ulteriore escalation” dello scontro tra Israele e Hezbollah sarebbe una “catastrofe” per l’intero Medio Oriente, gli fa eco la ministra degli Esteri tedesca, Annalena Baerbock, attesa in visita nello Stato ebraico e successivamente in Cisgiordania e in Libano. Ma, ormai è cosa risaputa, gli ammonimenti europei fanno il solletico a Netanyahu. Diverso è il discorso sul versante americano. La prospettiva di un conflitto aperto con Hezbollah preoccupa molto gli Stati Uniti, principale alleato di Israele. Il capo di Stato maggiore Charles Brown ha spiegato che gli Usa non saranno in grado di aiutare Israele a difendersi con la stessa efficacia con cui lo avevano fatto durante l’attacco iraniano di aprile, e ha ribadito che Washington continua a sconsigliare a Israele l’apertura di un fronte con un intervento nel Sud del Libano. L’alto rischio di sostegno diretto di Teheran e la contiguità geografica tra Libano e Israele – ha spiegato il generale Brown –stavolta renderebbero molto più difficile per gli Usa sostenere Israele.