Il caso della magistrata
Pm molestata, la Cassazione smentisce il Csm e annulla la condanna di Sinatra
La magistrata era stata sanzionata per comportamento scorretto nei confronti dell’ex procuratore di Firenze Creazzo, in corsa per la procura di Roma, dal quale venne molestata al rientro in albergo dopo un convegno. Non aveva denunciato l’abuso ma si era sfogata con Palamara. Le chat erano diventate pubbliche in seguito allo scandalo nomine
Giustizia - di Paolo Comi
Non si può parificare lo sfogo di una magistrata, peraltro abusata sessualmente, con un amico e collega ad un tentativo di interferire sulle nomine del Consiglio superiore della magistratura.
A distanza di un anno le Sezioni unite civili della Cassazione hanno fatto dunque giustizia della surreale condanna disciplinare della pm antimafia palermitana Alessia Sinatra. La magistrata era stata sanzionata dal Csm a guida Fabio Pinelli, relatrice l’avvocatessa siciliana Rosanna Natoli (Fd’I), per avere tenuto un “comportamento gravemente scorretto” nei confronti dell’allora procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo che stava concorrendo per il posto di capo della Procura di Roma. Per il Csm si sarebbe trattato di “una sorta di anelata e privatissima rivincita esclusivamente morale”.
La triste vicenda ebbe inizio a dicembre del 2015 quando la pm, trovandosi a Roma per un convegno insieme a Creazzo, venne molestata sessualmente da quest’ultimo rientrando in albergo.
Per evitare il discredito fra i colleghi, la magistrata aveva preferito non denunciare l’accaduto, limitandosi ad avvertire gli amici più stretti, fra cui Luca Palamara. Negli anni il suo odio e rancore nei confronti di Creazzo, che apparteneva alla stessa corrente di Unicost, era però cresciuto a dismisura, al punto da non perdere occasione per sfogarsi. A maggio del 2019, alla vigilia della nomina del procuratore di Roma, Sinatra era andata su tutte le furie e si era scatenata con Palamara in lunghissima chat in cui Creazzo era definito senza molti giri di parole “porco”. Esploso il Palamaragate le chat contenute nel cellulare dell’ex presidente dell’Anm divennero di pubblico dominio. Con tutte le conseguenza del caso. “La mia sofferenza voleva e doveva restare privata. Desidero soltanto un po’ di rispetto ed il silenzio”, disse allora la magistrata riferendosi alla decisione che comunicazioni riservate fossero state utilizzate per delle contestazioni disciplinari a suo carico.
“La perpetuazione della rilevanza delle interlocuzioni con Palamara che non è più un magistrato da tempo ed appartiene al passato hanno colpito non soltanto una delle donne magistrato più stimate ed integerrime d’Italia, ma hanno sconvolto l’assetto ordinato e rispettoso fra generi nell’ordine giudiziario”, commentò il professore Mario Serio, difensore della pm. “E’ una sentenza – aggiunse Serio – che si ispira al conformismo ma al tempo stesso reclama una risposta alta e solidale della ormai maggioritaria componente femminile della magistratura a difesa della dignità fisica violata che è stata sacrificata sull’alare delle sanzioni riguardanti conversazioni risalenti ad anni addietro e ormai totalmente prive di disvalore”.
Fra le reazioni politiche dell’epoca, la più efficace fu quella del deputato di Azione Enrico Costa: “Un disciplinare che per anni è stato un vero colabrodo, che ha perdonato quintali di messaggi di “autopromozione”, colpisce chi non ha chiesto di fare carriera, ma si è sfogata per essere stata molestata, avendo tutte le ragioni per farlo”. Adesso il Csm dovrà sottoporre la magistrata ad un nuovo giudizio disciplinare. “Peraltro – scrive la Cassazione motivando l’annullamento della condanna – dagli atti del procedimento è emerso che la condotta abusiva di cui la dottoressa Sinatra era stata vittima aveva determinato effetti che permanevano nel tempo come crisi di ansia e attacchi di panico in situazioni legate alla rievocazione di quell’evento”, proprio perché era stata tradito un rapporto che lei riteneva essere di “amicizia oltre che di colleganza”.