Le rivelazioni del giudice
Palamara, il giudice Zanon: “La Consulta ha tradito la Carta per aiutare il Csm”
“Non possiamo smentire il Csm”, ha dichiarato Zanon, descrivendo così il tenore dei colloqui in quel periodo fra i giudici costituzionali e che la dice lunga sui rapporti fra i poteri dello Stato.
Giustizia - di Paolo Comi
“Noi non possiamo dare ragione alla Camera: c’è il rischio che tutti i processi disciplinari imbastiti dal Csm finiscano in un nulla di fatto”. Sarebbe stato questo, la scorsa primavera, il ‘sentiment’ dominante alla Corte Costituzionale quando si trattò di esaminare il ricorso della Sezione disciplinare di Palazzo dei Marescialli contro la decisione di Montecitorio di negare l’autorizzazione all’utilizzo delle intercettazioni, effettuate con il trojan inserito nel cellulare di Luca Palamara, nei confronti del giudice Cosimo Ferri.
L’indiscrezione è stata fatta l’altro giorno dal professore Nicolò Zanon, fino alla scorsa settimana giudice della Corte Costituzionale in quota centrodestra, durante la presentazione a Milano del libro di Alessandro Barbano La Gogna. Hotel Champagne, la notte della giustizia italiana.
“Non possiamo smentire il Csm”, ha aggiunto Zanon, descrivendo così il tenore dei colloqui in quel periodo fra i giudici costituzionali e che la dice lunga sui rapporti fra i poteri dello Stato.
La Consulta, infatti, con una decisione che destò grandissimo sconcerto fra tutti gli operatori del diritto, aveva accolto il ricorso della Sezione disciplinare del Csm avverso la decisione della Camera di negare l’autorizzazione all’utilizzo delle intercettazioni, effettuate con il trojan inserito nel cellulare dell’ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati, nei confronti di Ferri, all’epoca deputato di Italia Viva.
Il magistrato era stato intercettato ‘indirettamente’ la sera del 9 maggio 2019 in occasione di un incontro presso l’hotel Champagne di Roma con Palamara, allora indagato dalla Procura di Perugia per corruzione, insieme a cinque togati del Csm e al deputato del Pd Luca Lotti, mentre discuteva della nomina del nuovo procuratore di Roma all’indomani del pensionamento di Giuseppe Pignatone.
La Camera, a gennaio del 2022, con il voto di tutti i partiti tranne il M5s, aveva negato l’autorizzazione al Csm, che stava processando disciplinarmente Ferri per quell’incontro, di poter utilizzare tali ascolti come fonte di prova.
Il relatore della decisione, il professore di diritto costituzionale Franco Modugno, uno dei massimi esperti della materia, al momento della stesura del provvedimento era stato però sostituito a ‘sorpresa’ dal giudice Stefano Petitti, esponente di Magistratura democratica, la corrente di sinistra che maggiormente aveva spinto per le dimissioni dei cinque togati che si erano incontrati con Ferri, Lotti e Palamara.
E di Magistratura democratica era anche Enzo Vincenti, il giudice delle Sezioni unite civili della Cassazione che nel 2021 aveva confermato la sentenza del Csm con la quale era stata disposta la radiazione di Palamara dalla magistratura per quella vicenda e che potrebbe rientrare in servizio se gli ascolti fossero ritenuti inutilizzabili.
“Si capiva bene che la posta in gioco era la Procura di Roma e che le intercettazioni effettuate dal Gico della guardia di finanza avevano lo scopo di capire i rapporti fra Palamara e Ferri”, ha quindi aggiunto Zanon.
La Consulta, di fatto smentendo una sua precedente decisione che riguardava Matteo Renzi e per non ’scontentare’ il Csm, aveva pertanto affermato che se un parlamentare non è indagato e non diventa poi indagato, persona offesa o testimone in un procedimento penale, come nel caso Ferri, allora poteva essere tranquillamente intercettato. Alla faccia dell’articolo 68 della Costituzione.
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Gentile direttore,
mi riferisco all’articolo apparso in data 16 dicembre sul Quotidiano da lei diretto, intitolato “Palamara, il giudice Zanon: La Consulta ha tradito la carta per aiutare il Csm”, e relativo ad alcuni miei ragionamenti svolti in occasione della presentazione, tenutasi di recente a Milano, del libro La Gogna di Alessandro Barbano.
Vorrei precisare di non aver mai parlato di “pressioni” sulla Corte costituzionale né, tanto meno, di illeciti commessi da chicchessia. Mi dispiace molto che un dibattito di natura culturale e civile, nel quale ho avuto modo di auspicare (cosa ampiamente nota) la necessità che la Corte consenta anche l’espressione di opinioni dissenzienti, finisca per ingenerare ricostruzioni che danneggiano l’istituzione cui ho dedicato nove anni del mio lavoro.
Con viva cordialità
Nicolò Zanon