Il bilancio del G7
Passerella di Meloni al G7: e intanto la premier mette nel mirino la von der Leyen
Ursula von der Leyen e il Ppe sembravano sino a ieri decisi a chiudere tutto lunedì prossimo, nella cena dei 27 capi di governo della Ue a Bruxelles. Un colpo di freno, a sorpresa, è arrivato invece da Tajani
Politica - di David Romoli
Il G7 è una passerella. Nessuno si aspetta che ne vengano fuori decisioni storiche, anche se proprio di “una svolta della storia come ne capita una ogni sei o sette generazioni” parla il presidente Biden a proposito della Pgii, Partnership for Global Infrastructure and Investment, il progetto che prevede stanziamento massiccio di fondi dei Paesi G7 a favore di quelli “in via di sviluppo” e in particolare per l’Africa. Biden, ieri, ha disertato all’ultimo momento la cena offerta dal presidente Mattarella. “Non ne farei un caso”, cerca di frenare l’inevitabile ondata di sospetti la portavoce della Casa Bianca. Il presidente sarebbe solo “affaticato” per i troppi impegni ma qualche dubbio permane. E’ l’Africa in tema centrale della sessione ed è musica per le orecchie di Giorgia Meloni che può rivendicare l’aver indicato quella rotta tra i primi.
Infatti rivendica e rincara: “Il Piano Mattei, con il Global Gateway della Ue e il Pgii, è uno dei tre pilastri della nostra strategia per l’Africa. Per troppo tempo l’Africa è stata sfruttata e guardata dall’alto”. L’amica e alleata von der Leyen duetta, come del resto fa da quasi un anno e mezzo: “Vogliamo una partnership reciprocamente vantaggiosa con l’Africa”. Persino le parole sono identiche a quelle che adopera abitualmente la premier italiana, con la quale si complimenta persino Scholz. Quanto di tutto questo possa andare oltre le buone intenzioni, gli stanziamenti semi caritatevoli e l’indicazione di massima si vedrà. Ma sul red carpet di Borgo Ignazia questioni d’immagine come una visione sostanzialmente omogenea a quella sbandierata sin dall’inizio da Giorgia Meloni, o come i ringraziamenti sentiti di Zelensky, che ieri ha incontrato la premier italiana e che ha incassato la devoluzione a sostegno di Kiev degli extraprofitti russi , hanno il loro peso. Il quadro estero continua a essere quello sul quale Giorgia miete davvero qualche successo, a differenza di quello interno dove invece segna il passo.
Quanto FdI ci tenga a confermare quella smagliante immagine, del resto, è evidenziato dalla paranoia con la quale il partito tricolore guarda a fattacci come le botte di Montecitorio o la effettivamente un po’ surreale querelle sull’aborto (risolta con una classica situazione diplomatica, cioè senza parlarne apertamente ma facendo riferimento preciso agli “impegni di Hiroshima” che invece erano del tutto espliciti). Nel primo caso i Fratelli sono convinti che la Lega cerchi la provocazione al solo scopo di guastare la festa del G7. Nel secondo che si sia trattato di “una montatura della sinistra scioltasi come neve al sole”. Sempre con l’obiettivo di rovinare il G7 di Giorgia. I dividendi d’immagine che l’italiana ha senza dubbio incassato ieri le saranno utili sulla partita che in questo momento la interessa di più e che dovrebbe concludersi a giorni, quella dei nuovi vertici delle istituzioni europee e in particolare della Commissione. Urusla von der Leyen e il Ppe sembravano sino a ieri decisi a chiudere tutto lunedì prossimo, nella cena dei 27 capi di governo della Ue a Bruxelles.
Un colpo di freno, a sorpresa, è arrivato ieri da Antonio Tajani, che ha voce in capitolo due volte, come esponente di spicco del Ppe e come vicepremier del terzo governo dell’Unione per importanza, l’unico tra quelli principali nel quale sia presente il partito più forte sia nel Parlamento europeo che nel Consiglio europeo, appunto il Ppe. “Sarebbe meglio aspettare le elezioni francesi prima di arrivare a un accordo”, dice il vicepremier. Altrimenti “potrebbe essere una forzatura e comunque i tempi sono molto stretti”. L’obiettivo di Tajani non è chiaro. Ufficialmente insiste per la maggioranza impossibile, quella Popolari-Conservatori-Liberali. Chiude le porte a Le Pen, anche se vorrebbe la Lega in quella maggioranza-miraggio. Di fatto rinviare per Ursula sarebbe probabilmente un guaio. In questo momento né Macron né Scholz hanno la forza per bloccare la sua indicazione da parte del Consiglio. Dopo le elezioni francesi, chissà. Per quanto riguarda l’Italia, però, i giochi sono più o meno fatti.
FdI, salvo incidenti pur sempre possibili, voterà per la ripresidenza von der Leyen, senza per questo entrare in una fantomatica “maggioranza” che in realtà a Strasburgo non esiste e insisterà per la presidenza di una commissione economica, come il Commercio o l’Industria, quasi certamente designando un non ministro come Cingolani, anche se non sono ancora escluse altre ipotesi: la partenza per la Ue di Fitto, dato e non concesso che la premier sia disposta a privarsi del responsabile di un fronte chiave come il Pnrr, o l’indicazione di Elisabetta Belloni agli Esteri, nell’improbabile ipotesi che la premier preferisca una commissione di gran prestigio e funzionale alla sua immagine in politica estera ma priva di fondi. A tagliarsi fuori da solo dalla corsa è proprio Tajani, il cui nome era invece circolato ampiamente negli ultimi giorni: “La mia esperienza è più utile in Italia”. Ma un altro nome italiano, anzi altri due, restano in ballo, non per la commissione ma per la presidenza del Consiglio europeo. Uno è quello eterno di Mario Draghi. L’altro quello di Enrico Letta. Negli elenchi dei bookmakers viene dopo la testa di serie, il portoghese Costa, che però è considerato “troppo sbilanciato a sinistra”. Un sospetto che certo non grava sulla testa di Letta.