Il sì del Cdm
Ecco perché la riforma della giustizia non si farà mai
Non si capisce perché sia fermo nei cassetti del Parlamento un disegno di riforma praticamente identico a quello presentato ieri al Consiglio dei ministri. È fermo da due anni.
Editoriali - di Piero Sansonetti
Il Consiglio dei ministri ha varato una riforma molto importante. Riguarda la giustizia. È una riforma radicale. Da anni, anzi da sempre, non succedeva una cosa del genere.
Nessun consiglio dei ministri era mai riuscito a votare una riforma radicale, anche se parziale, della giustizia. I governi che ci si erano avvicinati a questo traguardo erano rapidamente caduti. Di solito abbattuti da una raffica di avvisi di garanzia sparata ad altezza d’uomo.
Stavolta il governo ha detto sì a una riforma che prevede la separazione delle carriere dei magistrati – cioè la separazione tra chi accusa e chi giudica, in applicazione, finalmente, dell’articolo 111 della Costituzione – e prevede anche il sorteggio per la nomina dei consiglieri del Csm (che, in virtù della separazione, diventano due: uno per i Pm, uno diverso per i giudici), e infine istituisce un nuovo organismo, almeno in parte indipendente, che dovrà giudicare i magistrati.
Qual è il limite più importante di questa riforma? Che è una finta. Già: non c’è nessuna possibilità che proceda ed entri in vigore. È una splendida promessa che probabilmente avrà un peso sui risultati elettorali.
Perché oggi – se dio vuole – a differenza di qualche anno fa, nell’opinione pubblica è abbastanza diffusa l’idea che la magistratura goda di un potere esagerato e incontrollato, che danneggia la convivenza, minaccia i cittadini e riduce il grado di libertà del nostro paese.
Perciò, soprattutto l’annuncio della separazione delle carriere – osteggiatissima dalle Procure – probabilmente porterà voti. Naturalmente la reazione dell’Anm (cioè del sindacato dei magistrati) a questo annuncio è stata feroce e sbigottita.
Devo dire la verità: io ho la sensazione che sia in atto un vero gioco delle parti. Il governo annuncia una riforma che spezza la catena del potere delle Procure – o almeno attutisce questo potere – le Procure protestano, scioperano, gridano, invadono i talk show e scatenano i loro giornali (non solo “Il Fatto”, anche i fiancheggiatori), e a quel punto il governo frena, media, tratta, e alla fine non se ne fa niente.
Scommettete che andrà così?
Del resto Giorgia Meloni ha già annunciato le priorità. Prima – ha detto – si fa la riforma del premierato, poi l’autonomia differenziata e poi la riforma della giustizia.
Ora voi capite che la riforma del premierato, se si farà, richiede un tempo molto lungo. E il superamento di molti contrasti anche all’interno della maggioranza, e dell’ostilità del Presidente della Repubblica.
E a quel punto si dovrà entrare nel campo minato dell’autonomia differenziata, che in sostanza è una riforma che piace solo a Salvini, e in una situazione di probabile turbolenza politica, e forse di sfilacciamento della maggioranza, ha poche poche possibilità di passare.
Solo allora, forse negli ultimi mesi della legislatura, potrà andare all’ordine del giorno la separazione delle carriere dei magistrati. Che comunque è una riforma costituzionale e quindi richiede tempi molto lunghi, e che deve navigare tra i colpi di cannone delle Procure e dei loro giornali. Secondo voi, da uno a cento, quante possibilità ci sono che questa riforma sia approvata?
Voi dite Uno? Io dico zero. Del resto non si capisce perché sia fermo nei cassetti del Parlamento un disegno di riforma praticamente identico a quello presentato ieri al Consiglio dei ministri. È fermo da due anni.
Il governo avrebbe potuto prendere quel disegno di legge appena si è insediato e portarlo avanti. Non lo ha fatto. Così come ha lasciato cadere tutti gli altri progetti di riforma, dall’abuso d’ufficio, al traffico di influenze, alle intercettazioni. Le uniche leggi che ha saputo fare davvero, questo governo, consistono nell’aumento delle pene per qualche reato minore.