Parla l'ex presidente

Intervista a Laura Boldrini: “Stato di Palestina, Meloni: se non ora quando?”

«Essersi astenuti sulla membership palestinese all’Onu è gravissimo e fuori da ogni logica: con quale credibilità il governo dice “due popoli e due stati” se poi non si fa un passo verso il riconoscimento del secondo Stato?»

Interviste - di Umberto De Giovannangeli - 24 Maggio 2024

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Intervista a Laura Boldrini: “Stato di Palestina, Meloni: se non ora quando?”

Laura Boldrini, già Presidente della Camera, parlamentare Dem e Presidente del Comitato permanente della Camera sui diritti umani nel mondo: “La mattanza di Gaza ha raggiunto dimensioni apocalittiche. Il mondo sta a guardare, nonostante il procuratore capo della Corte penale internazionale (Cpi), Karim Ahmad Khan, abbia chiesto alla Camera preliminare del tribunale di emettere mandati di arresto contro il premier israeliano Benjamin Netanyahu e il suo ministro della Difesa Yoav Gallant per «crimini di guerra e crimini contro l’umanità» nella Striscia di Gaza dall’8 ottobre 2023 e contro i leader di Hamas Yahya Sinwar, Mohammed Deif, Ismail Haniyeh e Diab Ibrahim Al Masri per «crimini di guerra e contro l’umanità» commessi in Israele e nella Striscia di Gaza dal 7 ottobre 2023.

Ho letto posizioni di leader nazionali e di commentatori scandalizzati secondo cui la Corte penale avrebbe messo sullo stesso piano i capi di Hamas e leader di Israele che, invece, sono democraticamente eletti. Alcuni hanno definito la Corte “illegittima” e la richiesta del procuratore Karim Khan “ridicola”. Penso al ministro Tajani che ha dichiarato che “non siamo d’accordo con la scelta del procuratore della corte dell’Aja che ieri ha proposto un mandato di arresto, parificando Israele a Hamas”.

La Corte Penale persegue le persone che hanno commesso gravi crimini, non gli Stati o i popoli, questo il ministro dovrebbe saperlo. E’ assolutamente mistificatorio e falso dire, come ha fatto Netanyahu, che l’Aja vuole incriminare “il popolo ebreo”. La richiesta di mandato di arresto porta il suo nome e quello di Gallant, come quello di Sinwar e di altri leader di Hamas. Addirittura, secondo alcune fonti, gli Usa starebbero pensando a sanzioni contro la Cpi. Sono, in buona parte, gli stessi che invece applaudirono quando la stessa Corte, con lo stesso procuratore Khan, chiese e ottenne il mandato di cattura internazionale nei confronti di Putin per i reati commessi in Ucraina“.

Il che porta a quali conclusioni?
Siamo davanti a un doppio standard che le persone, soprattutto i giovani, non tollerano più. Nessuno è sopra la legge: non lo era Milošević, non lo erano i responsabili del massacro dei Tutsi, non lo sono Putin, Netanyahu e Sinwar. Naturalmente bisogna aspettare di vedere se la richiesta di Khan sarà accettata o rifiutata dalla Camera preliminare del Tribunale dell’Aja, ma scandalizzarsi perché la Cpi, dopo indagini e prove raccolte, chiede il mandato di arresto significa voler delegittimare la Corte: un esercizio pericoloso, anche sul piano politico. Se, infatti, non si rispettano i pronunciamenti e le sentenze degli organi giurisdizionali internazionali si rinuncia alla legalità e si cede alla legge del più forte.

Quando parla dei giovani si riferisce alle proteste nelle università?
Sì, anche. Della catastrofe in corso a Gaza sui nostri media non si parla quasi più. Ma le ragazze e i ragazzi hanno altre fonti da cui traggono informazioni, soprattutto i social. La situazione nella Striscia è più che catastrofica: gli aiuti non entrano e sono fermi fuori dal valico di Rafah che è stato nuovamente sigillato. Quelli che arrivano via mare sono letteralmente presi d’assalto dalla popolazione affamata. Abbiamo visto anche immagini di aiuti distrutti dai coloni israeliani prima che arrivassero alla popolazione palestinese. Davanti a tutto questo, alla minaccia dell’attacco a Rafah e all’immobilismo dei leader mondiali che non intervengono in modo decisivo, in tutto il mondo i giovani si mobilitano. Le proteste pacifiche vanno ascoltate, non represse con i manganelli come spesso abbiamo visto troppe volte. Qualche giorno fa sono stata all’università di Padova dove ero stata invitata per una lectio magistralis sui diritti umani. Proprio quella mattina, le studentesse e gli studenti hanno piantato le tende nei cortili dell’ateneo per chiedere il cessate il fuoco. A quel punto, insieme al prof. Mascia che aveva organizzato la giornata, abbiamo deciso di cambiare programma e lasciare a loro la parola, di aprire un canale di dialogo. E’ stato un dibattito interessante e io ho raccontato quello che ho visto al valico di Rafah, a febbraio scorso, quando, insieme ad altri 14 colleghi parlamentari, ho partecipato alla carovana umanitaria organizzata da AOI.

Il piano politico e quello diplomatico sembrano immobili davanti a quello che sta succedendo a Gaza.
Per fortuna questo non vale per tutti. Spagna, Norvegia e Irlanda ufficializzeranno il riconoscimento dello Stato di Palestina il 28 maggio e così sembra siano pronti a fare anche Malta, Slovenia e Australia. E non dimentichiamo che già altri 139 Paesi hanno riconosciuto lo Stato di Palestina in passato. Si tratta di un passo decisivo se davvero vogliamo avviare un processo di pace e puntare alla soluzione “due popoli e due stati”. In realtà, anche il Parlamento italiano aveva votato in questo senso già nel 2015: una mozione a cui, però, non è ancora stato dato seguito. Il governo Meloni cosa aspetta a farlo? Non c’è momento più giusto di questo per riconoscere lo Stato di Palestina. Invece quando, recentemente, si è votato all’Assemblea generale dell’Onu per annettere la Palestina come membro effettivo e non più solo come osservatore, l’esecutivo si è astenuto. Una scelta gravissima e fuori da ogni logica: con quale credibilità Tajani e Meloni continuano a dire “due popoli e due stati” se poi, né nei consessi italiani né in quelli internazionali, si fa un passo verso il riconoscimento del secondo Stato, quello di Palestina? Entrambi, Israele e Palestina, hanno il diritto di esistere: senza lo Stato di Palestina non ci sarà né sicurezza né pace per nessuno.

Si può criticare Israele senza per questo essere marchiati di antisemitismo?
Si può criticare l’operato del governo Netanyahu senza essere marchiati di antisemitismo, ci mancherebbe altro! Lo ha spiegato molto bene qualche giorno fa Bernie Sanders, che si dice “fiero di essere ebreo”, in un video diventato virale. I responsabili della carneficina in corso a Gaza sono Netanyahu e il suo governo di ultradestra di cui fanno parte soggetti come Ben Gvir e Smotrich che negano perfino l’esistenza del popolo palestinese e spingono i coloni a occupare altre terre in Cisgiordania e a farlo con la violenza, in spregio al diritto internazionale e alle risoluzioni dell’Onu. Ci sono ampie fette della popolazione israeliana che sono contrarie alle politiche di Netanyahu, così come molti ebrei in tutto il mondo contestano il suo operato: sono tutti antisemiti? Questa critica va assolutamente restituita al mittente: è pretestuosa e strumentale. L’antisemitismo è una questione molto seria e certamente se ne osservano dei rigurgiti: su questo va posta la massima attenzione.

Dall’Ucraina al Medio Oriente, passando per altri 57 conflitti armati in corso. Il mondo è sempre più dentro una terza guerra mondiale a pezzi, per usare le parole di Papa Francesco. Siamo ormai a ridosso delle elezioni europee, ma il dibattito in Italia si concentra su alleanze, candidature, colpi bassi, scandali, diatribe televisive. Siamo fuori dal mondo?
È un grave errore, a mio avviso, restringere il dibattito alle questioni interne. Una dimensione che si basa sulla sottovalutazione dell’importanza di questo appuntamento elettorale europeo, che sarà cruciale, e sulla scarsa consapevolezza di quanto le politiche europee influiscano nella vita delle persone. In queste elezioni si contrappongono due visioni molto distanti sul futuro dell’Ue: da una parte l’Europa delle nazioni, che significa la fine dell’Unione, e dall’altra il rilancio del progetto federalista che è l’unica possibilità per avere un ruolo di peso sullo scenario globale. Non si può poi votare per rinnovare il parlamento di Bruxelles senza avere chiaro che l’Europa deve rimettere la pace al centro della sua agenda politica. Perché non possiamo discutere sul “se”: non possono esserci dubbi sul fatto che questa deve ridiventare una priorità per l’Unione europea. La guerra non è una prospettiva percorribile per quello che è nato come il più grande progetto di pace della storia, dopo le due sanguinosissime guerre mondiali.

La decisione di Elly Schlein di candidare come indipendenti nelle liste Pd Cecilia Strada e Marco Tarquinio ha suscitato discussione e qualche mal di pancia tra i dem. Essere “pacifisti” è un “reato” politico o comunque una pecca?
Parla con una pacifista convinta. E proprio perché lo sono sempre stata posso dire con certezza che esserlo non è un “reato” politico per il Pd. Lo testimonia la mia esperienza dentro il partito: non ho mai votato per l’invio delle armi in Ucraina, per esempio, e la mia posizione è sempre stata rispettata. E, com’è noto, non sono certo l’unica anche nell’attuale panorama del Pd. Essere pacifisti, per altro, non significa solo essere contro la guerra che causa distruzione, morte e sofferenza. Significa essere a favore del benessere dei popoli e della tenuta del tessuto sociale ed economico. Abbiamo già dimenticato il vertiginoso aumento dei costi del gas e dell’energia elettrica a causa del conflitto in Ucraina? E le conseguenze disastrose della crisi nel Mar Rosso sul commercio? Il punto è che bisogna smetterla di pensare che chi parla di pace parla di cose astratte, insignificanti e che non riguardano la vita quotidiana delle persone. Le cosiddette “anime belle”. Il tema della pace, invece, riguarda proprio la quotidianità di ciascuna e ciascuno di noi, la qualità della nostra esistenza.

Pace, lavoro, inclusione. Una sinistra che non parte da qui può ancora definirsi tale?
No, non credo. E infatti da qui stiamo partendo. Insieme alla sanità pubblica, ai diritti e alla tutela dell’ambiente, sono proprio questi i punti su cui si sta concentrando la campagna elettorale del Pd che, ricordiamolo, è il maggior partito di sinistra e di opposizione. Un’Europa sociale, verde e giusta: è la sintesi del programma che stiamo presentando ad elettrici ed elettori. E dentro questa sintesi c’è un progetto federale per un futuro di pace, inclusione e giustizia sociale.

24 Maggio 2024

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