La strage di Cutro
La risposta della Guardia Costiera sulla mail svelata da Damilano: quando la toppa è peggiore del buco
Leggi, direttive, circolari, costruiscono almeno dal 30 luglio del 2002, il predominio delle funzioni di polizia sul soccorso. Il National Coordination Center (Ncc) serve a sloggiare la Gc
Editoriali - di Luca Casarini
Il Capitano di Vascello Cosimo Nicastro, portavoce della Guardia Costiera e Capo dell’Ufficio Comunicazione del Comando Generale delle Capitanerie di Porto, deve aver passato la giornata di ieri nel tentativo di scrivere una risposta credibile.
Quella mail interna, firmata dal suo pari grado, Gianluca D’Agostino, trapelata grazie alla trasmissione Il Cavallo e la Torre, di Marco Damilano, non lascia dubbio alcuno su quanto in questi anni, “il livello politico”, come è scritto, abbia impedito di fatto che il nostro mare, per una certa tipologia di esseri umani, divenisse più sicuro.
Il tentativo dell’ufficio stampa di esser credibili, a leggere il debole comunicato prodotto, non è riuscito. “Si voleva far meglio comprendere ai colleghi che non si trattava di una indicazione tattica di modifica delle modalità operative” dice a un certo punto.
Eppure la mail con la quale il 27 giugno del 2022 il Capo D’Agostino con una missiva diretta a tutti i reparti introduceva gli argomenti, è chiarissima: “A seguito dei tavoli interministeriali sono state impartite dal livello politico alcune disposizioni tattiche per gli assetti Gdf che di fatto in parte impongono alcune riflessioni sul nostro modus operandi”.
Perché dunque l’Ufficio Comunicazione, il più “politico” dei dipartimenti della nostra Guardia Costiera, cerca di convincere l’opinione pubblica e i giornalisti spiegando che “non si trattava di una indicazione tattica”?
Che la mail del Capitano D’Agostino richiamasse l’attenzione dei colleghi, proprio a partire da decisioni del livello politico, a precise modalità procedurali alle quali attenersi scrupolosamente, lo dice la frase seguente: “Atteso ciò, a far data dalla presente, le attività di intervento delle unità navali della Guardia Costiera, in caso di eventi connessi al fenomeno migratorio, si dovranno sviluppare nel rispetto dei seguenti parametri”.
E seguono 3 punti di indicazioni operative precise, secche. Confermano quello che già si sapeva: tra soccorso e controllo di polizia, viene prima quest’ultimo. Dentro le 12 miglia, è il Reparto operativo aeronavale (Roan) della Guardia di Finanza ad assumere il coordinamento delle operazioni.
Se una barca piena di persone migranti si muove autonomamente, bisogna scortarla fino a dentro le 12 miglia, e dunque poi tutto passa alla Guardia di finanza (Gdf). Solo se è piena di donne, uomini e bambini migranti. Se fossero turisti di una barca a vela, coordinerebbe come sempre, la Guardia Costiera.
Salta agli occhi quel “ci si riferisce ad eventi connessi al fenomeno migratorio” che specifica quando si devono applicare quelle procedure. Esclusi i migranti, per tutto il resto del mondo valgono obblighi e procedure standard previste in maniera ineluttabile e diretta dalla Convenzione di Amburgo: salvare, salvare e ancora salvare prima di ogni altra cosa.
E nessuna subordinazione a nessun livello politico o ad altra forza in campo, per la Guardia Costiera. Ma i migranti, anzi – per restare al linguaggio disumanizzante – il “fenomeno migratorio”, hanno un trattamento diverso. Ce l’hanno in terra, e anche in mare.
La Convenzione di Amburgo, con i suoi obblighi imperativi, e la mission della Guardia Costiera, la sua storia, la sua natura, davanti alle esigenze politiche della “gestione del fenomeno migratorio”, devono fare un passo indietro.
A favore di cosa? Dell’attività di polizia, di controllo, di contrasto, di respingimento, di deportazione, sintetizzata fin dai primi anni duemila nei documenti ufficiali come “attività di law enforcement”.
Quindi, al di là delle arrampicate sugli specchi del portavoce della Guardia Costiera, quella mail del 2022 dice solo la verità. In maniera meno dissimulata del solito. L’indecifrabilità propria del burocratese, che è da sempre anche uno scudo efficace per coprire scelte politiche feroci, viene resa linguaggio trasparente, per una volta, proprio dalla mail di un operativo.
Verrebbe da pensare che il Capitano D’Agostino, abbia voluto lasciare traccia, scrivendo in chiaro, di qualcosa, una sorta di tumore, che minaccia alla radice principi e valori non negoziabili, come la salvaguardia delle vite in mare.
A questo ufficiale di lungo corso, che sia stato consapevole o no, andrebbe detto grazie per quella mail. Non è il mondo al contrario di Vannacci questo. È quello reale, ben più difficile e scomodo da mostrare a tutti per un militare.
Il Capitano Nicastro invece, al quale ieri è toccato il compito di ridurre il danno, poteva anche sforzarsi un po’ di più: D’Agostino ha scritto quello che tutti sappiamo, non c’era bisogno di dirci che “abbiamo capito male”.
Se si leggono ad esempio materiali come il Quaderno della Scuola di perfezionamento per le Forze di Polizia, uno strumento interno, a suo modo prezioso, e in particolare un interessante scritto del colonnello Bastoni della Gdf, si capisce come l’obbligo del rispetto dei diritti umani, quando si tratta di migranti, sia da almeno vent’anni soffocato dalla azione di polizia di contrasto all’immigrazione.
E soprattutto si capisce come la questione sia soltanto come dissimulare questo oggettivo predominio dell’azione di polizia sulla necessità di rispettare i diritti umani. Il colonnello descrive bene il processo che nel corso di questi due decenni, quelli nei quali il Mediterraneo centrale è diventato una delle più grandi fosse comuni del pianeta, ha costruito passo dopo passo, governo dopo governo, la possibilità, teoricamente vietata dalla legge e dalla Costituzione, di far prevalere la border surveillance sulle frontiere marittime – che è cosa diversa come si legge, dalla attività di borders cecks esercitata ai valichi dagli uffici di polizia di frontiera marittima – sulle attività di ricerca e soccorso in mare, dentro e fuori la zona Sar (ricerca e soccorso) italiana.
Leggi, direttive, circolari, costruiscono almeno dal 30 luglio del 2002, il predominio delle funzioni di polizia su tutto il resto. È in quella data che viene promulgata la legge 189, che accentra sul Ministero degli interni ogni attività, comprese dunque quelle messe in atto per il soccorso.
È il Viminale, attraverso l’istituzione di una cabina di regia denominata National Coordination Center (Ncc) e un sistema integrato di telecomunicazioni con tutti i corpi, compresa la Guardia Costiera, che fa da direzione tattica e strategica anche per “il contrasto a mare”.
L’Ncc: questa super centrale operativa che “acquisisce e analizza tutte le informazioni sullo scenario a mare ricevute da tutti i comandi interessati, cioè l’Arma dei Carabinieri, la Guardia di Finanza, la Marina Militare, il Corpo delle Capitanerie di Porto-Guardia Costiera.”
Ma ancor più significativo è il passaggio dove si spiega che questa struttura “assicura il raccordo tattico strategico nell’attività di contrasto a mare”. Pensiamo solo se esistesse una struttura simile, con mezzi aerei e navali, che riunisse tutti “nell’attività tattico strategica di impedire che le persone migranti muoiano in mare per mancanza di soccorsi”.
Questa super centrale di polizia è stata istituita formalmente come Ncc/ Eurosur – prima era solo “Direzione centrale” – per decreto, firmato dall’allora Capo della Polizia – direttore generale della pubblica sicurezza, il 20 gennaio del 2012, e ha acquisito la denominazione attuale nel 2015, in conformità al regolamento europeo n.1052 del 2013.
Per testimoniare che tutto, ma proprio tutto, segue la linea europea e che tutti i governi, uno dopo l’altro, si sono ad essa conformati. Tutta questa fitta trama di decreti, poi trasformati in leggi, circolari, regolamenti, indicazioni procedurali e chi più ne ha più ne metta, ha un solo scopo in realtà: giustificare quello che non si potrebbe.
La salvaguardia della vita in mare non può dipendere dallo status delle persone in pericolo. E invece, proprio in virtù di un cambio di status, da “naufraghi” a “migranti clandestini”, la Convenzione di Amburgo sul soccorso in mare e quella di Ginevra sul divieto di respingimento di profughi e richiedenti asilo, sono state soffocate in questi anni dalla logica di polizia.
Tornando alla mail dello scandalo, quella di D’Agostino, se si continua a leggere, le regole operative “impartite dal livello politico” non sono nient’altro che un richiamo, che si fa più o meno pressante a seconda dei momenti, a una vera e propria manualistica costruita nel tempo e pensata per ovviare agli impedimenti posti dalle costituzioni.
I momenti nei quali si accede a questo armamentario burocratico che permette di fare legalmente ciò che in teoria non sarebbe legale, cambiano a seconda dei casi: aumento del flusso di persone che tentano di arrivare sulle nostre coste, oppure elezioni imminenti, o governo in carica con bandiera identitaria del contrasto ai migranti.
Usare il termine “clandestini” è ridicolo, non solo in sé, ma anche se pensiamo che quelle persone non hanno nemmeno avuto il modo di entrare in Italia, perché sono state ammazzate prima, in mare, oppure deportate, attraverso l’uso di banditi pagati per questo scopo.
Ripercorrendo questi due decenni dunque, si ha ben chiara l’immagine di una vera e propria “infrastruttura burocratico amministrativa” che ha reso possibile che la violazione dei diritti umani e delle leggi del mare, potesse arrivare a questo punto, che poi ha le coordinate di Cutro e di tutte le stragi evitabili e che invece continuano.
Una infrastruttura che è stata inseminata dal “livello politico” come dice D’Agostino nella mail incriminata, e che poi il livello politico ha fatto crescere, e della quale si serve a diversa intensità, contro degli innocenti.