L'annuncio dello scrittore
Jack Frusciante è uscito dal gruppo: storia del romanzo cult di Enrico Brizzi, “un frullato di miti”, dal film al sequel
Brizzi ha annunciato il sequel del romanzo cult pubblicato 30 anni fa. "Ci ho messo trent’anni, ventinove dei quali trascorsi a negare la semplice ipotesi e l’ultimo a scrivere di Alex e Aidi". Dall'archivio de L'Unità una serie di articoli tra cui uno di Sandro Veronesi che danno la misura del fenomeno che rappresentò quell'esordio
Cultura - di Antonio Lamorte
Lo scrittore Enrico Brizzi ha annunciato che il prossimo settembre sarà pubblicato il sequel del suo romanzo d’esordio, Jack Frusciante è uscito dal gruppo, un cult letterario. “Per me è stata una decisione molto importante; ci ho messo trent’anni, ventinove dei quali trascorsi a negare la semplice ipotesi e l’ultimo a scrivere di Alex e Aidi, stupefatto e in segreto come fosse un brutto vizio”, ha scritto Brizzi sui social. “Per tutto questo tempo le uniche persone a saperne qualcosa sono state le mie figlie e la donna che amo. Chi mi segue sa che la scelta definitiva è maturata di recente, a storia ormai finita, durante un viaggio in Sri Lanka, un’isola dai paesaggi maestosi e dai molteplici luoghi sacri, dunque ideale per prendere decisioni fondamentali”. Il nuovo romanzo uscirà per i tipi di Harper Collins. Brizzi ha annunciato un tour e una data speciale a Bologna in autunno per celebrare l’anniversario. “Sento su di me la responsabilità dei tanti che mi hanno scritto e mi scrivono per ringraziarmi di quel libro, per raccontarmi che hanno dato alla prole il nome dei suoi protagonisti o semplicemente – si fa per dire – per aver fatto loro conoscere autori o musicisti citati nel testo. Spero di non deluderli, naturalmente, ma in primo luogo spero di onorare a dovere il mistero della narrazione, alla cui fiamma mi scaldo da tanti anni. Non si scrive per il pubblico né per se stessi, ma proprio per godere di quella magia antica, e al momento sento intorno a me un’energia speciale”. Recuperiamo alcuni articoli dall’archivio de L’Unità, per dare una misura del caso letterario che fu quel romanzo d’esordio, tra cui un’intervista all’autore e una critica di Sandro Veronesi.
Il fenomeno di “Jack Frusciante è uscito dal gruppo”
Sandro Veronesi scriveva ammaliato seppur sagace del fenomeno: una pagina intera de L’Unità era dedicata al caso letterario del momento, Jack Frusciante è uscito dal gruppo. Era il 13 novembre del 1994 e lo scrittore salutava con entusiasmo la possibilità che un romanzo contemporaneo potesse diventare un fenomeno tra i giovani. “È proprio bello, e un suo insediamento nell’Olimpo delle divinità giovanili, a fianco di tutti gli altri Dèi convenzionali che esso stesso enumera e onora, dai Pogues a Jack Nicholson, dagli anfibi Doctor Marten’s ai Red Hot Chili Peppers, dalle felpe col cappuccio ai Sex Pistols, sarebbe di per sé un fatto eversivo, un modo di cominciare per l’appunto a ‘uscire dal gruppo’. (Ma mi chiedo se è poi possibile, che un romanzo diventi un cult giovanile: esteso, intendo, anche al gruppo. Ho i miei dubbi)”.
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Enrico Brizzi, l’autore, aveva appena 19 anni. Il romanzo era uscito per una piccola casa editrice, Transeurropa. “È bello, questo romanzo – continuava Veronesi – perché in ogni pagina ci sono sempre almeno cinque o sei parole accese, e perché contiene il giusto dosaggio di talento, sarcasmo e mitologia giovanile. L’autore ha diciannove anni, quando lo ha scritto ne avrà avuti diciotto, forse meno ancora, e francamente non penso che a quell’età si possa scrivere meglio di così – se si sta studiando italiano al liceo, intendo dire”.
L’intervista a Enrico Brizzi
Jack Frusciante è uscito dal gruppo divenne un film della regista Enza Negroni con protagonisti Stefano Accorsi e Violante Placido, ha segnato almeno un paio di generazioni. “Una maestosa storia d’amore e rock parrocchiale” pubblicata dalla piccola casa editrice di Ancona, la stessa delle antologie Under 25 di Pier Vittorio Tondelli e dei romanzi di Silvia Ballestra. Roberto Giallo, nella stessa pagina del quotidiano, descriveva l’autore come “una specie di piccola rockstar con il suo romanzo cult sotto il braccio”, colto “in un bizzaro cyberspazio di interviste, inchiestine sui giovani e sociologia da newsmagazine”. E lo intervistava. “Qualcuno, per fortuna, si è accorto anche che si tratta di un bel libro”.
Bologna tardo adolescenziale, molto rock, biciclette, amori inseguiti e perduti, liceo. A proposito di rock, fanzines, trasmissioni, modi di dire: un po’ di “dandysmo culturale” osservava il giornalista. Alcuni osservarono che questa “letteratura giovane” di tv e gerghi fosse fatta di plastica: “Ma è il mondo che è di plastica! Che vogliamo fare? – rispondeva Brizzi – La lingua deve rendere il mondo di cui parla. Perché la televisione non c’è. Uno può anche far finta di no, ma c’è. E allora?”.
“Scoprire che tuo figlio ha una vita intellettuale indipendente, che a pochi metri dal salotto, nella sua camera, c’è un mondo parallelo fatto di precisi riferimenti culturali, di manie, di gruppi che suonano, di cose che si leggono. Porca miseria: per certi genitori dev’essere come scoprire che il figlio si droga da dieci anni. Mi chiamano, e mi dicono: scrivi un po’, che dicono i giovani, che fanno i giovani. Mah non lo so. I giovani si faranno le seghe, io per me ne conosco duecento, ma ce no sono venti milioni, come faccio a saperlo?”.
A forza di tutta quella filosofia spicciola, poteva essere infine anche estenuante e straziante non parlare dell’opera forse. “Sì. no, non lo so. Che devo dire. Una cosa che mi farebbe piacere è che uno lo legge, lo chiude e va a comprarne un altro. Di uno scrittore contemporaneo, roba nuova, scritta oggi. Tondelli, per esempio, va letto tutto, anche quello che ha scritto per i giornali. Altri italiani: la Ballestra, i primi di De Carlo, Del Giudice. Basta con Siddharta. E poi, guarda, io credo davvero che quando un’opera esce appartiene a tutti, magari in certi casi appartiene anche ai deficienti che fanno le inchieste di costume sui giovani”.
L’articolo di Sandro Veronesi su “Jack Frusciante è uscito dal gruppo”
Veronesi individuava nella sua critica un solo errore, (“un ‘reciproche’ a pagina 39 che viene utilizzato al posto di ‘rispettive’”) e ravvisava certe “scopiazzature” da Il piccolo Principe, Il giovane Holden, dalle canzoni. Che “non sono affatto una debolezza ma una forza. Sì, dato che si parla di ‘tardoasolescenti’, cioè di esseri ancora guardati a vista, trattenuti a forza nell’immaturità e ancora costretti a esprimersi attaccando poster nelle loro camerette, mentre potrebbero biologicamente già scrivere L’Infinito, vincere a Flushing Meadows e comporre o Grechten an erster Verlust o Little Johnny Jewel”.
I protagonisti Alex D. e Adelaide “si addomesticano a vicenda (ecco quando va usato ‘reciproco’) inventandosi un casto rapporto extra-sessuale che li innalza al di sopra del gruppo, laddove il gruppo li vorrebbe scatenati ad arraffare più sesso possibile per conquistare più prestigio possibile. La vicenda è secondaria perché la qualità affabulatoria del racconto è alta in sé, e da quel frullino-di miti che è la testa dell’autore fa uscire una sostanza letteraria vera, con un sapore vero di letteratura e tanti diversi simboli canditi, da preferire gli uni agli altri a seconda del proprio gusto di lettore”. La chiusa è un volo leggerissimo e sarcastico.
“Io per esempio ho interrotto la lettura e mi sono messo a pensare quando i due protagonisti diciassettenni prendono a simbolo della propria formidabile forza amorosa la Danimarca campione d’Europa di calcio del 1992. La sua sorprendente e giusta vittoria sulla Germania energumena. Ho pensato questo: nel 1976, quando Enrico Brizzi aveva da poco cessato di dannarsi per sacche placentali e trombe di Falloppio, io prendevo a emblema di una mia vicenda di diciassettenne la Cecoslovacchia campione d’Europa di calcio, vittoriosa in finale, ai rigori, contro la stronza Germania; e hanno fatto un film pure su Italia-Germania 4-3 del 1970, come simbolo di un’altra vicenda di un’altra generazione di diciassettenni ancora precedente, cosi che mi sono chiesto, vuoi vedere che ci è entrato nel Dna di italiani, di riuscire a concepir felicità solo quando i tedeschi perdono? Sembra niente, ma sarebbe memoria storica anche questa”.
Il film e la rockstar
Dall’archivio un altro articolo, del giugno del 1997, in cui compariva un Brizzi ospite a Rockin’ Umbria che rispondeva alla domanda pressanti: ma poi Heidi è tornata? “Ho rifiutato un contratto con cifra già scritta per Jack Frusciante 2”. L’inviata Stefania Scateni scriveva più volte che Brizzi sembrava una rockstar. Brizzi portava in giro con la band fiorentina De Glaen la “Sub Booteo Experience”, un progetto di musica e letteratura intelaiato su Bastogne, il suo secondo romanzo. Poco più di un anno prima, il 4 aprile del 1996 era uscito il film, distribuito da Medusa, ispirato al romanzo. Michele Anselmi scriveva che il libro aveva venduto 200mila copie.
“Mi hanno detto che questi ragazzi sembrano dei punk parrocchiali. Ma sono davvero così un po’ ingenui, passionali. I sentimenti per loro contano più della politica delle impalcature ideologiche”, spiegava Enza Negroni, 33enne, bolognese, al suo primo cortometraggio. A letto a causa di una brutta influenza virale che l’aveva colta proprio alla vigilia dell’anteprima romana del film. Il giornalista faceva notare il “gergo estroso in voga tra gli adolescenti” come “forse la cosa più riuscita del film”.