La relazione
Il Parlamento ha rinunciato al proprio ruolo, la denuncia del presidente della Consulta Barbera
“Ha rinunciato al proprio ruolo”, denuncia il presidente della Consulta e sollecita un intervento su fine vita e famiglie arcobaleno. E sui risarcimenti per le ingiuste detenzioni: “per il bilancio più pericolosa la durata dei processi”
Giustizia - di Angela Stella
“Non si può non manifestare un certo rammarico per il fatto che nei casi più significativi il legislatore non sia intervenuto, rinunciando ad una prerogativa che ad esso compete, obbligando questa Corte a procedere con una propria e autonoma soluzione, inevitabile in forza dell’imperativo di osservare la Costituzione. È con questo spirito che si auspica sia un intervento del legislatore che dia seguito alla sentenza n. 242 del 2019 (il cosiddetto caso Cappato), sul fine vita, sia un intervento che tenga conto del monito relativo alla condizione anagrafica dei figli di coppie dello stesso sesso. In entrambi i casi il silenzio del legislatore sta portando, nel primo, a numerose supplenze delle assemblee regionali; nel secondo, al disordinato e contraddittorio intervento dei Sindaci preposti ai registri dell’anagrafe”: così ieri il Presidente della Corte Costituzionale, Augusto Barbera, nella sua relazione dinanzi al Capo dello Stato Mattarella e in seguito nell’incontro con la stampa, ha messo praticamente in mora il Parlamento.
Se è vero – ha proseguito – che “l’attività del Parlamento non è un’attività ‘servente’” tuttavia “se rimane l’inerzia, la Corte a un certo non potrà non intervenire a difesa di quei diritti che vengono invocati attraverso i giudizi in via incidentale”.
Proprio Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Coscioni ha commentato: “Dal Presidente della Corte costituzionale Augusto Barbera sono arrivate parole chiare e forti non solo sull’inerzia del Parlamento, ma anche sulla determinazione della Consulta a non sottrarsi alle proprie responsabilità di fronte al dubbio di costituzionalità sollevato dalle nostre azioni di disobbedienza civile”.
Non esplicitamente poi Barbera avrebbe criticato la decisione della giudice catanese Apostolico che a settembre 2023 disapplicò il decreto Cutro, ora al vaglio della CGUE: “Non intendo negare il ruolo fondamentale – si legge nella sua relazione – che il giudice comune può e deve esercitare, ma piuttosto ricondurlo ai limiti della sua sfera di competenza, allontanando quegli ‘eccessi valoriali’ da cui talvolta non pochi di essi si sentono pervasi. Sollevare una questione di legittimità non è di certo una funzione minore”.
L’ipotesi di una critica alla presa di posizione della sezione immigrazione del Tribunale Civile di Catania prende forza quando il vertice della Consulta sottolinea: “la giurisprudenza di questa Corte ha incoraggiato – e intende continuare a farlo – le ‘interpretazioni costituzionalmente orientate’ operate dal giudice comune. Tuttavia, ove queste non siano possibili, o diano luogo a soluzioni contrastanti, l’ordinamento richiede un giudizio di legittimità costituzionale destinato ad operare non solo nel caso singolo, ma erga omnes, proprio a garanzia – lo ripeto – della ‘certezza del diritto’”.
Quindi se ad “un testo di legge, approvato magari qualche settimana prima dal Parlamento (decreto Cutro?, ndr), si ritiene di dover contrapporre una propria visione dei valori costituzionali è un po’ diverso”. Il testo non va forzato “per quelli che chiamo ‘eccessi valoriali’”.
Barbera poi, forse ritenendo fisiologici gli errori giudiziari e le ingiuste detenzioni, ha lanciato la seguente preoccupazione: “più che il dovuto risarcimento delle vittime degli errori giudiziari, che non sono solo in Italia”, “temo che ancora più pericoloso che il bilancio dello Stato debba sopportare la lunga durata dei processi”.
Al giornalista che comunque lo ha incalzato sul fatto che non si faccia nulla per diminuire i casi di ingiusta detenzione Barbera ha forse inopportunamente risposto: “lei cosa farebbe?”. Il collega giustamente ha replicato: “io racconto le storie, i tecnici dovrebbe trovare le soluzioni”.
Sul libro dell’ex giudice costituzionale Nicolò Zanon – Le opinioni dissenzienti in Corte Costituzionale Dieci Casi (Zanichelli Editore)- ha detto: “ Non possiamo ammettere una dissening opinion a posteriori. Quello che ha fatto il mio amico Zanon è una dissenting opinion a posteriori non commendevole, frutto di una grave leggerezza. Mi dispiace, abbiamo lavorato bene tanti anni, e siamo anche amici”.
Comunque “fino a quando sarò io presidente della Corte non partiranno denunce sotto il profilo penale”. Infine sulla riforma costituzionale per il cosiddetto ‘premierato’ ha dichiarato: “L’equilibrio tra i poteri si determina giorno per giorno, credo vada rispettata al massimo l’autonomia delle giurisdizioni e dei giudici ma serve altrettanto rispetto da parte di tutti nei confronti delle assemblee elettive e del potere politico. Fermo restando che le Corti intervengono quando c’è un eccesso di discrezionalità politica nei confronti della Costituzione”.