Il neopresidente della Corte
Il presidente della Consulta Augusto Barbera striglia il governo: “Basta fiducie”
Appena insediato, Barbera ha subito richiamato il governo alla Costituzione: meno fiducie e meno maxiemendamenti. Il Parlamento deve tornare libero.
Editoriali - di Piero Sansonetti
Augusto Barbera è il nuovo presidente della Corte Costituzionale. Questa è una buona notizia. Per quel che riguarda gli assetti del potere, in Italia, è la prima buona notizia da diversi mesi (forse da diversi anni…).
Barbera è un giurista di grandissimo livello, un costituzionalista autentico, una persona di straordinaria levatura culturale, del tutto indipendente, un garantista. Non credo che nessuno di questi riconoscimenti sia esagerato. Appena insediato, Barbera ha subito richiamato il governo alla Costituzione: meno fiducie e meno maxiemendamenti. Il Parlamento deve tornare libero.
Ho conosciuto Barbera tantissimi anni fa. Alla fine dei settanta. Quando ero un ragazzino assunto da poco all’Unità e lui un giovane ma già conosciuto professore d’Università, che era stato eletto nelle liste del Pci al Parlamento. Per me – incaricato dal giornale di seguire il Parlamento – era arduo scontrarmi con le grandi questioni giuridiche e del diritto, e mi ricordo che da lui ebbi un forte aiuto.
Probabilmente non solo un aiuto a capire qualcosa di diritto e di regolamenti, ma anche a entrare nell’ordine di idee del garantismo, concependo il garantismo non come una categoria formale della politica, ma come una vera e propria bussola, direi quasi ideologia. Che si affiancava al mio ( e forse al suo) marxismo un po’ abborracciato (il mio era abborracciato, non il suo).
Erano gli anni della lotta al terrorismo, e a sinistra emergevano sempre di più posizioni di intransigenza politica, che facevano polvere del garantismo e scommettevano sulla magistratura concedendole sempre più deleghe e potere. Penso che nacque in quegli anni la “repubblica giudiziaria”, molto prima di Mani Pulite.
Il garantismo teneva a sinistra solo nel Psi, in parte – ma non ancora del tutto – tra i radicali, e in qualche frangia minoritaria ma importante del Pci. Penso a Umberto Terracini, a Malagugini, anche a Pietro Ingrao. Barbera era lì, tra i garantisti. E mi pare che poi ci sia rimasto per tutta la sua vita (oggi ha 85 anni) con un solo cedimento che gli si può rimproverare: le dimissioni dal governo Ciampi – nell’aprile del 1993 – del quale era stato nominato ministro.
Si dimise (insieme a Luigi Berlinguer, Francesco Rutelli e Vincenzo Visco) per protesta contro la mancata autorizzazione a procedere della Camera nei confronti di Bettino Craxi. Quel giorno il Pds (insieme ai verdi) ritirò i suoi ministri appena nominati in quello che forse è stato il miglior governo della storia della repubblica, per immergersi in un bagno populista e giustizialista nel quale – probabilmente – è ancora pienamente immerso.