La rubrica
Incontro tra un palestinese e un israeliano: “Non ci importa di morire”
Un israeliano e un palestinese si incontrano e discutono della guerra. Si scontrano e si intendono sulla ferocia di questa guerra e su tanti anni di oppressione
Esteri - di Mario Capanna
Israele ora tratta i palestinesi come se fossero degli ebrei del ghetto. È una delle grandi ironie
(N. Mailer)
Palestinese: David, il tuo nome è solenne, straordinariamente evocativo…
Israeliano: Wa-la hada (“Nessuno”): che strano nome è il tuo!
Nessuno. Lo trovi singolare? Io per nulla. Appena ebbi l’uso della ragione, ne chiesi il motivo a mio padre. “Ti ho messo questo nome”, rispose, “perché noi palestinesi siamo considerati nessuno in Terra, sulla nostra terra… per di più”…
David. Non esageriamo con il vittimismo adesso!
N. Io che esagero, è il massimo. Ho vent’anni, all’incirca la tua stessa età. Il tuo esercito ha ammazzato mio padre, perché difendeva il suo campo dall’esproprio dei coloni, e oggi lì c’è una colonia; mio fratello, di tre anni maggiore di me, è stato arrestato, solo perché sventolava una bandiera palestinese, e non so nemmeno dove sia, né se sia vivo…
D. Non sono ipocrita, riconosco qualche eccesso da parte nostra.
N. Eccessi, dici? Delitti: è la definizione giusta. Da quando ero bambino, non ho visto altro che l’occupazione militare della mia terra, bombardamenti, carri armati, elicotteri d’assalto e bombardieri, gentilmente forniti a voi dagli Usa, missili e droni che piombano e devastano all’improvviso, case sventrate, ulivi secolari sradicati, rastrellamenti, arresti, prigioni, almeno un lutto violento in ogni famiglia, posti di blocco a non finire, coprifuoco per settimane e mesi, disoccupazione, miseria, esilio persino: la dignità nazionale calpestata e quella personale continuamente violata da una forza sempre incombente e soverchiante, in apparenza onnipotente anche perché protetta, contro i diritti dei popoli, in alto loco… Basta così, o devo continuare?
D. Un momento: non è che voi palestinesi ci siete andati giù leggeri… Imboscate, continui attentati terroristici e, da ultimo, la terribile ferita infertaci da Hamas il 7 ottobre scorso, con l’uccisione barbara di inermi e persino il rapimento di decine di ostaggi…
N. David, forse non ti rendi conto di quello che dici. Mettiti, per un attimo, nei panni di noi palestinesi. La nostra vita è ridotta all’abiezione, prigioniera di un avvilimento abissale, penetrata dalla paura e dall’angoscia di giorno e di notte, quando un’irruzione improvvisa può distruggerti l’esistenza o quella dei tuoi familiari; lo sconforto per il presente e la sfiducia nel futuro ti corrodono come un acido; e tu ti trascini guardingo senza più alcuna speranza, abbattuto, demoralizzato, avvilito, con il peggiore dei mali dentro. E allora è evidente che viene l’impulso ad attaccarvi, in tutti i modi per noi possibili: voi che ci costringete nell’apartheid più odiosa e insopportabile.
Terroristi, dici. Perché, il vostro non è terrorismo di Stato? È il vostro terrorismo dall’alto, super armato, che induce il nostro dal basso, e la tragedia – tu e io ne sembriamo consapevoli – è che il primo alimenta il secondo, e viceversa. Sicché dovremmo smetterla, una buona volta, altrimenti saremo costretti ad andare avanti all’infinito.
D. Sul fatto che sarebbe bene smettere di ammazzarci a vicenda, sono d’accordo con te. Ma chi comincia per primo?
N. Tocca a voi, perché siete venuti da padroni sulla nostra terra. E perché siete stati voi, prima ancora del 1948, a portare il terrorismo in Palestina, dove era sconosciuto, con le bombe fatte esplodere nei mercati, le raffiche di mitra dalle auto in corsa ecc.
Se non lo farete, alleverete legioni di kamikaze contro di voi. Vorrei farti capire bene quello che si agita nella mente del palestinese, che investe deliberatamente con l’auto un gruppo di vostri cittadini o che, all’improvviso, spara loro addosso. Sa che, con tutta probabilità, finirà ucciso anche lui, ma non gliene importa. Sai perché? Perché ritiene di non avere più niente da perdere. Ed è questa la più grande aberrazione che avete prodotto. Affinché tu intenda in profondità, ti descriverò quello che chiamo il monologo della disperazione, che attanaglia molti di noi.
Pensi (noi palestinesi pensiamo molto): e vedi la comunità internazionale che dice di voler “difendere” i tuoi diritti, ma, al dunque, non fa nulla di concreto e molto, invece, a sostegno di chi te li nega. Sei giovane e, in fondo, avresti voglia di vivere. Ma non a queste condizioni. È vita, questa? No: è assenza di vita. Cominci a dirti: ho provato con le armi: niente. Ho provato con le pietre: niente. Ho creduto nella pace, riconoscendo al “nemico” il diritto di vivere in quella che era la mia terra, in cambio della poca che mi resta: niente.
Combatto da quando ero ragazzo, e non ho ottenuto nulla. Solo sofferenze e umiliazioni. La morte? Non mi fa paura. L’ho vista in faccia molte volte. E l’ho anche data, con il mio kalashnikov.
C’è un solo modo per mostrare attaccamento al mio popolo: usare il fantasma della mia vita. Sì, perché tutti noi palestinesi siamo fantasmi. Comprendi adesso perché io mi chiamo Nessuno? In realtà non esistiamo, non ci permettono – non ci permettete! – di esistere. E se prendo la mia decisione, perché dovrei scegliere quelli che dovranno… venire con me? Solo soldati? È forse diverso il colono armato che ha spodestato il mio campo? E suo figlio, quel ragazzino biondo, non guiderà domani il carro armato o l’aereo contro il mio villaggio? E quel signore con la barba e i capelli lunghi a trecce, e un libro sempre in mano, che magari in cuor suo si vergogna della mia tragedia, ma poi vota per Netanyauh, non è parimenti responsabile?
Basta. Ho deciso. Gli israeliani vedranno di che cosa è capace un palestinese. Finalmente sono padrone del mio destino. Compirò il mio ultimo atto di libertà. Capisci? La disperazione: abisso di annichilimento. L’attentatore non è folle. La sua, casomai, è una “pazzia” indotta: dalla condizione di invivibilità, che sbarra e sbrana il futuro. È questo che avete prodotto!
D. Devo dire che sei bravo a portare acqua al tuo mulino. Infatti: non hai detto nulla sul pogrom del 7 ottobre contro di noi…
N. Oh, non credere che me ne sia dimenticato. Dopo che i vostri governanti, spalleggiati da quelli americani ed europei, hanno fatto fallire gli accordi di Oslo, e sono andati avanti come se i palestinesi non esistessero più; dopo avere indurito il tallone sui nostri territori (occupati nel 1967), violando un’infinità di risoluzioni dell’Onu; dopo avere costruito illegalmente colonie su colonie, e martirizzato di continuo le nostre città e i villaggi, come potevate credere che non sarebbe successo nulla? L’attacco di Hamas, purtroppo a prezzo del sangue, ha riportato all’attenzione del mondo la questione palestinese, che era finita nel dimenticatoio. Dì la verità: quel corrotto di Netanyauh (che prolunga la guerra per ritardare di venire processato) e la sua accolita di ministri religiosi-fascisti pensavano di andare avanti tranquilli. Bada: io sono contro Hamas, perché vorrebbe costruire una società patriarcale e islamo-fondamendalista che io, da laico come la maggior parte dei palestinesi, respingo con tutte le forze. Però devi ammettere che l’attacco del 7 ottobre ha fatto crollare l’aura di invincibilità di Israele. Per questo avete risposto come impazziti.
D. Vuoi dire che Israele non aveva il diritto di reagire? Non aveva il diritto di difendersi? E vuoi forse insinuare che lo Stato ebraico va cancellato?
N. Ma per carità! È dal 1988 che l’Olp riconosce l’esistenza di Israele. E la stessa Hamas ha fatto formali dichiarazioni secondo cui accetterebbe il nostro Stato, se approvato con un referendum dai nostri concittadini. Per cui il problema, da tempo, non è più questo. Voi continuate ad agitarlo solo per propaganda. Il dramma è che Israele non vuole la nascita dello Stato palestinese.
Quanto al diritto di reagire: la carneficina di Gaza è un’aggressione disumana contro i civili, prima che contro i combattenti di Hamas. Il tuo esercito spara contro tutto quello che si muove, non puoi negarlo, compresa la “strage della farina” dell’altro ieri. La distruzione è pressoché totale e i bambini sono le vittime più numerose. E poi: l’arma della fame usata per annientare la popolazione; ospedali distrutti, malattie endemiche per privazione di acqua potabile e distruzione delle reti fognarie; persino torture sui prigionieri. Un vero e proprio genocidio.
D. Ti dirò che non condivido quello che il mio Paese fa a Gaza, E non sono pochi in Israele quelli che la pensano come me.
N. Meno male. Ci vorranno generazioni perché il fossato d’odio, scavato a Gaza e con l’apartheid sanguinosa in Cisgiordania, venga superato.
Rifletti: che adulti diventeranno i bambini palestinesi, feriti e storpiati, che hanno visto distruggere le proprie famiglie e le case? Questa è la tragedia nella tragedia.
D. Sono anch’io molto preoccupato. Sarà mai possibile la pace fra i nostri popoli, di fronte a una situazione così catastrofica?
N. Io penso che proprio l’esasperazione del momento spingerà gli uomini di buona volontà, che ci sono in ambedue i popoli, a desiderare e a costruire la pace.
Che ci potrà essere a una condizione imprescindibile: la creazione dello Stato palestinese, veramente indipendente, che conviva in pace con quello israeliano. Solo allora le immense ferite potranno essere sanate.
Pronunciando queste parole, Nessuno fissa intensamente gli occhi di David. Gli sembra di scorgervi un lampo di assenso. Subentra un breve silenzio. Continuando a guardarsi in viso, a David e Nessuno viene spontaneo stringersi la mano. Si alzano. Si allontanano. E ognuno si incammina verso il comune destino.