L'appello dei penalisti
Suicidi in carcere, servono rimedi deflattivi e immediati
18 suicidi dall’inizio dell’anno. Morti che invocano rimedi deflattivi immediati e segnali forti della volontà di una reale inversione di rotta
Giustizia - di Francesco Petrelli
Dovremmo imparare a riconoscere nella disperazione, non una condizione individuale, un sentimento proprio del singolo detenuto, ma un dispositivo collettivo autodistruttivo suscettibile di allargarsi all’interno di ogni comunità, di insidiarsi in particolare in ogni comunità chiusa quale è un carcere, facendo proprio del carico di autodistruzione il contrassegno oggettivo della condizione carceraria nel suo complesso.
Come scriveva il Garante nazionale a proposito del d.l. 124/2023 «l’atto di privare della sua libertà una persona implica una complessità di responsabilità e compiti in capo a chi dispone la misura e a chi deve curarne l’attuazione … ma anche assumersi la responsabilità di proteggerne l’integrità fisica e psichica, di garantire l’assistenza sanitaria, psicologica, di preservarne la dignità di persona … al fine di non correre il rischio che la restrizione accentui in maniera irreparabile le condizioni personali di fragilità».
- In carcere si continua a morire, suicidio numero 18 dall’inizio del 2024: un caso ogni due giorni
- Suicidio nel carcere di Marassi, 30enne si è tolto la vita nella sezione del ‘terrore’. Il Garante Saracino: “Poche attività per le persone più ‘difficili'”
- Aumento dei suicidi in carcere, per il capo del Dap è inspiegabile…
E’ per questo motivo che occorre intervenire al più presto, riconoscendo questa indeclinabile responsabilità dello Stato. Non c’è più tempo. E questo appello deve estendersi a tutte le forze politiche affinché colgano la natura oggettivamente più ampia, politica e sociale insieme, della crisi che sta attraversando l’istituzione carceraria. Una crisi di cui tutti dobbiamo sentirci responsabili per ciò che è stato fatto e per ciò che non è stato fatto.
Per i ritardi e per le omissioni. Non possiamo rimanere ancora inermi a vedere questo incendio che divampa, restando con le mani in mano. Discutendo se sia meglio riattare vecchie caserme o costruire nuove carceri, quando neppure sono stanziate risorse appena sufficienti per rimediare alle condizioni di inadeguatezza igienica e sanitaria e di integrare le carenze di organico che riguardano non solo la polizia penitenziaria, gli educatori e gli operatori sanitari, psichiatrici in particolare, ma anche il personale amministrativo e dirigenziale.
Chiedendosi se all’opinione pubblica saranno piuttosto gradite altre misure non carcerarie, quando si è riempito l’orbe terraqueo di formule spietatamente carcerocentriche. Il sovraffollamento non è causa diretta dei suicidi, ma catalizzatore evidente di tutti i disagi e di tutte le carenze strutturali e conseguentemente causa di abbandono dei singoli più fragili alla loro disperazione.
Qualunque segnale politico di apertura non può non tenere conto della drammaticità del presente, di quei diciotto suicidi dall’inizio dell’anno, con una media atroce di un suicidio ogni due giorni, drammi personali che investono l’intero territorio, da Cuneo ad Agrigento, che appartengono a giovani e meno giovani, italiani e stranieri, cautelati e in attesa di giudizio, detenuti definitivi e magari con fine pena oramai prossimi.
Morti che invocano rimedi deflattivi immediati, oltre che segnali forti e coerenti della volontà di una vera riforma di sistema e di una reale inversione di rotta che sottragga le carceri del Paese a quella dilagante disperazione.
*Presidente dell’Unione camere penali italiane