Il libro di Fornero

Fornero sbaglia, sul fine vita la Chiesa non è oltranzista

Perché i temi del fine vita sono umani, umanissimi e sarebbe pericoloso lasciarli nelle mani esclusive di un solo filone specialistico. Mai sentito parlare di interdisciplinarietà e trandisciplinarietà?

Editoriali - di Fabrizio Mastrofini

11 Febbraio 2024 alle 12:30

Condividi l'articolo

Fornero sbaglia, sul fine vita la Chiesa non è oltranzista

Giovanni Fornero produce un nuovo libro sulle tematiche del fine vita dal suo peculiare punto di vista. Cioè vuole di nuovo sostenere le ragioni della “disponibilità” – la vita è mia e ne faccio l’uso che voglio decidendo di terminarla quando lo ritengo opportuno – e contrastando le ragioni di quelli che chiama gli “indisponibilisti” – Chiesa cattolica soprattutto – per i quali la vita è sacra e va tutelata fino alla morte naturale.

In 328 pagine, le ragioni degli uni e degli altri sono sviluppate – in realtà più quelle dei primi, anche con l’introduzione di Marco Cappato – ripercorrendo la storia degli ultimi tre anni, cioè dal libro precedente che era del 2020.

Fornero, come ha già fatto in passato, spiega l’esistenza di un vero e proprio “diritto” alla autodeterminazione del soggetto. “Di fronte a determinate circostanze e sofferenze” vissute e giudicate “invivibili”, considerate lesive della propria dignità, il soggetto può decidere di “congedarsi volontariamente dalla propria vita, sia per mano propria sia con l’intervento di altri”.

Tra “paradigma” della disponibilità e “paradigma” dell’indisponibilità, non si dà possibilità di dialogo, ma alternativa secca in quanto sistemi “confliggenti e alternativi” e tra loro “non vige la dialettica dell’et-et ma quella dell’aut-aut”.

La posizione di Fornero è suggestiva, documentata, affascinante, però del tutto sbagliata. E per diversi motivi. Prima di tutto il preteso diritto dell’individuo a scegliere di terminare quando vuole la propria vita, è solo teorico.

Nel concreto, per realizzarlo dando seguito alla sentenza della Corte costituzionale del 2019 – che restringe a 4 casi specifici – oggi occorre passare per medici e tribunali; il soggetto deve produrre la documentazione clinica, medici e giudici devono verificare prima, avallare poi, la scelta della persona.

Dunque la “disponibilità” della propria vita, è tutt’altro che così, nei fatti delle procedure da attuare. E non è un aspetto secondario: fa capire che c’è una dimensione relazionale, sempre, anche quando si vorrebbe morire decidendolo da soli.

In secondo luogo, è tutta l’impostazione di fondo che non va, come è espressa nell’ultimo capitolo: “la complessa problematica del ‘fine vita’ prima di essere una tematica sociale, giuridica e politica è una tematica filosofica” e la filosofia ha una funzione anticipatrice rispetto al diritto.

Servono quasi 100 pagine per argomentare in proposito, dimenticando che la tematica del fine vita non è questione filosofica. È questione esistenziale, riguardante il filosofo allo stesso modo dell’uomo della strada, il laureato, il diplomato, la persona di cultura e quella che ha studiato poco, il professionista, il commerciante, la casalinga, la persona anziana e quella giovane.

Tutti cioè. E qui si tocca il limite della politica e del libro. È la politica, con una legislazione attenta alle persone, scientificamente sensata, a dover fornire delle risposte concrete.

Terzo: nella foga dell’argomentare a favore della disponibilità della propria vita, Fornero dimentica che sono i progressi della medicina ad avere portato all’allungamento della durata dell’esistenza.

Effetti positivi, certo, tuttavia viviamo di più perché curiamo meglio patologia prima mortali. E possiamo convivere con diverse patologie (co-morbilità, la chiamano i medici), i cui effetti alla lunga portano tanti problemi quanti quelli che vorrebbero risolvere.

La medicina (e la società) lavorano come se la persona non dovesse morire, ne allungano l’esistenza, si industriano per tenere in vita il più possibile, senza nessuna riflessione organica sulla qualità dell’esistenza stessa.

E sui diritti dei pazienti. E qui viene l’ultimo punto e riguarda la descrizione caricaturale, quasi, che Fornero fa del mondo cattolico, che vorrebbe schiacciato sul “paradigma” dell’indisponibilità ed è costretto ad ammettere che qualche apertura sembra esserci, citando il gesuita Carlo Casalone dell’articolo su La Civiltà Cattolica del gennaio 2022 a proposito del referendum sul cosiddetto omicidio del consenziente, dove si distingue tra posizioni della dottrina e legislazione di uno Stato non confessionale.

E cita alcune affermazioni di Mons. Vincenzo Paglia, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, sempre relative al dibattito di allora sulla proposta di referendum cassata nel 2022, che sottolineava l’importanza di una “mediazione giuridica” sui temi del fine vita.

Si tratterebbe però – chiosa Fornero – di “fughe in avanti” e “fortemente contestate” da altri settori del mondo cattolico. Per restringere tutta la sua argomentazione ad una sorta di invettiva contro il mondo cattolico, Fornero – pure documentatissimo, fin troppo perché il lettore si perde – dimentica, omette, tralascia, nasconde temi importanti.

Per esempio tace sulle Cure Palliative, che sul tema del fine vita hanno qualcosa da dire. Ed il mondo cattolico è in piena sintonia con tale aspetto. Secondo, mette da parte le Disposizioni Anticipate di Trattamento (Dat), introdotte dal 14 dicembre 2017 nella legislazione italiana (legge 219/2017). E certo che deve ometterle, perché le Dat vanificano la sua argomentazione.

E sono accettate dal mondo cattolico, nel senso che si riconosce il rilievo crescente dell’autodeterminazione del paziente nella relazione con il medico.

L’importanza che la legge attribuisce all’autodeterminazione della persona malata non diventa un paradigma assoluto di disponibilità. Viene invece richiamato, dalla legge, il criterio dell’appropriatezza clinica dei trattamenti, valutata dai curanti, che hanno la competenza per farlo anche sul piano degli standard scientifici e professionali vigenti, nel rispetto della propria coscienza.

Come disse Papa Francesco nel 2017, “per stabilire se un intervento medico clinicamente appropriato sia effettivamente proporzionato non è sufficiente applicare in modo meccanico una regola generale” ma occorre un discernimento che coinvolge la coscienza del malato, cui anzi viene riconosciuto “il ruolo principale”.

E così quando capiamo che per la Chiesa cattolica (addirittura da Pio XII) le cure sproporzionate possono venire legittimamente rifiutate (oggi si parla di ostinazione irragionevole nelle cure), quando vediamo che si sottolinea l’importanza delle Cure Palliative e della terapia del dolore; allora ci accorgiamo – anche Fornero dovrebbe accorgersi – che le argomentazioni traballano ed invece si dovrebbe insistere affinché sia lo Stato a promuovere la competenza del personale medico e riporvi fiducia.

Dovrebbe – lo Stato – fornire i mezzi per esercitare la medicina in condizioni soddisfacenti e stabilire il quadro legale appropriato per prendersi carico dei pazienti in modo adatto a ogni situazione e alle complessità del caso.

Quindi disponibilità ed indisponibilità, non hanno senso, se non per consentire a Fornero di sfornare volumi di un ciclo “filosofico”. Ma qui la filosofia da sola non può bastare. Perché i temi del fine vita sono umani, umanissimi e sarebbe pericoloso lasciarli nelle mani esclusive di un solo filone specialistico. Mai sentito parlare di interdisciplinarietà e trandisciplinarietà?

Giovanni Fornero, Il diritto di andarsene. Filosofia e diritto del fine vita tra presente e futuro, Utet, Torino, 2023, pp. 328 euro 22.5).

11 Febbraio 2024

Condividi l'articolo