Il raduno dem
Seminario Pd a Gubbio, deputati in gita scolastica e toccata e fuga di Schlein
I deputati in Umbria dopo un viaggio in pullman: nel resort (che un tempo era un convento) tiene banco la candidatura Ue della segretaria
Politica - di David Romoli
I deputati del Pd sono a Gubbio, arrivati in pullman, con appena qualche assenza, cantando Perdere l’amore e crepi la scaramanzia. I pezzi grossi, però, hanno preferito evitare la gita scolastica e sono arrivati in macchina. I senatori non ci sono, il dotto seminario è limitato ai deputati. I senatori si vedranno per conto loro alla fine del mese.
Non c’era, ieri, neppure la segretaria: arriverà oggi giusto in tempo per un intervento a metà mattinata, poi ripartirà di corsa. Le male lingue sussurrano che si tratti di assenza diplomatica, stanti in non celestiali rapporti che intercorrerebbero al momento tra lei e i deputati, nonostante la guida del gruppo sia nelle mani di una fedelissima come Chiara Braga, che ieri ha aperto le assise.
L’ex convento dei cappuccini trasformato in resort di gran lusso è blindato. Le disposizioni iniziali non permettevano ai giornalisti neppure di avvicinarsi, poi le maglie si sono un po’ allargate ed è stato consentito l’accesso nella hall.
Tanta segretezza stupisce a fronte del programma che prevede sessioni più da convegno che da direzione politica a porte chiuse. Nella prima, sulla politica internazionale sono previsti interventi della giornalista Francesca Mannocchi e di Nadia Urbinati, nella seconda, sulla “destra al potere” sono in programma interviste a Silvio Pons e Livia Turco, l’ultima sul “patto tra generi e generazioni”, prevede interventi di Linda Laura Sabbadini e Nicolas Schmitt. La trasparenza, insomma, non sembrava poter arrecare alcun danno.
Perché la scelta di tenere fuori dalla sala orecchie indiscrete? Evidentemente per il rischio che, pur partendo da questioni così generali, qualche deputato metta a tema il problema che travaglia il Pd in questi giorni: la candidatura di Elly Schlein alle europee.
Ma neppure la tensione estrema provocata da questa eventuale scelta, non a caso contestatissima da buona parte del Pd inclusi i pezzi da novanta che avevano sostenuto Schlein al congresso e formalmente fanno anche oggi parte della sua maggioranza, non si spiega facilmente a prima vista.
Sullo sfondo c’è l’esasperazione dei dirigenti del Pd, e in particolare proprio degli “schleiniani” come Dario Franceschini per lo stile e le modalità di direzione del partito dell’outsider. Si aspettavano una direzione collegiale, che lasciasse loro parecchia voce in capitolo.
Si sono ritrovati con una segretaria che non ascolta nessuno, con la quale è difficilissimo anche solo parlare, e che sceglie consultandosi solo con una ristretta rosa di fedelissimi, che per lo più neppure provengono dal Pd.
Da un lato la papessa straniera diffida del partito che guida e vede complotti da tutte le parti. Dall’altro teme proprio quella tutela dei dirigenti storici che avevano puntato su di lei soprattutto per l’esigenza di mettere in campo una figura nuova che potesse impedire un disastro elettorale nelle prossime europee e poi nelle regionali. La loro paura non riguarda solo l’eventualità di un risultato deludente della candidatura Schlein in tutte le cinque circoscrizioni ma anche quella di un suo successo smagliante.
Schlein, che ancora non ha deciso ma quasi sì, punta al milione di preferenze: un trionfo personale. È convinta, esattamente come Meloni dall’altra parte della barricata, che una sua discesa in campo in prima persona potrebbe garantire alla lista qualche punto percentuale in più, sino ad arrivare a quel 22-23% che per il Nazareno sarebbe oggi un esito trionfale.
Ma una segretaria così premiata dall’elettorato finirebbe giocoforza per portare la sua modalità di direzione anticollegiale alle conseguenze più estreme, ed è quel che più temono i leader della minoranza ma anche quelli della maggioranza esclusi dalla cerchia dei fedelissimi. Cioè tutti o quasi i nomi provenienti dal precedente establishment del partito.
Neppure si possono augurare, però, un insuccesso, perché in quel caso a farne le spese sarebbe l’intero partito, sarebbero anche loro e non solo la segretaria. Dunque moltiplicano le pressioni per evitare l’infausta scelta ma con poche speranze di farcela.
Un po’ perché Elly, proprio perché si sente circondata, vuole una prova di forza che blindi la sua leadership, un po’ perché la sfida di Meloni rende oggettivamente difficile una retromarcia che verrebbe vista dall’elettorato come ingloriosa fuga.
Forse a Gubbio di questo non si parlerà davvero. Ma questo è quello a cui tutti pensano in questo momento nel Pd e nel dubbio che qualcosa trapeli nel dotto seminario meglio, molto meglio tenere le porte ben chiuse.