La zuffa in Aula
Meloni incorona Conte capo dell’opposizione, Schlein finisce nell’ombra
Dal sì (“alla chetichella”) al Mes alle armi a Israele, Meloni squaderna una lunga lista di accuse all’avvocato. Lui coglie l’occasione, Repentino dietrofront di Meloni su Draghi: al momento giusto può esserle molto utile
Politica - di David Romoli
Più che un dibattito è una zuffa. A Montecitorio la premier e Conte se ne sono dette di tutte i colori, hanno dato fondo a un vero e proprio repertorio quasi da avanspettacolo, si sono rinfacciati di tutto divertendosi pure a coniare soprannomi (Conte) e formule al vetriolo (Meloni).
Per il leader dei 5S è tanto di guadagnato: Giorgia gli porge la corona di leader dell’opposizione e l’avvocato, che sa come stare sulla scena, si affretta a cogliere l’occasione. Spiazzata, anzi travolta dal fulminante scambio la segretaria del Pd, che invece di presenza scenica ne può vantare poca, finisce nel cono d’ombra.
La lista degli addebiti a carico di Conte squadernata dalla premier è chilometrica. “Codardia applicata alla geopolitica” in materia di Ucraina. Ipocrisia e peggio sul Mes, con quell’impegno a ratificarne la riforma deciso “alla chetichella” e corredato dalla firma di Di Maio con tanto di data incresciosa, un giorno dopo le dimissioni del governo Conte 2.
Regalo senza precedenti a truffatori e criminali col Superbonus, ribattezzato per l’occasione Superbuffi e poi via a ruola libera “Io ho creduto a due comici russi ma non ho detto nulla di diverso da quel che dico in pubblico ma c’è chi ha creduto a un partito fondato da un comico”.
Di nuovo ipocrisia sulle armi a Israele, perché proprio Conte, che le rinfaccia il silenzio di fronte ai bombardamenti di Gaza risulta essere il premier che a Israele ha venduto più armi di tutti. Il leader dei 5S non s’imbarazza e non si sottrae.
Vogliamo fare i nomi dei ministri che tuonano contro il Superbonus epperò ne hanno approfittato eccome? Eccoli serviti e guarda caso c’è anche quello della presidente.
La stessa che “ha detto di scommettere sulla vittoria dell’Ucraina e non si scommette sulla pelle delle popolazioni”. Tanto più che la scommessa la ha persa. E che dire di quell’abitudine di decidere le nomine nelle cene di famiglia, col cognato e la sorella? “Questo può farlo nel suo partito, non nello Stato”.
Giorgia Meloni non è nata ieri. Se prende così di petto un leader dell’opposizione, senza alcun aplomb istituzionale, come forse mai prima un presidente del consiglio si era permesso di fare, sa perfettamente di offrirgli un’occasione e non è affatto escluso che tra gli obiettivi dell’attacco ci fosse anche quello di squalificare Elly Schlein declassandola a nemica numero 2.
Ma probabilmente c’è di più. Meloni non sa ancora se firmerà la riforma del Patto di Stabilità e il Mes ma sa che sia che lo faccia sia che decida di bloccare la riforma verrà presa di mira di brutta, in Italia e all’estero. Se, come è più probabile anche se tutt’altro che certo, gli attacchi più contundenti arriveranno tutti dai 5S, che quanto a retorica si muovono sul suo stesso terreno: l’intemerata serve a spogliarli in anticipo di ogni credibilità.
Se non firmerà tirare in ballo l’ipocrisia dei 5S, peraltro contrari al Mes, la aiuterà a difendersi affermando che lei, a differenza degli altri, ha una sola faccia e non una alla luce del sole e una opposta “col favore delle tenebre”. Infine pompare i 5S le serve a ostacolare l’alleanza tra loro e il Pd, già malcerta di suo.
Con Mario Draghi, almeno in apparenza oggetto di un attacco persino più violento ma molto meno spiegabile, il discorso è diverso. La premier non ha alcuna voglia di entrare in rotta di collisione con Draghi, dal quale sa peraltro di essere apprezzata.
Se anche aveva intenzione di lanciare la frecciata contro una figura chiamata in causa per la presidenza della Commissione europea al solo scopo di bloccare la prevedibile sterzata a destra dell’Europa, dunque direttamente contro la sua strategia, le parole la hanno tradita.
E’ andata molto oltre le sue stesse intenzioni e lo dimostra al di là di ogni dubbio l’affannata retromarcia subito dopo il discorso, con i chiarimenti informali di Chigi prima, con una notturna telefonata riparatrice al presunto offeso poi, infine ieri esplicitamente, nell’aula del Senato.
Conte come nemico è perfetto da tutti i punti di vista e oltretutto cercare di fargli fare la figura del fedifrago ha anche una sua utilità elettorale perché gli elettori dei 5S, a differenza di quelli del Pd, sono molto più di confine con la destra.
Draghi invece deve restare amico e magari, al momento buono, tanto amico da poter essere messo in campo proprio dall’Italia non come pretendente al trono dell’amica di Giorgia, Ursula von der Leyen, ma come presidente del Consiglio europeo.
Una personalità come quella di Draghi, in quel posto, giocherebbe un ruolo non paragonabile a quello che esercita oggi lo scialbo Charles Michel e per il governo italiano sarebbe un gran vantaggio. Lo sarebbe per qualsiasi governo. Però capita che nel concreto si tratterebbe di quello guidato da Meloni.