Il caso del deputato Fdi
Pozzolo, il “pistolero d’Italia” torna utile a Meloni come arma di distrazione di massa
Il referendum sarà su autoritarismo o democrazia? Chiedete questo a Giorgia Meloni e state a vedere
Politica - di David Romoli
Nella sospirata conferenza stampa di oggi Giorgia Meloni è pronta a parare i colpi più insidiosi, ma anche più prevedibili, con l’annuncio della sospensione da FdI del deputato Emanuele Pozzolo. Non autosospensione o cortese richiesta di fare un passo indietro.
La premier intende mostrare il suo volto più severo e determinato, anche perché altra strada per provare a recuperare il danno d’immagine non c’è.
Senza quella mossa, che dovrebbe comunque essere certa e per quanto possa sembrare assurdo, nel quadro mondiale forse più drammatico dalla seconda guerra mondiale in poi, la parte del leone rischierebbe di farla Pozzolo, con la sua pistolina che sembra un giocattolo ma giocattolo non è.
Il caso è increscioso e comunque molto più imbarazzante di quanto FdI, partito dell’incauto in armi, voglia ammettere. Il presidente del Senato la Russa, bontà sua, ammette che presentarsi al cenone con l’arma in tasca è “inopportuno” e anzi forse bisognerebbe irrigidire le norme sulle armi che comunque sono “le più restrittive d’Europa”. Ma un caso politico, quello proprio no.
Parole. Va da sé che il fattaccio rivesta connotati politici, trattandosi di un parlamentare della Repubblica e non di un professionista o di un impiegato, e il diretto interessato ha fatto il possibile per peggiorare la situazione.
Ha impugnato l’immunità parlamentare, ha accettato il test stub sulla presenza di polvere da sparo sulle mani ma non ci capisce se e con quante ore di ritardo.
Ha permesso di analizzare i vestiti indossati al momento del botto, sempre per verificare l’eventuale presenza di tracce di polvere da sparo, ma si è rifiutato di consegnarli.
Ha fornito una versione dei fatti secondo la quale a sparare sarebbe stato lo stesso ferito, che ci vuole molta buona volontà per accogliere a scatola chiusa e comunque è smentita da un testimone secondo il quale l’arma era in mano all’onorevole.
Insomma, non c’è alternativa alla sospensione e per il resto, la richiesta di dimissioni da parlamentare, la faccenda non è di competenza del governo.
Sull’altra spina che attende al varco Meloni, lo stile sarà opposto: felpato ed elusivo. Al monito del presidente sulla concorrenza non si può rispondere picche a brutto muso, come vorrebbe Salvini.
Però non si può neanche accogliere l’invito a modificare la norma che proroga per ben 12 anni le concessioni degli ambulanti, perché significherebbe lo scontro di un Salvini in campagna elettorale a tempo pienissimo.
La premier sguscerà, eviterà, posizioni nette, non chiuderà né aprirà i cancelli. L’idea del governo è rivedere la proroga ma possibilmente a giugno, dopo le europee.
E’ un po’ un classico gioco all’italiana ma a renderlo meno agevole del solito c’è il fatto che si dice ambulanti ma s’intende anche balneari e lì il tempo stringe.
I due mesi canonici concessi dalla Commissione per ottenere spiegazioni soddisfacenti sulle intenzioni dell’Italia scadranno il 16 gennaio: a quel punto la procedura d’infrazione prenderà la rincorsa. Le trattative per evitarla stanno andando non male ma peggio.
La commissione è rigida, vuole risposte chiare e impegni precisi. La faccenda, già seria, lambisce l’incidente diplomatico col Colle, che l’anno scorso aveva messo in guardia il governo senza essere ascoltato. Ora ci riprova con gli ambulanti ma il discorso sempre la decisione di adeguarsi o meno alla direttiva Bolkenstein riguarda.
Tra tutti gli ostacoli che attendono oggi la premier il nodo concorrenza è il più scivoloso. Lei fa sapere che preferirebbe concentrarsi sulla politica estera e non le si può dar torto. Sempre che sappia cosa dire.
Ieri, dopo ore dalla strage di Teheran, il governo era ancora muto, in attesa di vedere le reazioni degli altri governo europei. I quali però mantenevano a loro volta la bocca cucita, probabilmente anche loro in attesa di capire come maneggiare l’incandescente faccenda.
Ci sarebbe anche il problema Anas/Verdini ma quello per la premier non è preoccupante: guai di Salvini e meglio così. Certo le verrà chiesto se non ritiene opportuna una legge anti lobby ma se la caverà promettendo, le promesse essendo sempre la merce più economica in politica.
Il vero cruccio dell’intervistata, in realtà, è un altro: è la campagna che mira a fare del referendum sulla sua riforma costituzionale, il premierato, una scelta tra autoritarismo e democrazia. Dicono che sia imbufalita con Giuliano Amato reo di aver permesso che si diffondesse questa lettura. Se oggi perderà la calma sarà su questo fronte.