Un Parlamento mondiale
Redistribuzione della ricchezza è un imperativo etico e viene prima della questione democratica
Destra e sinistra sono parole obsolete che non mi interessano più. La lotta di classe? L’hanno vinta i ricchi come ci ha spiegato Revelli. Ora dobbiamo sperare nei ragazzi che non hanno ancora 20 anni. Del resto ce lo diceva pure Gesù: solo i bambini ci salveranno
Editoriali - di Franco Cardini
Caro Mario,
mi sono molto piaciuti il coraggio, l’entusiasmo e la freschezza – guarda che questo è un apprezzamento altamente positivo: e che non sto facendo dell’ironia – con i quali, alcuni giorni or sono, hai affrontato il problema dell’inadeguatezza rispetto alle esigenze del giorno d’oggi sia della Carta delle Nazioni Unite, di ormai tre quarti di secolo fa, sia delle istituzioni dell’ONU ingabbiate e poste in permanente ricatto da parte delle cinque potenze mondiali riunite in Consiglio di Sicurezza che le controlla e ciascuna delle quali dispone della micidiale arma del “diritto di Veto”.
D’altronde, come sostituire questa squallida farsa – e il recente scandaloso “veto” statunitense alla proposta di una pur brevissima tregua nel macello israeliano-palestinese ne dimostra l’ornai irreversibile inutilità – con un effettivo sistema “democratico”? E di quale democrazia stiano parlando?
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La tua proposta è l’elezione di una nuova rappresentanza a scegliere la quale siano chiamati tutti gli abitanti della terra, con voto individuale, senza alcuna distinzione di appartenenza a realtà societarie o comunitarie di sorta.
È evidente che in tempi di globalizzazione matura tutto ciò può ben esser tradotto in qualcosa di praticabile: ma, per corrispondere a un percorso concepibile in termini concreti, necessita di ulteriori indicazioni di qualità, di metodo e d’indirizzo.
Quali? E’ evidente che ci aspettiamo da te (o, quanto meno, che io mi aspetto) un piano organico di riforma, arduo magari, ma affettivamente applicabile. Credo che dovresti metterti al lavoro, poi magari andremo avanti tutti insieme: lo scopo della battaglia è chiaro e – anziché bollarlo pregiudizialmente come utopistico – attendiamo adesso che tu indichi al riguardo una tattica e una strategia plausibili.
Consentimi però intanto di osservare che così com’è, per il momento, il tuo pensiero somiglia a quello che secondo Giovanni Gentile caratterizzava i comunisti degli Anni Venti-Trenta del secolo scorso: i quali, a detta del grande filosofo siciliano che li guardava dalla sponda della sua scelta fascista con un’evidente (paradossale ma non troppo) simpatìa, erano “dei corporativisti impazienti”.
Il paragone non deve né offenderti né sembrarti provocatorio, caro Mario: il fatto è che, con il tuo miraggio di un suffragio universale esteso a tutti gli esseri umani sulla base di un impeccabile postulato del diritto giustinianeo, peraltro con valenza esclusiva nel diritto privato (quod omnes tangit, ab omnibus adprobari debet), tu fissi come punto di partenza quello che dovrebbe semmai costituire un punto d’arrivo.
Mi sembra che sia necessario invertire quello che ora è per te un “cànone inverso”: e che tu debba rispondere al classico, leniniano “Che fare?” per spiegarci in che modo giungere a quella che tu, con cristallina evidenza, definisci appunto metànoia. Parola altissima, straordinaria, che si può tradurre con “totale cambiamento”, magari addirittura “rivoluzione”: e che Paolo di Tarso usa nel senso cristiano di “conversione”.
Che ci si debba convertire all’assoluta e perfetta democrazia è tua convinzione; io nutro molti dubbi al riguardo, ma se tu me ne insegnassi la strada ci potrei anche stare. Per ora, sono d’accordo con te su un principio: come direbbe Catone il Censore, et hoc censeo, ONU delenda est; e prima ancora, con la massima urgenza possibile, NATO delenda est.
Ciò irrinunziabilmente premesso, procedo nel mio ragionamento con gli umili strumenti offertimi dal magistero della storia e con l’ausilio del “disincanto” weberiano. E comincio dal momento della Grande Rottura: l’Eccezione occidentale.
La storia ha sempre proceduto secondo fasi di discontinuità spesso imprevedibili e comunque inevitabili: ma il Grande Balzo è maturato – dopo un paio di secoli di preparazione – fra Quattro e Cinquecento, allorché la cultura euro-occidentale ha fatto saltare con le sue scoperte e le sue invenzioni l’antico equilibrio di un’umanità “a compartimenti stagni” ed ha inaugurato con l’economia-mondo la globalizzazione che avrebbe quindi gestito nel nome dei suoi specifici parametri concepiti e proposti però come i soli veramente “universali”.
A metà Quattrocento però Nicola Cusano guardava nel suo De pace fidei alle antiche tradizioni extracristiane ed extraeuropee allora in procinto di venir sommerse e soggiogate: e sognava una sintesi che nei secoli successivi apparve inattuale e impossibile, mentre oggi torna a proporsi come necessaria.
Oggi, libri come Il furto della storia di Jack Goody (Feltrinelli 2008) e La democrazia degli altri di Amartya Sen (Mondadori 2004), del resto preceduti da un “classico” quale Il mondo e l’Occidente di Arnold J. Toynbee (Sellerio 1992), hanno contribuito a chiarirci le idee liberandoci da schemi ormai invecchiati e chiarendo quella che già per Claude Lévi-Strauss era, antropologicamente parlando, la “ragione nascosta” delle culture diverse dalla nostra e con le quali la globalizzazione ci obbliga a confrontarci facendola finita una volta per tutte con l’occidentocentrismo ch’è la nostra vecchia malattia; mentre scritti quali Chi sono i padroni del mondo di Noam Chomsky (Ponte alle Grazie 2007) hanno avviato forse definitivamente il tempo del disincanto sfrondando gli allori dei quali si sono troppo a lungo adornati gli altari della Libertà individualistica e del Progresso turbocapitalista e avviando il tempo di un multilateralismo ormai necessario, che possa affrontare sul serio l’autentico grande problema dei nostri tempi: l’urgenza di una più equa ridistribuzione della ricchezza nel mondo.
Ch’è questione non primariamente economica, bensì essenzialmente, intrinsecamente etica per tutto il genere umano il quale si rifiuta di esser trattato da oggetto schiavo delle “leggi del mercato” in un mondo governato dalle lobbies oligarchiche degli happy few e paradossalmente assoggettato al “pensiero unico” socioculturale (l’omogeneizzazione e il livellamento di cui già parlava Pasolini) mentre l’incudine economica e il martello finanziario, con le loro “ferree logiche” iperliberiste, lo ritagliano sul filo spietato di una forbice fra i pochissimi troppo ricchi e i moltissimi troppo poveri che si va allargando di giorno in giorno.
Ho cercato di precisare questi problemi e queste istanze in un saggio recente, La deriva dell’Occidente (Laterza 2023), ch’è stato giudicato “un libro di destra scritto da uno di sinistra, o forse un libro di sinistra scritto da uno di destra”: definizione questa certo ironica, forse polemica, ma che mi sembra comunque ben qualificare la mia reticenza a collocarmi dall’una non meno che dall’altra parte.
Quelle parole, divenute insignificanti perché abusate, non m’interessano. In un mondo che cambia ancora più rapidamente di quanto sembri – meditate sul numero di aprile 2023 del “National Geographic Italia”, dall’eloquente titolo “8 miliardi. Il Paradosso” -, le nostre cognizioni non possono più affidarsi alla disinformazione mediatica né contare sull’educazione standardizzata e obiettivamente obsoleta che (nonostante le buone intenzioni di molti) continua a venir diffusa dalle istituzioni scolastiche.
Per svegliarci, cominciamo a meditare attentamente su quanto scrive Marco Revelli, La lotta di classe esiste. E l’hanno vinta i ricchi (Laterza 2020). I “lavoratori di tutto il mondo” che avrebbero dovuto unirsi a metà Ottocento erano essenzialmente quelli del triangolo magico tra Londra, Parigi e Berlino, ma oggi la realtà è diversa: da Pechino e da Tokyo a Los Angeles, passando per Ulan Bator e New Delhi, per Mosca e per Teheran fino al Cairo, a Cape Town, a Buenos Aires. E il miserando “popolo dei gommoni” sul Mediterraneo ne è solo l’avanguardia.
I grandi problemi del momento, dal riscaldamento e dall’inquinamento ambientali al disordinato e fragile incremento demografico fino all’intelligenza artificiale e alle questioni della selezione delle élites e dell’organizzazione del consenso che stanno alla base delle dinamiche “democratiche” ma ne costituiscono anche la minaccia hanno bisogno di esser guardati con occhi nuovi e spregiudicati.
Il libro di Zygmunt Bauman Modernità liquida (Laterza 2003), ormai divenuto un “classico”, ha segnato proprio all’inizio del nostro secolo – e del nuovo millennio – la Jahrhundertswende di una storia del mondo che stava ormai voltando pagina, come tragicamente era stato annunziato dall’11 settembre di due anni prima della sua pubblicazione.
E il 18 giugno 2015 papa Francesco, promulgando l’enciclica Laudato si’ dedicata alla “cura della casa comune”, ha formulato pacatamente una serie di denunzie, documentate e terribili, a proposito della perdita delle diversità culturali, del rapporto tra deterioramento della qualità della vita e degrado sociale, dell’ “inequità” (ardito e pittoresco ispanismo che efficacemente coniuga ineguaglianza, ingiustizia e iniquità) che domina il pianeta, della subordinazione dei doveri e dei còmpiti comunitari all’interesse dei pochi, della tragica complicità tra concentrazione del potere e della ricchezza da una parte, crescenti impoverimento e sottoproletarizzazione di massa dall’altra.
Ho sintetizzato il pensiero del Santo Padre nel saggio Un uomo di nome Francesco, Mondadori 2015: una provocazione che quasi nessuno ha raccolto. Lascio a chi vorrà farlo l’indagare le ragioni di questa sfida andata a vuoto. Tu, caro Mario, ci hai suggerito da dove cominciare: ma in realtà ci hai indicato l’approdo della nostra nuova nave di Ulisse. Sta a noi, ora, tracciare la rotta.
Quale dovrà essere la prima tappa? Forse, una sveglia da dare con energia ai giovanissimi europei, quelli ancora vergini dal consumismo e dai suoi deleteri effetti di corruzione di rimbecillimento progressivi. Quelli che intraprendono adesso il cammino del loro secondo decennio di vita, perché i meno giovani di così sono, nel “nostro Occidente”, nella maggior parte dei casi già perduti e corrotti.
Ricominciamo da loro nella nostra battaglia per liberare l’umanità dalla superstizione dell’Avere per riportarli all’Essere. Impostiamo insieme con loro la lotta contro il Nulla che avanza. Prendiamo alla lettera Gesù: o si torna bambini, o non si entra nel regno dei cieli: ch’è, umanamente, quello della giustizia e della solidarietà.
Ecco il punto, in sintesi. Debbo forzatamente concludere con una citazione da papa Francesco: “La nostra non è un’epoca di cambiamenti, ma un cambiamento d’epoca”.