La riforma Salva-Stati

Il Mes va in Aula, ma si va verso un nuovo rinvio al 2024

Salvini e Meloni contro la ratifica senza aver portato prima a casa risultati sul patto di Stabilità, FI è possibilista. Se ne riparlerà nel 2024

Politica - di David Romoli

12 Dicembre 2023 alle 13:30

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Matteo Salvini e Giancarlo Giorgetti
Matteo Salvini e Giancarlo Giorgetti

È possibile che i ministri delle Finanze europei, la settimana scorsa, abbiano creduto davvero alle parole, in realtà vaghe, del collega italiano Giorgetti. Non un impegno ma l’accenno all’eventualità che Roma si potesse decidere a sbloccare la riforma del Mes già questa settimana.

È anche possibile che lo stesso Giorgetti ci abbia sperato davvero: ratifica della riforma in cambio di un patto di stabilità digeribile per l’Italia. In quel momento sembrava possibile. Le cose sono andate diversamente: il Patto è ancora in sospeso, la partita è aperta, la possibilità di un’approvazione del Mes quando giovedì approderà in aula è sfumata.

Ci vorranno giorni o forse settimane. Più probabilmente mesi, come vaticina il ministro Crosetto. In privato, con la presidente della Bce Lagarde, con la presidente della Commissione von der Leyen, con il cancelliere tedesco Scholz, la premier italiana non ha detto nulla di diverso da quel che ripete in pubblico da oltre un anno: prima bisogna vedere come va tutto il resto, la ratifica a scatola chiusa non è contemplata. Lo ha detto anche ieri.

“Quando saprò qual è il contesto nel quale mi muovo, saprò anche cosa fare del Mes”.“Il resto” può voler dire molte cose. Per esempio passi avanti sulla strada dell’unione bancaria, quella che chiede il leader di FI Tajani, peraltro nella maggioranza il più favorevole ad approvare subito il Salva Stati nuova versione. Ma nessuno si illude che la Germania sia disponibile.

Più plausibile la trattativa sul bilancio europeo, che sarà al centro del Consiglio europeo del 14 e 15 dicembre. Lì l’Italia ha speranze fondate e possibilità concrete di ottenere un incremento del fondo per contrastare l’immigrazione secondo la nuova strategia proposta proprio dall’Italia, la difesa dei confini esterni e l’intervento in Africa per impedire le partenze.

Ma questi, pur essendo capitoli di enorme importanza in sé, sono secondari rispetto alla vera posta grossa, che resta la ridefinizione del Patto di Stabilità. In Italia nessuno più nega che si dice Mes ma s’intende Patto. Per l’opposizione, a partire dal responsabile dell’Economia del Pd Misiani, “un ennesimo rinvio indebolirebbe la posizione dell’Italia nella trattativa”.

Il capogruppo azzurro Barelli nella maggioranza è la voce più possibilista ma, almeno ufficialmente, solo perché “così si rassicurerebbero gli altri Paesi europei e si faciliterebbe la deroga al Patto”. La Lega, col capogruppo Molinari, è tassativa: “Non si può discutere il Mes quando la trattativa sul Patto è lontana dalla conclusione”.

Non è che FdI la pensi molto diversamente però. Per Fitto le cose vanno discusse nel complesso e al Mes si arriva solo alla fine del percorso. Malan concorda. Crosetto, realistico, prevede pertanto che al momento della verità si arriverà solo nel 2024.

Quel momento della verità lo temono un po’ tutti. Una parte della Lega non voterà comunque la riforma del Mes, ma lo stesso leader Salvini, senza risultati soddisfacenti che oggi sembrano sideralmente lontani sul Patto di Stabilità e con la campagna per le europee già iniziata, potrebbe scegliere di sfilarsi, magari solo con l’astensione.

La riforma passerebbe comunque col voto dei centristi e del Pd ma una maggioranza spaccata su un tema così centrale, anche simbolicamente, sarebbe un pessimo segnale per queen Giorgia e un viatico ancora peggiore per i rapporti tra le due destre, i Conservatori e gli Identitari, a livello europeo dopo le elezioni, quando le ambiguità su cui marcia la tregua tra Meloni e Salvini dovranno essere chiarite.

Se la maggioranza piange, l’opposizione non ride. Nei giorni scorsi una voce non certo secondaria ha evitato di unirsi al coro che chiedeva alla maggioranza di approvare subito il Mes: quella del M5S. Il partito di Conte non voterà la riforma, lo si può dare per certo già ora.

La messa a nudo della contrapposizione tra Pd e M5S su un tema nevralgico, e proprio per questo tenuto il più nascosto possibile, come l’Europa avrebbe conseguenze tanto deflagranti a sinistra quanto nella maggioranza e forse anche di più, non essendoci qui il collante del potere a tenere comunque unite forze ormai molto diverse.

Ma la partita del Mes è ormai solo uno subordinata a quella vera, quella sul Patto, e non è ancora detto che quella sfida principale non renda impossibile sciogliere il nodo che ne deriva neppure in pochi mesi. Per ora le possibilità di accordo accettate dalla Germania e dai frugali sono antitetiche, rispetto alle richieste dell’Italia e dei Paesi ad alto debito, non solo nei singoli punti in discussione ma nell’approccio globale.

Le clausole di salvaguardia imposte dai Paesi nordici hanno trasformato lo spirito della proposta originaria della Commissione, basata com’era su flessibilità e trattative Paese per Paese e caso per caso, nell’opposto: un patto di fatto più rigido e vincolante di quello di Maastricht. Dunque non è affatto detto che la questione si risolva davvero entro il 31 dicembre.

La premier conferma i dubbi dell’Italia: “Credo non si possa dire sì a un patto che nessuno Stato potrebbe rispettare: non sarebbe serio ma vedo spiragli per una soluzione seria che tenga conto del contesto”.

In caso di rinvio a dopo le europee, probabilmente almeno come ponte tornerebbero in vigore le vecchie regole ma più a scopo di facciata che concreto: già mai davvero rispettate, quelle regole lo sarebbero ancor meno trattandosi solo di una soluzione-ponte. E a quel punto di Mes se ne riparlerebbe non tra settimane o mesi ma tra qualche stagione.

12 Dicembre 2023

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