La guerra in Medioriente

Intervista a Stefano Silvestri: “Missione di pace difficile finché Hamas è a Gaza”

Parla l’analista, ex presidente dello Iai: “Non funziona se non può garantire che la Striscia non diventi di nuovo una base per operazioni contro Israele”

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

18 Novembre 2023 alle 13:00 - Ultimo agg. 19 Novembre 2023 alle 12:38

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Intervista a Stefano Silvestri: “Missione di pace difficile finché Hamas è a Gaza”

La guerra di Gaza, come uscirne? L’Unità ne discute con uno dei più autorevoli analisti di politica internazionale: il professor Stefano Silvestri, già presidente dell’Istituto Affari Internazionali (IAI) ed oggi consigliere scientifico.

Professor Silvestri, a Gaza si continua a combattere e a morire. E il fronte si sta allargando alla Cisgiordania. Che bilancio trarre?
L’attacco di Hamas del 7 ottobre ha messo Israele in una posizione molto delicata e difficile. Perché non poteva subire un attacco di questa rilevanza e ferocia senza dover poi eliminare questo tipo di minaccia. Qualsiasi governo sarebbe stato obbligato a intervenire nell’area di Gaza per eliminare o comunque ridurre fortemente le capacità militari di Hamas anche se non di distruggerne tutta la dirigenza, pure perché una parte significativa è da tempo fuori dalla Striscia. Questo con un nemico, Hamas, che non è il campione della causa nazionale palestinese ma una struttura fondamentalista che vuole la distruzione dello Stato ebraico. Hamas non è come l’Olp, che voleva sì la distruzione d’Israele ma aveva come primo punto gli interessi dei palestinesi, e quindi poteva accettare, anche se poi non c’è riuscita fino in fondo, un compromesso con Israele e anche riconoscerne l’esistenza, cosa che l’Olp ha fatto.

E Hamas?
Hamas non ha questo tipo di background. La sua matrice è in buona parte religiosa. Nasce come costola dei Fratelli Musulmani, ed è un movimento fondamentalista più simile ad al-Qaeda, all’Isis che all’Olp. E questo rende l’operazione nei confronti di Hamas delle forze armate israeliane particolarmente difficile, Hamas non ha alcun ritegno ad utilizzare i civili palestinesi come scudo, anche perché questo favorisce il suo discorso ideologico anti israeliano. L’aumento delle vittime crea indignazione, sgomento un po’ dappertutto e in particolare nel mondo arabo e islamico. Da questo punto di vista, Hamas può considerare la guerra, anche se la perde, come una mezza vittoria.

E Israele?
Per vincere questa operazione deve ridurre ai minimi termini Hamas. E per questo non può interromperla.

Guardando agli anni passati, di chi è la responsabilità della deflagrazione dello stallo politico in un conflitto armato?
La prima responsabilità è certamente d’Israele e dell’Olp e dell’Autorità nazionale palestinese. Nessuna delle parti in causa è arrivata a definire un compromesso accettabile di pace. Negli ultimi anni a complicare ulteriormente le cose c’è stata la svolta a destra d’Israele, l’aumento dell’importanza dei partiti religiosi, dei coloni, dei fautori della Grande Israele, che includa Giudea e Samaria, cioè la Cisgiordania. Tutto questo ha accresciuto la pressione non su Hamas ma sull’Autorità nazionale palestinese, divenuta il vero bersaglio della destra israeliana.

Perché, professor Silvestri?
Perché la destra israeliana non era interessata a Gaza. Il problema di Gaza era il contenimento dell’azione di Hamas. E a Tel Aviv pensavano di averla contenuta. Netanyahu aveva addirittura fatto delle aperture a Gaza, consentendo lavoratori giornalieri, un maggior numero di scambi, nonostante i missili di Hamas. L’attacco del 7 ottobre ha dimostrato che avevano sbagliato tutto. Io credo che la destra reagirà a questa dèbacle sacrificando Netanyahu ma poi bisognerà vedere cosa succederà. Il problema per Israele e gli abitanti di Gaza è che questa operazione durerà ancora a lungo. Bisognerebbe che si liberassero di Hamas, ma non hanno la possibilità di farlo.

Sembra farsi strada l’ipotesi, caldeggiata da Stati Uniti e dall’Europa, di una forza di peacekeeping a Gaza. E un’ipotesi realistica?
Potrebbe anche esserlo, una volta distrutta Hamas. Ma se Hamas rimane a Gaza, la forza di peacekeeping dovrebbe fare quello che stanno facendo gli israeliani. Non si può fare una forza d’interposizione tipo l’Unifil in Libano. L’Unifil non ha neanche l’autorità vera di controllare gli Hezbollah. Doveva in teoria disarmarli, ma poi si è scoperto che il realtà il disarmo doveva essere fatto dall’esercito libanese sotto il controllo dell’Unifil, che alla fine diventa una forza di testimonianza che non è in grado di impedire lo scontro tra Israele ed Hezbollah o l’invasione del Libano. Se una ipotetica forza d’interposizione non è in grado di garantire che Gaza non diventi nuovamente una base per operazioni contro Israele, non funzionerebbe. E poi vorrei vedere chi ci partecipa ad una simile forza internazionale. Fai una forza araba? Non è credibile, come non lo sarebbe una forza europea. Una forza americana, o russa o cinese? Chi è che si vuole prendere questa rogna mostruosa di gestire Gaza. Lo puoi fare se la centrale terroristica è distrutta e se hai la possibilità, politicamente molto difficile, di riportare un’Autorità Palestinese più moderata a Gaza.

Perché molto difficile?
Perché nel frattempo all’interno della popolazione palestinese, in una situazione così acuta di conflitto come c’è a Gaza e anche in Cisgiordania, il prestigio e l’autorevolezza politica dell’Anp, con una leadership cadente, sono molto bassi: rasenti lo zero. Ma in prospettiva questa potrebbe essere una soluzione. Se hai un’Autorità Palestinese moderata, che si collegasse con la creazione di un secondo Stato in Palestina, allora a quel punto puoi schierare una forza d’interposizione, che sia di garanzia e di controllo per ambedue le parti. Puoi garantire i palestinesi nei confronti d’Israele, forse, ma è molto più difficile garantire Israele nei confronti dei terroristi o delle milizie se non hai l’autorità per intervenire contro di loro.

18 Novembre 2023

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