L'inno futurista
C’erano Marinetti e D’Annunzio, ci è rimasto Galli della Loggia…
La tesi dell’editorialista rapito dalla violenza salvifica delle bombe è che dietro ai “corpi orrendamente dilaniati” c’è un disegno provvidenziale che porterà (con lo sterminio) la democrazia
Editoriali - di Michele Prospero
Stupisce che la pubblicazione sul Corriere di un editoriale contenente un autentico inno al fragore delle armi non abbia prodotto, anzitutto nella redazione di via Solferino, una risposta alla Leopardi, tra riso e commozione.
Lo scritto segue le orme di uno spiritualismo vitalistico ed esalta il miracolo della “dimensione bellico-militare”. Tra un’eco di D’Annunzio e uno spiffero di Marinetti, l’autore dell’articolo di fondo si inchina, quasi in preda a un rapimento inebriante, al cospetto della forza creatrice sprigionata da “polemos, la guerra”.
Una venatura estetizzante trascina Galli della Loggia, attraverso immagini degne di una religiosità neopagana (“quasi mai il male può essere sconfitto dal bene”, rivela), alla venerazione dell’immane spettacolo di morte recato dal felice “vento di fuoco”. La tesi storiografica è esplicita. Dinanzi a degli occhi superficiali stanno soltanto i cumuli illimitati di macerie con i “corpi orrendamente dilaniati”.
Allo sguardo più penetrante dello storico, invece, non sfugge che, dietro le esteriori perdite umane, proprio le pratiche di annichilimento disvelano l’approssimazione a un disegno provvidenziale. E la conseguenza immancabile che segue all’inferno della guerra è nientemeno che l’ingresso nel paradiso della “democrazia europea”.
Afferrato con un colpo di reni il celestiale regno democratico, l’Occidente decantato dalle pagine del Corriere raggiunge una condizione spirituale così elevata che, dalle sue altezze razionali, può anche proclamare di fregarsene degli etico-giuridici “criteri odierni”, di spernacchiare le polverose “pandette dei tribunali” (tradotto, il diritto internazionale). Secondo il quotidiano di Cairo, la guerra, la quale sempre costruisce assieme alle trincee anche le magnifiche sorti e progressive, è sprovvista di inutili regole di condotta.
Nulla vieta alle liberaldemocrazie – a che serve altrimenti proclamarsi i custodi della società aperta? – “di commettere quelli che attualmente almeno tre o quattro trattati e convenzioni internazionali definiscono crimini di guerra”. Anche Hegel scomodava “una giustificazione della provvidenza” per sollecitare gli Stati sovrani, operanti tra di loro in uno status naturae, a utilizzare la polvere da sparo come sostanza rigeneratrice della “salute etica dei popoli”, la quale diversamente sarebbe stata infiacchita dalle ipotesi di pace perpetua con la loro vana pretesa che potesse darsi un “pretore” autorizzato a dirimere civilmente le dispute.
Ma il filosofo tedesco non si azzardava a seguire la “malinconica quanto si vuole ma realistica riflessione” della firma del Corriere, che si precipita a scagionare le potenze della rettitudine allorché prendono la messianica decisione “di uccidere anche civili innocenti, anche donne, vecchi e bambini, di uccidere per uccidere”. D’altronde, “per affermare le proprie ragioni anche il bene è costretto a servirsi dei mezzi più discutibili”.
Il quotidiano si erge così a sentinella dell’Occidente liberale sorto provvidenzialmente dallo sterminio. Ora che il pluralismo laico viene minacciato dai fanatici islamici, l’asse euro-atlantico sotto i vessilli del cristianesimo – e la Turchia, che rappresenta il secondo esercito della Nato? – può rispolverare le più sofisticate “tecniche di bombardamento” che porteranno il costituzionalismo nel deserto.
Se le democrazie davvero rivendicassero la facoltà di “uccidere per uccidere” come una loro prerogativa permanente, condannerebbero però all’oblio le grandi tradizioni civili del moderno. L’inchiostro cingolato di Galli della Loggia conferma la bontà della denuncia di Vico circa la incombente “barbarie”, quale fenomeno ciclicamente ricorrente che lambisce la “boria delle nazioni” e la loro presunzione di avere incollato sulla testa il cappello della ragione.
Al Corriere sembrano aver attinto dalla parte più datata della filosofia hegeliana, quella che prescriveva “un diritto diseguale”, con la previsione di azioni belliche consentite distinte a seconda che si rientrasse tra “le nazioni civilizzate” o i “barbari” (va infatti considerata “la loro autonomia come qualcosa di formale”).
Sulla base di questa asimmetria ancorata al grado eterogeneo di civiltà, Hegel affidava la risoluzione delle controversie al giudizio assoluto di un armato “spirito essente in sé e per sé”. Per lui ogni infrazione risultava “indeterminabile in sé” e quindi non era gestibile con le forme del diritto, del negoziato (le radici del contrapposizione “stanno al di sopra di queste stipulazioni”).
Neppure il realista Hegel si spingeva però sino a fornire un lasciapassare alla nichilistica libertà di annientamento come costo necessario per spalancare il cammino dell’“astuzia della ragione”. Contrariamente agli scivolamenti etico-politici del Corriere, egli manteneva ben salda “la determinazione di diritto internazionale che in guerra venga conservata la possibilità della pace, e in generale che essa non venga condotta contro le istituzioni interne e la pacifica vita familiare e privata, non contro le persone private”.
Altro che l’estetica dell’“uccidere per uccidere” che con i suoi fiumi di sangue non incrina il gusto combattente di Galli della Loggia. Far slittare il conflitto in Medio Oriente (ma lo stesso discorso vale per l’Ucraina) da scontro territoriale a incontenibile guerra di civiltà, cioè trasformarlo in una lotta senza mediazione tra islamofobia e antisemitismo, allontana dalle conquiste evolutive della modernità politica.
Hegel stesso può indicare la strada più corretta: dal momento che nelle relazioni internazionali come soggetti figurano gli Stati che si riconoscono tra loro, “rimane anche nella guerra, nella situazione della mancanza del diritto, della violenza e accidentalità, un vincolo, cosicché nella guerra stessa la guerra è determinata come un qualcosa che deve trascorrere”.
Nell’incantamento tra “bombardieri pesanti”, “ordigni al fosforo” e “un milione di tonnellate di bombe”, le semplici parole “pace” e “soluzione politica” al disordine mondiale fanno però inceppare le penne a lunga gittata del “Carriere” della Sera.