La guerra in Medioriente
“Hamas ha fatto una cosa terribile, punto”, parla Manuela Dviri
«Ai civili palestinesi morti sotto le bombe l’israeliano medio non può pensare perché già fatica a sostenere il suo di dolore: ora dobbiamo andare a vedere anche quello degli altri? Non ce la si fa.»
Interviste - di Angela Nocioni
Manuela Dviri, scrittrice, vive a Tel Aviv. “Dal sabato nero del 7 ottobre qui si fa tutto in modo diverso, ti lavi nelle ore in cui sai che può essere che non arrivi il razzo. Scendi nel rifugio se ce l’hai, hai un minuto e mezzo per scendere dopo l’allarme, io non ce l’ho il rifugio, se sei per strada ti butti per terra o entri in un portone. Si vive a ritmi diversi, con pensieri diversi. Questa è la vita quotidiana a Tel Aviv, dove stiamo bene. La rete delle proteste dei mesi scorsi contro Netanyahu si è sostituita dopo il 7 ottobre al governo che non fa nulla. Diamo assistenza ai sopravvissuti all’orrore dell’attacco di Hamas ai kibbutz, ai ragazzi del rave sopravvissuti che sono tornati nelle loro case e dei quali non si è parlato abbastanza. Mia figlia ha casa piena di sfollati, di amici suoi sfollati dal sud. Mio marito è avvocato, a sessantotto anni sta facendo il trasportatore, si fa 400 chilometri al giorno per aiutare, per trasportare tutto quel che c’è da portare da una parte del Paese all’altra. S’è fatto male scaricando, è andato in ospedale e il medico che c’era lì – era un arabo, non so se cristiano o musulmano – l’ha fatto ridere per la prima volta da quel sabato raccontando barzellette. Essendo molti medici arruolati, sono tutti a combattere e chi crede che sia ora negli ospedali? Molti arabi. Questo è un Paese complesso, dove esiste di tutto, anche quello nel governo che non ha fatto mai il militare e che vorrebbe radere al suolo Gaza”.
Cos’è cambiato dopo il 7 ottobre?
Tutto. Ci si è spalancata davanti una realtà di odio che non immaginavamo e che non pensavamo potesse esserci. Ci si può immaginare che per tutta una serie di ragioni, nelle quali ora non entro, ci sia odio nei nostri confronti, però non ti immagini quel tipo lì di odio scoperto nel messaggio audio ai genitori registrato nel telefono del miliziano di Hamas trovato nel kibbutz dell’attacco. Il giorno dopo aver saputo questo nulla è più uguale ai giorni prima. Qui dalla mattina alla sera, in televisione vediamo le storie dei bambini rapiti che sono trenta, dai nove mesi ai 16 anni, in un loop di trasmissioni in cui ora danno notizia anche dei nostri soldati morti. Io non vedo tutto quel che vedete voi in Italia, immagino che lì si pensi che qui continui una vita normale malgrado tutto, ma in realtà no. Stiamo stretti tra il dolore, i pensieri per quell’odio nei nostri confronti e un primo ministro pessimo i cui figli sono imboscati altrove e non qui. Vuol sapere davvero come si è reagito qui alla notizia del campo profughi di Jabalia bombardato per la quinta volta? Non c’è nessuna capacità di capire cosa sta accadendo all’altro, è al di là. Ormai non sai più cosa accade e l’unica cosa che ti interessa sapere è se ci sono là dentro soldati nostri morti. È difficile da spiegare ma io per esempio nemmeno lo sapevo che oggi avevano bombardato per la quinta volta un campo profughi. Tanto meno so se il campo profughi era pieno di gente oppure no perché per disgrazia palestinese – palestinese: dell’abitante di Gaza, non di Hamas – hanno raccontato talmente tante balle che non sai più se lì dentro c’erano civili o no. E in qualche modo vuoi credere che i civili fossero già andati via. Un mio amico che era lì presente il sabato nero ha visto le atrocità commesse da Hamas e ha anche combattuto, è un uomo di sinistra, è un uomo di pace. “Io sono talmente disperato per quello che ho visto – mi ha detto – che anche se ho sempre avuto pena per il popolo palestinese, per questi disgraziati che stanno sotto Hamas, io in questo momento ho posto nel mio cuore solo per i nostri, il dolore è troppo grande”. E lo capisco pure io perché vedo la mia reazione quando sto davanti alla tv, ieri quando hanno fatto vedere per l’ennesima volta un servizio sulle due gemelle del kibbutz di 4 anni rapite e anche loro ostaggio a Gaza io non ce l’ho fatta più, ho cambiato canale e ho visto un film cretino. Mi son detta: vedi che neanche tu ce la fai più? A vedere la sofferenza dei tuoi, non degli altri! Solo da lontano si può cercare di trovare una via di uscita, noi qui non possiamo, siamo troppo dentro. Potete voi, fatelo! Fate qualcosa invece di stare immobili a guardare in tv le bombe che cadono e i talk show in cui vi accapigliate.
Qui come chiedi un cessate il fuoco ti senti rispondere che sostieni Hamas e che sei antisemita…
C’è tanto antisemitismo e su questo non c’è assolutamente discussione, l’antisemitismo viene fuori quando viene fuori la parola MA. Quando ti dicono “hanno fatto una cosa terribile ma”. No, hanno fatto una cosa terribile punto. La parola “ma” non va detta. Si chiude la frase lì e si riparte. Io da ebrea l’antisemitismo lo riconosco subito, lo riconosco nei toni. Perché è essenzialmente un tono che lo rivela, sempre, e credo che sia molto difficile oggi sottrarsi a modi di pensare con cui si è vissuto per tanto tempo. Per esempio ho visto che Angelina Jolie sta dalla parte dei palestinesi, ok, di quali palestinesi? Perché il cessate il fuoco lo desidero anche io, lo vogliono i parenti degli ostaggi. Ma ora deve intervenire chi sta fuori e pensare a un futuro perché noi siamo troppo dentro, i gazawi hanno di peggio ma anche noi abbiamo un governo pessimo e voi da fuori potete fare molto. Se per esempio proponessimo ai capi di Hamas di uscire come fece Arafat quando andò via, andò in Libano. Possono aiutare i paesi arabi che temono anche loro il fondamentalismo, i paesi laici o i paesi anche non laici ma più moderati. Bisogna ricostruire Gaza ma in un altro modo, deve diventare tutt’altro di quel che è stata finora. Noi da dentro Israele abbiamo ora una unica voce, che è la stessa a destra e a sinistra, e che dice che finché abbiamo vicina una forza militare che è capace di fare quel che ha fatto il 7 ottobre qua non si può vivere e quindi non ci deve essere la possibilità che lo rifacciano. Netanyahu continua a dire Hamas è come l’Isis. No, non è l’Isis, è quella roba lì che è diversa dall’Isis ed è mostruosa.
Quando in Israele si vedono le immagini di persone che tra le macerie del campo profughi di Jabalia scavano e tirano fuori dei sacchetti insanguinati con dentro corpi di bambini, come si reagisce?
Non lo si va a vedere. Ma pensa che l’israeliano medio, o quello di un paesino del sud che non può star più lì, crede che abbia la forza di andare a vedere costa sta succedendo al nemico, sempre tra virgolette? Quando sta ancora pensando cosa sta succedendo a lui?
Non lo vede e dà per scontato che lì sotto le bombe ci siano soltanto miliziani di Hamas?
No, non dà per scontato niente, ma innanzitutto non lo va a vedere perché già fatica a sostenere il suo di dolore, è troppo difficile vedere le nostre di sofferenze: ora dobbiamo andare a vedere quello degli altri? Non ce la fai. La guerra è questa roba qui, gli unici a cui chiedere sono i generali, nella guerra succedono queste cose qui, questa cosa si chiama guerra, è come se fossimo dietro due trincee solo che nelle trincee ci stanno i civili.
Qual è la reazione rispetto a Netanyahu?
Le poche volte che si è fatto vedere un membro del governo in un ospedale l’hanno cacciato via: questo fuori si deve sapere. Non c’è trasmissione nelle nostre tv in cui non si dica tutti i minuti che il governo non è capace, il governo non fa niente, spende soldi per esempio per gli ultrareligiosi che non fanno il servizio militare e che ricevono soldi dal governo. Netanyahu spera di poter sopravvivere politicamente alla guerra. L’israeliano medio quando se li vede davanti ministri vuole che se ne vadano, l’israeliano medio ha i suoi figli militari. Abbiamo realizzato un progetto per la cura di bambini palestinesi negli ospedali israeliani, un progetto iniziato più di vent’anni fa, abbiamo curato 13mila bambini con quel sistema. Lei crede che mai un solo palestinese ci abbia detto: no, non lo curate in Israele? O che un medico israeliano abbia detto: io non lo curo perché è palestinese? Perché io conosco gente di Gaza? Perché abbiamo curato i figli di gente di Gaza! Israele è grande come il Veneto, quasi 10milioni di abitanti, il 20 per cento non è di ebrei: cristiani, drusi, musulmani. È un paese piccolo piccolo che si trova intorno dei fondamentalismi e non aveva capito che fossero così forti e agguerriti e si trova attaccato contemporaneamente dal sud da Gaza, da nord, dalla Siria, dal Libano. E poi ti arrivano i missili dallo Yemen che nemmeno sapevi dove fosse lo Yemen e chi diavolo fossero gli houthi. Né tantomeno sapevi che ci fosse una repubblica musulmana in Russia, non sapevi neanche il nome di questa repubblica. Dentro quell’aereo assaltato c’erano dei bambini che erano stati curati in Israele, per quello atterrava quell’aereo lì. Pensa come ti senti da israeliano. E ricordatevi sempre che l’esercito israeliano è altra cosa dal governo Netanyahu.
Parliamo di bambini, così togliamo di mezzo la questione Hamas. I bambini morti sono, sì o no, tutti uguali? Perché va bene occuparsi dei trenta ostaggi sotto i 16 anni nelle mani dei macellai di Hamas e non va bene occuparsi delle migliaia di bambini palestinesi uccisi dall’esercito israeliano?
Certo che sono tutti uguali. Ma dai! Nessuno ha detto che non sono importanti. Ho visto un bambino palestinese che tremava di paura e ho provato un dolore immenso. Mi addolora vedere il dolore dei bambini, i nostri e i loro. Non c’è futuro senza bambini, i nostri e i loro. Crede che questa guerra la faremmo se ci fosse un’altra minima possibilità? Se non ci fosse il terrore che stanno giocando sulla pelle degli ostaggi? Siamo tutti ostaggi di questa cosa terribile. Di questo che io chiamo il mini Olocausto. Il sabato nero noi non l’abbiamo capito forse, ma l’Europa l’ha capito ancora meno. Io un figlio l’ho perso 25 anni fa in Libano, io lo so cos’è, è per quello che ho deciso di scegliere la vita e non la morte e che non si deve parlare del passato ma di futuro. L’Italia deve parlare di futuro. Di una cosa sono certa, come nella storia dell’ospedale: se l’hanno fatto, l’hanno fatto per sbaglio, anche perché sotto quell’ospedale lì di sicuro non c’erano miliziani quindi non conviene. L’esercito israeliano che è molto meglio del governo non vuole colpire i civili, non gli conviene.
Ma stanno bombardando a tappeto uno dei posti più densamente popolati del mondo, chi vuole che ammazzino se non i civili?
Vuole che le risponda come risponde il portavoce militare? Lui dice: gli abbiamo detto di spostarsi, che si spostino, quelli che sono rimasti sono i miliziani. La mia risposta è invece: non sappiamo ancora i numeri dei nostri morti, è passato un mese, pochi giorni fa abbiamo avuto il numero più o meno definitivo dei morti. Come fanno dopo cinque minuti a darti i numeri? Molte foto sono già apparse in passato. Il solito tranello di Hamas.
C’è bisogno di contarli uno a uno i morti? Se quello è uno dei posti più densamente popolati della Terra è ovvio che se lo bombardi a tappeto uccidi ogni volta molti civili. O no?
Io non sono il portavoce militare e le devo dire che a questo neanche mi interessa rispondere, né tanto meno riuscirò mai a convincerla perché in fondo tutto sommato c’è qualcosa che non la convince. L’esercito non ha empatia per l’altro. Se hai empatia, la guerra la perdi.