Le testimonianze di guerra
La tragedia di Gaza, dove si muore di sete o per l’acqua contaminata
Hasan, padre di quattro figli, racconta: “Il tuo letto è il pavimento, non c’è cibo cotto, fare una doccia è un lusso e guardi il cielo 30 volte al minuto. Non c’è internet. Se muori nessuno lo saprà”
Esteri - di Umberto De Giovannangeli
Save the Children è l’Organizzazione che da oltre 100 anni lotta per salvare i bambini e le bambine a rischio e garantire loro un futuro. Save the Children non è una organizzazione antisemita. Non fa differenza alcuna tra bambini israeliani, palestinesi, di qualunque paese, etnia, fanno parte. Save the Children difende sempre e comunque i più indifesi tra gli indifesi. E oggi i più indifesi sono i bambini di Gaza.
Ecco la drammatica denuncia che questa benemerita Organizzazione fa della tragedia che si sta consumando in queste settimane, nel mattatoio di Gaza. E non solo. “Almeno 41 bambini sono stati uccisi in Cisgiordania dall’escalation di violenza iniziata il 7 ottobre, mentre le vite di migliaia di minori continuano a essere stroncate dagli incessanti bombardamenti a Gaza”. Lo afferma Save the Children, l’Organizzazione internazionale che da oltre 100 anni lotta per salvare i bambini e le bambine a rischio e garantire loro un futuro.
Secondo il Ministero della Sanità, a Gaza sono stati uccisi 3.760 bambini, mentre i media israeliani riferiscono che in Israele ne sono stati uccisi 30. Anche la violenza legata ai coloni e ai conseguenti sfollamenti forzati è aumentata vertiginosamente, l’Onu ha segnalato una media di sette incidenti al giorno dal 7 ottobre, che hanno provocato vittime palestinesi o danni alle proprietà palestinesi, rispetto ai tre incidenti al giorno dall’inizio dell’anno.
In Cisgiordania, almeno 111 famiglie, tra cui 356 bambini, sono state sfollate dall’inizio dell’escalation in corso. Dal 2022, quasi 2.000 palestinesi sono stati costretti a lasciare le proprie case a causa della violenza dei coloni, dal 7 ottobre abbiamo assistito a un aumento del 43% di questo fenomeno. La violenza si è estesa anche al campo profughi di Jenin, in Cisgiordania, dove si sono registrati almeno 23.000 rifugiati. L’incidente più recente è avvenuto il 2 novembre durante un raid delle forze israeliane, dove cinque palestinesi sarebbero rimasti uccisi nel corso del sesto raid in due settimane a Jenin.
“La mia sensazione è la stessa ogni volta, mi sento insicura e spaventata. Ma questa volta ho sentito che era più intenso, più spaventoso. Perché mi sento più esposta al pericolo, così come i miei genitori, i miei cari e i miei amici. I rumori forti mi spaventano, soprattutto i suoni delle sirene e delle bombe” ha detto Lara*, 16 anni, che vive a Jenin, dove spesso assiste ai raid militari israeliani. Precedenti ricerche condotte da Save the Children in Cisgiordania confermano che essere costretti a lasciare le proprie case inficia il senso di sicurezza dei bambini, porta a un grave disagio emotivo e li lascia tagliati fuori dai loro amici e dalle comunità.
“I bambini nei Territori palestinesi occupati sono sempre più coinvolti in un’orribile spirale di violenza, mentre il mondo sta a guardare. L’impatto devastante del conflitto sui minori non è iniziato il 7 ottobre. La violenza e gli sfollamenti vanno avanti da anni e i bambini pagano il prezzo più alto per un conflitto a cui non partecipano. Già a settembre questo risultava l’anno col maggiore numero di minori morti in Cisgiordania, e ci stiamo avvicinando allo stesso numero in meno di un mese. Di volta in volta, i bambini vengono colpiti, rinchiusi, molestati. Tutto ciò deve finire. La comunità internazionale deve usare la sua influenza per garantire che il diritto internazionale sia rispettato, come è suo obbligo” ha dichiarato Jason Lee, Direttore di Save the Children per i Territori palestinesi occupati.
Testimonianze da Gaza
Hasan*, padre di quattro figli e membro dello staff di Save the Children, si trova con la sua famiglia in una struttura che ospita oltre 20mila persone. Continua ad assistere altri civili colpiti nonostante le difficili circostanze (testimonianza raccolta il 1° novembre). “Questo è il modo in cui assicuriamo il cibo alle nostre famiglie. Dopo 15 giorni senza pane, finalmente l’ho trovato e ho provato a preparare qualcosa di diverso dal riso per i bambini” ha detto Hasan.
“Cosa significa essere uno sfollato in un centro in questo momento? Sfollato significa che non ci sono né materassi né cuscini. Il tuo materasso è il pavimento o la tua macchina, e la tua fodera è un lenzuolo che è rimasto in un magazzino per anni, puzza di muffa e non c’è modo di lavarlo. Il tuo cuscino è l’unica borsa di vestiti con cui sei uscito di casa. Hai dolori costanti alla schiena e alle gambe perché dormi in posizioni scomode. Mal di stomaco e mal di gola per il freddo e mal di testa per l’ansia. Sfollato significa che non c’è più acqua. Non ti lavi le mani, non ti lavi i vestiti. Sfollato significa che non c’è acqua pulita da bere… potresti dover bere acqua contaminata, portatrice di malattie. E potresti anche morire per la sete o per aver bevuto l’acqua. Sfollato significa che quando vuoi andare in bagno devi aspettare in fila dietro a 600 persone finché non arriva il tuo turno. Quando finalmente sarà arrivato, ci saranno altre 500 persone a bussare alla porta per farti finire velocemente, tutto questo senza che ci sia, ovviamente, acqua nel bagno.
Sfollato significa che non c’è cibo cotto, né pane, né altro cibo in generale, a eccezione di alcune scatole di formaggio, che puzzano per il caldo. Niente da bere. Vai al panificio a prendere il pane per la tua famiglia… stai in fila per sette ore e a volte il pane può finire prima che arrivi il tuo turno. Ma anche se arriva il tuo turno, ti viene data solo una pagnotta, non abbastanza nemmeno per un pasto, sempre che non vieni colpito da un attacco aereo mentre aspetti. Sfollato significa che la pagnotta è divisa in due, o forse quattro; qualunque cosa sia, non è mai abbastanza. L’importante, però, è che tu abbia mangiato e questo è un grande risultato.
Sfollato significa che alzi lo sguardo al cielo 30 volte al minuto, immaginando che accadrà un nuovo massacro e che le ultime notizie riguarderanno te e la tua famiglia. Sfollato significa che farsi la doccia è un sogno difficile da realizzare. Fare il bagno è un lusso impossibile. Sfollato significa che senti sempre i bombardamenti intorno a te, e li vedi, ma non sai mai da dove vengano. Sfollato significa che non c’è elettricità se non per caso o fortuna, non c’è batteria del cellulare, non ci sono chiamate né messaggi, non c’è internet, non c’è comunicazione con il mondo. Potresti morire e nessuno nella tua famiglia saprebbe che sei morto. Sfollato significa oppressione, ansia, tensione, fame, sudore, angoscia, delusione, tristezza, oscurità, paura per i bambini, paura per la famiglia, paura per gli amici, paura per il futuro. Per favore, quando leggete la parola “sfollato”, riflettete su tutto questo.”
Amjad*, anche lui membro dello staff di Save the Children, padre di tre figli, tutti sotto i 12 anni. È andato fuori Gaza una settimana prima dell’inizio del conflitto: (testimonianza raccolta il 1° novembre) “La mia bambina mi ha detto che abbraccia il cuscino, lo bacia e dice: “Perché sei andato via e mi hai lasciato qui?”. Cosa posso fare? Mio figlio piccolo mi dice: “Mi avevi detto che saresti partito giovedì e tornato la settimana successiva, perché non sei a casa? Se si apre il valico e la guerra non è finita, tornerai?”. L’inferno di Gaza sta inghiottendo migliaia di bambini. (quasi 5000 secondo l’ultimo bilancio destinato a crescere). Erode è lì.
*I nomi sono stati modificati per proteggere l’identità degli intervistati