La cancel culture

Demonizzano la Palestina per giustificare la strage: la cancel culture di Israele

L’intero popolo assimilato ai criminali di Hamas e paragonato agli animali. La sua cultura, annullata. Perché nessuno possa provare empatia

Editoriali - di Gianluca Mengozzi

4 Novembre 2023 alle 13:00

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Il conflitto Israele-Palestina
Il conflitto Israele-Palestina

Tra i crimini perpetrati in queste terribili ore dall’esercito e dai coloni israeliani contro la popolazione palestinese inerme di Gaza e della West Bank ve ne è uno che ancora non si scorge bene perché sovrastato dall’orrore del massacro e dall’urlo di dolore delle migliaia di vittime innocenti.

Questo crimine è la demonizzazione della Palestina, l’assimilazione di un intero popolo alla banda di criminali di Hamas, l’annullamento dell’identità sociale e culturale di milioni di persone. Si tratta di una pratica antica, crudele, selvaggia, che viene esercitata nei conflitti dal più forte sul più debole, che travolge centinaia di anni di civiltà e storia, di produzione letteraria, artistica, politica e filosofica.

Una pratica che disumanizza l’avversario, lo riduce ad una mostruosa parodia costruendo una immagine artefatta che possa giustificare l’assassinio di massa, la strage degli innocenti, la distruzione di tutto quello che riguarda la parte avversa, che sia la vita o la cultura. Una damnatio memoriae in itinere, prodotta scientemente con metodo e impegno di capitali, che demolisce assieme alle scuole ed agli ospedali quanto le menti migliori di un popolo hanno prodotto, che annienta quanto di bello nelle espressioni più alte dell’umanità affratella le culture.

In queste settimane persone con responsabilità di governo in Israele non si fanno scrupolo di comparare l’avversario ad un animale, una fiera feroce, senza distinzione per i più piccoli, gli innocenti; queste persone rappresentano così una parte come un tutto, estendendo la descrizione dei settori peggiori che albergano in ogni società umana, senza esclusione per quella palestinese, all’intero consesso sociale palestinese, senza distinzioni, senza spiegazioni, senza contestualizzazioni.

Così si costruisce lo stigma, unendo il vero al falso, attribuendo all’avversario caratteristiche deplorevoli, mistificandone i tratti, cercando di indebolire la possibilità di compassione, di immedesimazione, annullando la possibilità di esercitare quella empatia che fa sentire come proprio il dolore dell’altro, che accomuna le vittime nello strazio, nell’orrore per la perdita degli affetti.

La demonizzazione della Palestina portata avanti con grande impegno di propaganda dal Governo di Israele serve a questo, a giustificare la strage di oggi come già l’apartheid praticato da decenni, la cacciata della gente dalle proprie terre, la persecuzione, l’assedio, gli arresti arbitrari, la violenza quotidiana. Una ingiustizia di cui forse adesso si percepisce meno la gravità, mentre ogni spazio emozionale delle persone giuste è occupato dall’orrore che ci arriva da Gaza: ma è una ingiustizia profonda, che il popolo palestinese non si merita, che non si merita nessun popolo.

La demonizzazione di un popolo ne incrina l’identità, la sostituisce con un’altra, altera la percezione di ogni aspetto della vita, inquina il giudizio in chi guarda ai fenomeni sociali del conflitto israelo-palestinese, indebolisce la possibilità di comprensione, crea muri e divisioni. È una cancel culture orientata alla riscrittura delle narrazioni, delle storie, in cui si forzano strumentalmente le stratificazioni delle identità etniche e religiose, in uno sforzo teso a far sentire la produzione artistica araba diversa e lontana da quella occidentale, talvolta connotandola di ostilità.

Come se i versi delle poesie e le frasi dei romanzi non fossero invece un linguaggio universale che si fa beffe delle frontiere. Demonizzare una intera cultura è una pratica che lede il diritto fondamentale a determinare da soli cosa si è, a spiegarlo, a farlo capire con le parole, le immagini, la musica, l’arte visiva, il paesaggio rurale, il patrimonio storico artistico, tutto quanto è pienamente umano, tutto quanto fa parte della complessa identità dei popoli.

Per questo ci si impegna a distruggere una intera civiltà di secoli, facendo restare in piedi solo il mostro contro cui scagliarsi, il totem barbaro e spaventoso contro cui ogni violenza è legittima. Questo fine non è perseguito solo con la propaganda, ma anche con la segregazione, perché rinchiudere una popolazione senza diritti in spazi asfittici, limitandone il movimento e la libertà, abbrutisce le persone, ne deprime l’animo, impedisce il libero fluire della creatività, limitando in sostanza le più nobili espressioni dell’umanità.

Eppure il popolo palestinese sopporta tutto questo da decenni con grande dignità, cercando sempre una alternativa alla disperazione dei più giovani, quando ormai si stanno esaurendo le generazioni che hanno conosciuto qualcosa di diverso dall’apartheid. La Palestina è terra di ricerca, scienza, di università con diffuse relazioni accademiche internazionali riconosciute dagli atenei di tutto il Mondo.

In Palestina vi è una solida e stratificata produzione artistica, poetica, letteraria, cinematografica, della danza, della musica, della pittura, della scultura e perfino del circo e delle arti di strada. Migliaia di artiste ed artisti che si non si rassegnano, che liberano la propria creatività aldilà dei muri, dei checkpoint, travalicando le barriere e le limitazioni che chi occupa la loro terra gli impone.

ARCI è una grande associazione culturale che fa della tutela delle espressioni artistiche una propria ragione di essere essenziale. ARCI è nata per questo, per permettere il diritto umano alla cultura e all’intrattenimento di qualità a chi per censo non poteva permetterselo, per questo la nostra associazione si è sempre sentita chiamata in causa dalla richiesta da parte della cultura palestinese di difendere i propri spazi di espressione.

È stato così per decenni, sarà così anche nel futuro. Ci sarà un momento in cui la polvere grigia dei crolli delle case, degli ospedali, delle scuole si depositerà come un mesto sudario su questa ennesima tragedia della Palestina e gli artisti cercheranno di nuovo le loro strade per dare un senso umano all’apocalisse. Queste persone non andranno lasciate sole, e il Consiglio Nazionale di ARCI ha deciso che l’Associazione continuerà ad essere lì, con loro, a sostenerne la rinascita, ad amplificarne la voce, a diffonderne la cultura.

*Responsabile Solidarietà Internazionale ARCI

4 Novembre 2023

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