La guerra in Medioriente

Intervista a Bobo Craxi: “L’Italia parla di pace ma dà armi a Israele e Qatar…”

«Questa partecipazione indiretta ai conflitti non contraddice la nostra carta costituzionale? Ma soprattutto per quale ragione questi intrecci economici non vengono fatti valere anche ai fini di una iniziativa politica?»

Interviste - di Umberto De Giovannangeli - 3 Novembre 2023

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L’intervista a Bobo Craxi
L’intervista a Bobo Craxi

La mattanza di Gaza, l’impotenza dell’Europa, Israele al bivio. L’Unità ne discute con Bobo Craxi, già sottosegretario di Stato agli affari esteri con delega ai rapporti con l’Onu nel secondo governo Prodi. “Quel giorno che mio padre incontrò ad Hammamet Faruk Kaddhoumi…”.

Perché in Italia chiunque, pur stigmatizzando l’attacco sanguinario di Hamas contro Israele del 7 ottobre, prova a ricordare, come verità storica, che il popolo palestinese è l’unico popolo al mondo sotto occupazione, viene bollato come antisemita e amico dei “nazisti di Hamas”?
Che vi sarebbe stata una radicalizzazione dei sentimenti e delle opinioni c’era da aspettatevelo; In Italia come altrove. Sin dai primi giorni avevo ben chiaro questo rischio ovvero che il conflitto secolare non avrebbe avuto una larga solidarietà nei confronti dell’aggredito come è avvenuto per l’Ucraina ma che nell’emotività degli accadimenti si sarebbero formate due posizioni che rifiutano il principio di realtà: ovvero che ci troviamo dinnanzi ad un conflitto territoriale congelato o dimenticato che ha delle fortissime implicazioni religiose e che non ha trovato uno sbocco politico. Questo che avviene è il paradigma della crisi dell’equilibrio mondiale ed è segnato dalla debolezza della Globalizzazione fondata esclusivamente sul potere ideologico e della forza dell’economia, priva di qualsiasi visione politica. Hamas ha delle vistose incompatibilità con la visione politica del conflitto e pone l’uso della forza come uno strumento di soluzione, declinando la sua fragilità con la spiritualità. Israele è una società divisa al proprio interno ed esasperata e stanca. Quindi priva di lucidità. La sua reazione produce il suo isolamento politico ed alimenta i peggiori fantasmi dell’altro secolo.

In una intervista a questo giornale, Arturo Scotto, parlamentare e membro della Direzione Pd, ha affermato che per le posizioni espresse a suo tempo sulla questione palestinese, “Craxi e Andreotti passerebbero per sovversivi”.
A pensare alle riflessioni di Antonio Guterres Segretario Generale dell’Onu, assai più sferzanti, ed alle reazioni contro di lui tutto sommato a mio padre ed Andreotti andò meglio, in fondo si inalberarono solo i missini e i repubblicani italiani. Allora la politica italiana, ed in generale la politica delle grandi nazioni europee aveva la capacità di trovare ascolto. Furono piegati alla necessità dell’abbandono della lotta armata, anche grazie alle pressioni italiane, i palestinesi dell’OLP; era sbagliata la simmetria che veniva fatta nel mondo arabo fra la loro lotta e quella dei movimenti di liberazione dal colonialismo occidentale. La soluzione territoriale per una convivenza pacifica c’è sempre stata tanto è vero che alla fine degli anni Novanta queste condizioni si andarono gradualmente determinando. È mancata una guida occidentale alla nuova prospettiva di pace, c’è stato un ritardo colpevole nelle leadership israeliane nel comprendere i vantaggi della fine del conflitto, c’è stato un errore di Arafat a non accettare soluzioni di compromesso che avrebbero in ogni caso evitato tutto ciò che è accaduto drammaticamente dopo a partire dal 2001. Ricordo che mio padre ancora ad Hammamet alla fine degli anni Novanta insisteva con Faruk Kaddhoumi il numero 3 dell’OLP : “dovete assolutamente riuscire a fare un aeroporto a Gaza, sennò resterete imprigionati per decenni..”

Aveva le sue ragioni. Il governo italiano si è astenuto alle Nazioni Unite su una risoluzione che chiede una “tregua umanitaria” per poter soccorrere la popolazione civile della Striscia, più che stremata dalla guerra e prim’ancora da 16 anni di chiusura totale. L’umanità è morta?
La posizione italiana è stata ambigua non vi è dubbio. Peraltro si sono nascosti dietro un cavillo assembleare per giustificarla. Questo significa aver accettato l’idea di non poter esercitare alcun ruolo politico di mediazione in questo conflitto mentre invece l’Italia è sempre stata in condizione di parlare ad entrambi i mondi per ragioni storiche, politiche, economiche e geografiche. Non so quanto abbia contato il fatto che la nostra Premier abbia come cultura storica di riferimento ancora il Presidente del Consiglio che nel 1938 promulgò le leggi razziali, tempo fa lo definì un “bravo politico”; e penso che questo renda questo capo di governo meno libera di agire sul piano internazionale perché condizionata dal passato imbarazzante.

L’Italia sostiene Israele ma al tempo stesso fa affari con il Qatar che ospita l’Ufficio politico di Hamas. Come la mettiamo?
La mettiamo che invece di essere una opportunità sul piano politico-diplomatico da far valere, ovvero la cooperazione militare con il mondo arabo e Israele, essa è una camicia di forza. Il maggiore alleato di Hamas, il Qatar, è cliente della nostra industria militare.
Nel campo della cooperazione il rapporto con Israele è avanzatissimo sin dai tempi della seconda guerra del Golfo. Leggo sulla stampa italiana di Aerei Caccia di fabbricazione italiana che volavano sui cieli di Gaza. C’è da domandarsi intanto quanto delle armi vendute finiscano sulla testa degli uni e degli altri, e quanto questa partecipazione indiretta ai conflitti non contraddica la nostra carta costituzionale. Ma soprattutto per quale ragione questi intrecci economici non vengano fatti valere anche ai fini di una iniziativa politica. Tralascio poi la presenza dei nostri interessi economici nel campo degli idrocarburi. C’è un’anchilosi diplomatica sorprendente.

Haaretz, uno dei più autorevoli quotidiani israeliani, parlando dell’attuale governo israeliano, ha usato un’affermazione molto forte: un governo, cito testualmente il titolo di un editoriale, in cui “i ministri fanno a gara a chi è più fascista”. Questo governo può riavviare un percorso di pace?
Il Governo israeliano si è spostato molto a destra; sovranismo e suprematismo sono la sua cifra, diremmo con categorie nostrane.
Ha commesso degli errori di fondo che infatti sono elemento di critica e di dibattito anche aspro all’interno della società israeliana. Una vistosa negligentia in vigilando, una sottovalutazione della capacità offensiva degli avversari.
Vorrei essere molto realista e gradualista: oggi quel che serve, anche alla luce di queste reazioni sproporzionate che vengono oramai definiti “crimini di guerra” è un cessate il fuoco, una soluzione umanitaria per il popolo di Gaza, in altre fasi della storia ci sarebbe stata. La restituzione degli ostaggi. Tutti si stanno adoperando affinché possano essere liberati, non vi possono essere richieste irrealistiche ovvero la liberazione di 7000 prigionieri palestinesi, ma almeno dei gesti umanitari simmetrici che dimostrino la volontà di guardare al dopo con meno pessimismo. Non ci sono soluzioni dell’immediato. L’impressione è che Israele sia indecisa sul da farsi: cacciare la popolazione di Gaza o tentare di farla gestire da altra amministrazione. Ma per questo ci vuole il cessate il fuoco e un accordo internazionale. Stanno andando a tentoni. Solo l’abbandono di guide politiche che hanno fallito perché hanno pensato che conflitti disumani potessero essere una condizione accettabile. Come disse San Giovanni XXIII: “Le madri e i padri detestano la guerra” penso a Gaza come a Tel Aviv.

Molti oggi si professano “amici di Israele. Ma per Lei cosa significa essere “amico d’Israele”?
Per chi vive in Occidente essere amici di Israele significa innanzitutto considerare che la sua nascita fu il doveroso riconoscimento di un popolo che si cercò di eliminare dalla storia dell’uomo. Per me significa rendere omaggio all’ispirazione socialista di fondo che fu alla nascita dello Stato. Oggi esserne amici significa correggere i suoi errori politici e scongiurare l’idea che la sua sicurezza non possa coincidere con la pace coi suoi vicini. Per questo è irricevibile l’accusa di anti-semitismo che viene rivolta a uomini si sinistra e democratici quali noi siamo.

In campo palestinese c’è e da tempo un problema di leadership politica. Di autorevolezza. C’è un nome che riecheggia in questi giorni: Marwan Barghuthi.
So bene che Barghuthi e la sua lunga detenzione siano vissuti come un martirio mitologico, alla stregua di Mandela.
Di punti riferimenti morali una lotta di liberazione ha sempre bisogno. Però io penso che questa vicenda così prolungata abbia bisogno dell’energia e del pragmatismo delle giovani generazioni che sono quelle a cui più interessa un futuro integrato di pace e prosperità. In Palestina come in Israele.

Esiste ancora uno spazio reale per la soluzione a due Stati?
Esiste innanzitutto uno spazio per una pace prolungata e per una soluzione convincente di federazione integrata dell’area con autonomia amministrativa. Diversamente la Cisgiordania verrà risucchiata nell’area giordana e Gaza in quella egiziana in un accordo però che dovrà prevedere necessariamente una forza di interposizione internazionale come è avvenuto al nord. Per Gerusalemme la questione penso debba essere posta ad un livello meno regionale e l’impegno dovrà essere quello di ritornare alle condizioni precedenti al 1967 nella assoluta sicurezza per lo Stato di Israele che in quella Città ha fissato le sue istituzioni parlamentari e governative. Mi pare che anche il Santo Padre abbia riaperto la questione. E penso che dal male di questi giorni si possa giungere ad una nuova stagione di riflessione politica internazionale. I nemici della pace non mancheranno ma devono essere sconfitti.

3 Novembre 2023

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