Si comincia con S&P
Perché le agenzie di rating spaventano l’Italia, il giudizio di S&P e Moody’s
Da qui al primo dicembre in arrivo cinque verdetti sui conti italiani. Il rischio di downgrade è alto, ma il governo è ottimista. Il giudizio più temuto è quello di Moody’s il 17 novembre. Tutto dipenderà dalla reazione dei mercati
Politica - di David Romoli
Tutte le cancellerie europee ieri avevano il fiato sospeso in attesa delle notizie dal Medio Oriente. Il governo italiano aveva un motivo di tensione in più, meno sanguinoso e tragico, quasi altrettanto preoccupante: il verdetto delle agenzie di rating. In poco più di un mese, di qui al primo dicembre arriveranno tutti e cinque i verdetti delle agenzie di rating e il rischio di downgrade, il pollice verso, è alto anche se il governo giura di dormire sonni tranquillissimi.
Il ministro Giorgetti ripete che la sua legge di bilancio è ben fatta e onesta, dunque “troverà anche la valutazione onesta e obiettiva delle agenzie di rating, che l’hanno letta e, magari, non si sono affidati a gossip o titoli scandalistici”. In realtà sa bene che le previsioni del governo sono molto ottimiste, che il Pil dell’anno prossimo all’1,2% è un risultato su cui nessuno scommette, che le entrate previste, soprattutto quelle derivate dalle privatizzazioni, sono un’incognita, che l’impatto degli oneri finanziari sul debito sarà probabilmente più pesante di quanto il governo speri. In conclusione è a rischio il calo del rapporto debito/Pil che, già così, appare alle istituzioni finanziarie, a partire dal Fmi, poca cosa. Vorrebbero un intervento shock sul debito. Vorrebbero tagli molto dolorosi.
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È questo quadro che rende incerte e a rischio le valutazioni delle agenzie, determinanti perché il rating orienta sempre i mercati, anche se non nella misura tassativa di cui si parla di solito. Ad aprire le danze, ieri, è stata Standing&Poor’s, che in aprile aveva emesso un verdetto sostanzialmente positivo assegnando all’Italia un rating BBB, che equivale a una adeguata capacità di rimborso ma esposto a rischi nel prossimo futuro. L’outlook, cioè la previsione era “stabile” ma S&P aveva avvertito già allora che la legge di bilancio 2024 sarebbe stata decisiva per valutare la “prudenza” del governo. Ora la legge c’è ed è prudente davvero, cosa che spiega l’ottimismo di Giorgetti. Ma c’è quel deficit di 14 mld di cui l’Italia non poteva fare a meno che rappresenta il margine di rischio.
Tra una settimana si esprimerà la canadese Dbrs che in maggio era stata la più fiduciosa nelle prospettive dell’Italia, con un rating BBB high e un outlook stabile. La promozione era stata completa anche da parte di Fitch, che si esprimerà il 10 novembre. La precedente valutazione era stata sempre la tripla B con prospettiva stabile però proprio Fitch è stata tra le più severe nel criticare la manovra italiana e nell’insistere per una politica molto più aggressiva nei confronti del debito. Anche qui dunque il rischio è concreto.
La data davvero temuta però è quella del 17 novembre, quando uscirà la valutazione di Moody’s che nell’ultima tornata, in maggio, aveva congelato il giudizio, È l’agenzia più severa con un rating Baa3 e prospettive negative. Nella valutazione di Moody’s il Baa3 significa stare a un passo dall’abisso della “spazzatura”. Un downgrade precipiterebbe l’Italia in quella situazione e l’eco sui mercati potrebbe essere pesante, Il primo dicembre si esprimerà Scope il cui ultimo rating era tranquillizzante, BBB+ con prospettive stabili. Infine, tra un mese esatto, il 21 novembre, arriverà il parere della Commissione europea.
Sulla carta il semaforo verde della Commissione è il solo davvero decisivo. La differenza è che con la Commissione è possibile una trattativa politica a tutto campo in grado almeno di influenzare un po’, se non di pilotare, la scelta sull’approvare la manovra o chiedere alcune correzioni. Le agenzie di rating, per la verità tutt’altro che infallibili, seguono logiche molto meno influenzate dalla politica. Il ministro Giorgetti è in contatto con tutte, le ha incontrate più volte e dunque, con la sensibile eccezione di Moody’s, il suo ottimismo dovrebbe basarsi su qualche elemento concreto.
In sé anche il downgrade, soprattutto se non corale, non sarebbe una tragedia: tutto dipenderà da come lo prenderanno i mercati. Ma è certo che affrontare la traversata di un mare in tempesta come quella che attende il governo nel 2024 con sulle spalle un rating scettico o negativo significherebbe prendere il largo con il peggior viatico.