Il verdetto del Cnel

Brunetta va in soccorso della Meloni che archivia il salario minimo

Dice che la maggior parte dei lavoratori guadagna più di 7 euro all’ora e che con quella cifra non ci se la passa male. Ora il governo cercherà di rinviare di un anno la legge dell’opposizione. Intanto la manovra balla...

Politica - di David Romoli - 13 Ottobre 2023

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Brunetta va in soccorso della Meloni che archivia il salario minimo

Il verdetto del Cnel sul salario minimo è ufficiale. Pollice verso: non serve, anzi forse è dannoso. L’assemblea del Cnel ha confermato la bocciatura totale proposta dal documento della commissione d’informazione ad ampia maggioranza: 39 voti a favore della sentenza capitale, 15 contrari e 8 consiglieri hanno scelto di non partecipare al voto.

Non sembravano esserci dubbi in proposito ma uno spiraglio si era aperto all’ultimo momento: cinque consiglieri, tutti nominati dal presidente della Repubblica, avevano proposto un emendamento, peraltro molto timido, che proponeva la sperimentazione di una “tariffa retributiva minima” a tempo, in via sperimentale e solo per le categorie più deboli come i più giovani o gli immigrati. Sarebbe stato comunque un segnale e forse l’avvio di un percorso. L’assemblea ha cassato sostenendo che la “mera introduzione” di un salario minimo non risolverebbe di per sé il problema del lavoro povero e non “darebbe maggior forza alla contrattazione collettiva”.

Il Cnel si è basato su stime Istat discutibili per più versi: sono del 2019, dunque prima del Covid e dell’inflazione, un’epoca lontana; tiene conto di tutti i contratti e non solo di quelli firmati dalle principali confederazioni, alzando così la media delle retribuzioni esistenti; e soprattutto se la cava sottolineando che il risultato, un salario minimo medio di 7 euro e mezzo l’ora, è nella media europea. Pertanto accettabile. L’esito dell’esame del Cnel, chiamato in causa da Giorgia Meloni in agosto soprattutto come escamotage per non dover bocciare in prima persona il salario minimo, era scontato in partenza anche se qualche residua speranza nell’emendamento dei cinque consiglieri, alla luce della sentenza della corte di cassazione che afferma princìpi diametralmente opposti a quelli su cui si basa il Cnel, per qualche ora è balenata.

Niente da fare e adesso la legge firmata da tutte le opposizioni, tranne Italia viva, dovrebbe approdare in aula alla Camera dopo una lunghissima serie di rinvii. Non è affatto detto che sia così. In calendario la discussione dovrebbe iniziare martedì 17 ottobre ma è quasi certo che la maggioranza tenterà di rinviare ancora una volta il testo in commissione. Poi, a sessione di bilancio aperta, sarà proibito discutere leggi di spesa e il salario minimo verrà sbalzato all’anno prossimo. Un rinvio che nelle intenzioni del governo e della maggioranza è una sepoltura, anche se certamente martedì in aula le opposizioni protesteranno nel modo più chiassoso possibile, ma senza grandi speranze di ottenere qualche risultato, probabilmente fuori portata almeno fino a che tutta la partita si gioca in Parlamento, senza la pressione dei soggetti sociali.

Se la maggioranza aveva rinunciato al progetto di risolvere il problema in pochi secondi con un emendamento soppressivo, come era decisa a fare, era stato proprio per la paura della premier di assumersi la responsabilità di bocciare un provvedimento molto popolare perché molto necessario. Ma Meloni non vuole avere altri problemi nel momento in cui è impegnata a far passare, possibilmente di corsa, una delle leggi di bilancio più deludenti, anche per i suoi elettori, che si ricordino. Verrà varata dal Consiglio dei ministri lunedì ma la situazione è stata squadernata dalla presidente e dal ministro dell’Economia Giorgetti già nel vertice notturno convocato a palazzo Chigi, sui due piedi, nella notte tra mercoledì e giovedì.

Di solito i vertici di maggioranza sulla legge di bilancio sono la sede in cui i partiti sgomitano per imporre i provvedimenti, di bandiera o clientelari, sui quali più puntano: il famigerato “assalto alla diligenza”. Nulla di più lontano dal quadro di oggi. La premier, al contrario, ha chiarito per l’ennesima volta e in via definitiva che non c’è spazio alcuno per le richieste dei partiti: né per l’aumento delle pensioni minime di Forza Italia né per la quota 103 della Lega. Le scarne risorse andranno più o meno tutte a coprire le misure che secondo l’inquilina di palazzo Chigi hanno valenza politica strategica, la conferma del taglio del cuneo fiscale e i provvedimentiper la famiglia”. Per il resto Giorgetti è già sin troppo occupato a trovare coperture ancora insufficienti nonostante i 14 mld in deficit, tanto che è spuntata in extremis una minimum tax che dovrebbe portare in cassa 2 mld.

Ma la realtà è che il governo si sente sotto assedio. La crisi di Gaza sarà di sicuro una mazzata pesante, forse però pesantissima. Il prezzo del gas si è già impennato, quello del petrolio, già ai massimi, sale ancora. Allo stesso tempo dalle agenzie di rating come Fitch e dal Fmi diventa martellante la richiesta di “tagliare significativamente il debito”. Vuol dire passare dall’austerità nella spesa alle lacrime e al sangue nei tagli. Quando la marcia della manovra è iniziata, con il varo della Nadef che il Parlamento ha approvato come da copione due giorni fa, la situazione sembrava molto dura e difficile. Nel giro di poche settimane è peggiorata di moltissimo e a vista d’occhio.

13 Ottobre 2023

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