Il conflitto Israele-Palestina
Hamas è il nemico, non la Palestina
Israele non ha spiegato di voler combattere le organizzazioni terroristiche per salvare non solo gli israeliani, ma anche i palestinesi tenuti in ostaggio, adoperati come carne da macello, da quelle organizzazioni.
Esteri - di Iuri Maria Prado
Il compito che incombeva su Israele era enorme: doveva assistere al massacro in stile nazista della propria popolazione, un macello eseguito con modalità incredibilmente anche più efferate rispetto a quelle di certe esecuzioni novecentesche e, nel corso di poche ore, con un bilancio di vittime paragonabile a quello che si chiudeva dopo una giornata di buon lavoro di un campo di sterminio.
Doveva assistervi mentre i mandanti e i simpatizzanti dei nuovi nazisti festeggiavano, e mentre certi sussiegosi sconsiderati prendevano la penna o si offrivano alla telecamera per spiegare che era tremendo, d’accordo, che era “inaccettabile”, per carità, ma è quel che succede se non rispetti una risoluzione dell’Onu e se gli ebrei, come disse un altro che te lo raccomando, “da razza perseguitata” (testuale), “si sono trasformati in razza persecutrice”.
Israele doveva assistere a quel massacro e poi a tutto questo, per soprammercato nel supplemento osceno delle investigazioni sulla fedeltà delle notizie, come al tempo mai finito delle camere a gas inventate dagli usurai e come, più recentemente, al tempo di Bucha. Ricordiamo? Allora la mancanza dei bossoli testimoniava che quei cadaveri erano in realtà i manichini che componevano una probabile messinscena: e così, ieri l’altro, era la propaganda sionista a far girare la fake news dei bambini decapitati, una notizia che screditava ingiustamente l’immagine degli aggressori che si erano limitati a sgozzare quei bambini (e pace se la notizia era infine confermata).
Ma nell’assistere al traboccamento dappertutto di questa vergogna, il misto di giustificazionismo assolutorio dei macellai e di negazionismo dei loro crimini, tenuto insieme dalla generale incolpazione di un popolo i cui figli, in definitiva, non saranno macellati a caso ma per qualche motivo, e verosimilmente per un buon motivo, ecco, nel trionfo di questo schifo Israele ha mancato di adempiere al proprio compito, pure enorme. Ha mancato di adempiervi affidandosi al potere di un “failed leader” che non ha esitato ad assoldare, per riceverne protezione, i peggiori fanatici che non reclamavano la difesa degli israeliani in nome del diritto, ma nel nome di un dio da contrapporre a quello altrui.
La società laica e democratica di Israele, che pure è maggioritaria, è stata soverchiata, o comunque messa in posizione impotente, incapace di influenza, da un andazzo di rilassatezza e distrazione che ha permesso a pochi fanatici, prima confinati in ambiti di vociante irrilevanza, di condurre le danze sotto la direzione del ministro che insegna ai coloni il dovere di difendere i loro insediamenti perché così vuole la Bibbia. E che per proteggere il proprio raccolto elettorale accreditava anziché contenere le ambizioni di rappresentanza di un’ortodossia che si faceva parlamentare e, appunto, governativa.
E non si dica che questo era “prima”. Perché era il frutto anche di quell’involuzione il recente slabbramento del rapporto osmotico-fiduciario tra il potere di governo e l’esercito, una cosa mai vista in precedenza. Era frutto di quel dissesto strategico lo sguarnimento dei settori meridionali del Paese, con il paradosso per cui il governo partecipato dai più oltranzisti di sempre è stato anche quello che più incautamente ha mostrato il fianco alle manovre aggressive del nemico. E quel malgoverno ridonda oggi nelle dichiarazioni sul rango bestiale di quelli che ti appresti a bombardare e nella decisione di interrompere le forniture di acqua, di energia e alimentari: una cosa che non dovrebbe essere fatta nemmeno se servisse, e per la quale non solo il governo, ma Israele e gli israeliani, saranno ritenuti responsabili anche se servirà a qualcosa.
Ci si intenda bene. È verissimo che in molti contestano a Israele il diritto di difendersi persino dopo ciò che è successo; è verissimo che per molti il diritto all’esistenza di Israele è in realtà nominale, e che una vera giustizia sarebbe ripristinata solo con il riconoscimento che gli israeliani, lì, non ci devono stare. Ma questa è solo l’ennesima avversione con cui Israele deve fare i conti, e Israele avrebbe dovuto combatterla senza cadere nell’errore che invece sta rischiando di commettere. Israele infatti non ha spiegato – e non l’ha spiegato perché al comando stavano alcuni che non lo pensavano – di voler combattere le organizzazioni terroristiche per salvare non solo gli israeliani, ma anche i palestinesi tenuti in ostaggio, adoperati come carne da macello, da quelle organizzazioni.
Un compito immane? Certo. Ma, da ogni punto di vista, meno costoso rispetto alla “cifra” politica e comunicazionale che l’azione israeliana rischia di assumere: con Israele che finisce per combattere i palestinesi (questo significa togliere il cibo, l’acqua e la luce) oltre che le organizzazioni terroristiche. Quelle che i nemici di Israele e degli ebrei potranno tanto più comodamente difendere, giustificare, assolvere sul pretesto che esse dopotutto puniscono i responsabili della sofferenza palestinese.
Perché durerà poco (sta già scemando) la memoria degli eccidi di sabato scorso, e la propaganda anti-israeliana e antisemita che pretendeva le prove delle decapitazioni sarà la stessa (lo sta già facendo) che documenterà l’uccisione dei civili palestinesi evocando, sia pur strumentalmente, la frase di un ministro che annunciava di combattere contro gli animali.