Il conflitto Israele-Palestina
Così la logica della vendetta si è presa il mondo
Prigionieri della aberrante concezione manichea della giustizia nella quale il bene si contrappone e si specchia nel male, il diritto si assomiglia al delitto, in una catena perpetua di delitti e castighi, violenze e sofferenze
Editoriali - di Sergio D'Elia
Nella terra santa dove la storia ha avuto inizio bisogna ritornare per riscoprire, nei momenti terribili che nella stessa terra viviamo, il senso, la memoria e il destino del nostro poterci ancora dire “cristiani”, come nel mio sud ancor si usa dire per dire semplicemente “essere umani”. Occorre andare all’origine del mondo se vogliamo salvare il mondo di oggi. Perché nei testi sacri dell’antico e del nuovo messaggio di Dio, v’è più umanità e civiltà di quella che possiamo trovare negli atti, nei codici e nelle leggi, financo nelle costituzioni, degli Stati di oggi.
Il dire della Genesi “Nessuno tocchi Caino” è un messaggio rivoluzionario: la risposta al male, alla violenza, all’odio, al dolore, sta nella gioia di riparare quel che si è rotto, unire quel che si è diviso, ricucire quel che si è strappato, ricostruire quel che si è distrutto. Uno Stato di Diritto è tale se ha la forza di essere – anche in caso di legittima difesa – Stato di Vita, se non rischia di divenire, nel nome di Abele, uno Stato-Caino. Proprio nella terra di Abramo, dopo la “tempesta devastante” che aveva travolto il popolo ebraico, Israele ha praticato la pena di morte una volta sola. Quando impiccò l’ufficiale della Gestapo Adolf Eichmann. Il Male che incarnava apparve ad Hannah Arendt “banale” e quindi più terribile. Ma con la sua morte finì la terribilità dello Stato-Caino nel luogo dove è venuto al mondo l’uomo delle buone, rivoluzionarie, novelle.
“Non giudicare!”, ha detto, per non incatenare vittime e carnefici al ciclo assurdo della vendetta. “Chi è senza peccato scagli la prima pietra”, ha ammonito, per non ridurre il mondo a un mucchio di sassi. “Non uccidere”, ha esortato, neanche in caso di legittima difesa. Quanta civiltà v’era duemila anni fa rispetto al mondo di oggi, prigioniero della aberrante concezione manichea della giustizia nella quale il bene si contrappone e si specchia nel male, il diritto si assomiglia al delitto, in una catena perpetua di delitti e castighi, violenze e sofferenze, malefatte e vendette.
L’antico messaggio è ancora attuale, e sempre più urgente nella terra dove Caino continua a fare strage di fratelli. Vendetta, tremenda vendetta, sembra essere la parola d’ordine. Non basta Dike, la dea della giustizia con la spada del diritto in una mano e nell’altra la bilancia del torto e della ragione. Di fronte all’orrore e alla sproporzione del fatto, è l’ora di Nemesi, la dea della vendetta, del contrappasso e del castigo. È l’ora della tutrice dell’ordine violato, della restauratrice dell’equilibrio dell’universo.
In questi giorni Edith Bruck, la scrittrice sopravvissuta alla Shoah, ha invocato un’altra prospettiva, un altro ordine, un altro equilibrio. “Sono tornata dai campi senza odio, senza desiderio di vendetta. La vendetta non serve a niente,” ha detto. Il principio meccanicista di azione e reazione, cause ed effetti che si susseguono all’infinito, la logica manichea del bene e del male che si oppongono e si compensano, tutto ciò non corrisponde alla natura delle cose, alla trama eterna dell’universo, il quale vive di un equilibrio che si crea, muta e poi si ritrova nell’insieme, non nella somma, di parti diverse. È la forza di relazione che tiene insieme le nostre vite, la nostra vita interiore, la nostra famiglia, il nostro paese, il nostro mondo.
“In principio vi fu il logos”, è lo straordinario esordio del testo millenario alle origini della vicenda umana. Mi piace pensare che quel che è alla genesi, il logos, sia amore, il principio d’ordine da cui tutto origina, che tutto lega, a cui tutto tende. L’umanità, l’universo sarebbero finiti da tempo, se la forza letteralmente diabolica del “porre ostacoli in mezzo”, delle divisioni, delle barriere di confine, avesse preso il sopravvento sulla forza della parola, del dialogo, dell’amore, in una parola, della nonviolenza su cui si fonda l’intima coerenza e la perfetta armonia delle cose del mondo. Occorre essere “religiosi”, letteralmente, capaci di unire, tenere insieme, parlare al male con il linguaggio del bene, all’odio con il linguaggio dell’amore, alla forza bruta della violenza con la forza gentile della nonviolenza.
È forza immateriale, quella della nonviolenza, proprietà dell’essere e non dell’avere, ed è l’unica risorsa rinnovabile e non entropica che io conosca nella lotta politica come nella vita. Ne ho fatto l’esperienza solo nella mia seconda vita, grazie a Marco Pannella. Dopo avere, nella mia prima vita, fatto uso di altre risorse: materiali, violente, non rinnovabili. Mi ero illuso che fossero levatrici della storia, hanno invece confermato una legge universale: la maledizione dei mezzi sbagliati che prefigurano e distruggono i fini giusti.
Adoperiamo parole e strumenti di segno diverso, coerenti coi fini che vogliamo affermare. Traiamo ispirazione, ad esempio, dalla biografia di Albie Sachs, avvocato sudafricano combattente per la libertà che alla furia dell’apartheid risponde con il pensiero di una “vendetta mite”. Membro di spicco dell’ANC e amico di Mandela, è sopravvissuto a numerose detenzioni e a vari attentati. Il 7 aprile 1988, a Maputo, la capitale del Mozambico, è stato vittima di un’autobomba piazzata da agenti delle forze di sicurezza sudafricane. Il suo braccio destro è stato spazzato via e ha perso la vista da un occhio. In più occasioni Albie ha raccontato un aneddoto straordinario legato a quell’attentato.
Un giorno, sdraiato in un letto d’ospedale a Londra, in convalescenza, riceve un biglietto di un amico. “Non preoccuparti, compagno”, dice, “ti vendicheremo”. “Vendicarmi?”, pensò. “Che facciamo? Tagliamo un braccio? Accechiamo qualcuno da un occhio? Dove ci porterà questo?” “Se otteniamo la libertà, la democrazia, lo stato di diritto, quella sarebbe la mia dolce vendetta.” Ricorda persino di essersi detto: “Se otteniamo la democrazia e lo stato di diritto, rose e gigli cresceranno dal mio braccio”.
“Bisogna essere molto ciechi per aggiungere nuove sofferenze all’eredità di dolore di chi è passato prima di noi”. Così scriveva Mariateresa Di Lascia nel suo capolavoro letterario che volle chiamare Passaggio in Ombra. Per il suo capolavoro civile scelse invece il nome visionario “Nessuno tocchi Caino”, superando lo stesso passo della Genesi normalmente tradotto con “Nessuno uccida Caino”. Nella scelta del nome, Mariateresa vide oltre la “pena di morte”, intuendo e anticipando il superamento anche della “pena”: degli istituti della pena e della giustizia punitiva, della giustizia sia di Dike sia di Nemesi, quella della spada e della bilancia e quella del contrappasso e del castigo.
Proprio di fronte al male assoluto, occorre fare la differenza, tenere alte le proprie bandiere: la libertà, la democrazia, lo Stato di diritto. Proprio nelle situazioni al limite della umana tolleranza, occorre essere umani. Proprio negli stati di emergenza, occorre far emergere il livello più alto di una coscienza orientata ai valori universali.