L'ultima sorpresa della Nadef
Meloni taglia la sanità, Pd sulle barricate: “Negato il diritto alla salute”
Nelle tabelle di previsione tecnica la sforbiciata della spesa per l’assistenza è pari al 6,2%. Il Pd sulle barricate: “Negano il diritto alla salute ai bisognosi”
Politica - di David Romoli
“La situazione è delicata. Servono scelte difficili”, afferma il ministro dell’Economia Giorgetti nella premessa alla Nadef. Una scelta difficilissima per tutti e soprattutto per i più poveri è già stata fatta. Le tabelle di previsione tecnica della Nota rivelano che alla Sanità è stato inflitto un nuovo taglio: così dal 7,4% del 2020, l’anno in cui tutti travolti dalla pandemia giuravano che in futuro si sarebbe speso di più per curare le persone, si arriverà nel 2025 al 6,2%.
Il ministro Schillaci aveva chiesto di aumentare la spesa sanitaria ma la situazione, si sa, è delicata. Anche il presidente della Repubblica si fa sentire e ricorda a voce alta che la sanità pubblica “è un patrimonio prezioso da difendere e da adeguare”. Ma servono scelte difficili e dunque sotto con le forbici. Il Pd fa rullare i tamburi. “Sempre più gente è costretta a non curarsi. Meloni sta smontando pezzo per pezzo il nostro diritto alla salute”, strilla Elly Schlein e ha ragione. “I governi con il Pd dentro hanno tagliato 30 miliardi per la sanità in meno di 10 anni, bloccato le assunzioni e inventato i tetti di spesa”, replica per FdI il presidente della commissione Sanità del Senato Zaffini e anche se un po’ gonfia le cifre ha ragione anche lui. Anche quei governi si trovavano a fronteggiare “situazioni delicate”.
Ma stavolta è peggio o lo sarà presto. Il governo è nei guai con la legge di bilancio oggi ma sa che lo aspettano guai ben peggiori sul debito domani. Nell’immediato bisogna trovare 10 miliardi che mancano all’appello per la legge di bilancio, e bisogna trovarli muovendosi con massima cautela, sapendo di avere gli occhi della Ue puntati addosso. La Nadef sfora di un bel po’ il deficit dell’anno prossimo, posticipa di un anno tondo il rientro nel parametro deficit/Pil, contrabbanda per certezze stime che sono tanto ottimistiche quanto poco credibili. La Commissione può far finta di non accorgersene e largheggiare in flessibilità, ma solo se vedrà che oltre a fare deficit il governo stringe davvero le maglie. Altrimenti passerà la vulgata classica sui soliti italiani che se la godono e fanno debito.
Dai ministeri devono arrivare davvero i 2 miliardi promessi e sono sideralmente lontani, la riforma fiscale deve portare in cassa almeno un miliardo ed è improbabile che succeda. La tassa sugli extraprofitti bombardata dalla Bce e silurata dall’interno da Fi è un’incognita assoluta ma perché frutti davvero quasi 3 miliardi ci vorrà un mezzo miracolo. E anche se tutto andasse per il meglio il piatto piangerebbe ancora. Dunque bisogna far piangere anche più del solito i malati. La situazione, si sa, è delicata. Col debito andrà peggio. La cifra che nella Nadef fa storcere più la bocca a Bruxelles è quella che riguarda il debito: dovrebbe calare, sì, ma di un solo decimale.
Negli anni scorsi, dopo il picco di circa il 155% del Pil raggiunto nell’anno della pandemia, il 2020, era sempre sceso a botte di parecchi punti percentuali l’anno, sono all’attuale 140,2% che dovrebbe diventare 140,1% l’anno prossimo. Se tutto andrà bene e le stime azzardate della Nadef saranno confortate dai dati reali. Lo stesso Mef indica 4 variabili che potrebbero vanificare i sogni e la più pericolosa non è il temuto spread ma il prezzo del petrolio: che la guerra renderà probabilmente alto con tutto quel che ne consegue.
“La finanza pubblica è gravata dall’onere degli incentivi edilizi, dal rialzo dei tassi e dal rallentamento del ciclo economico internazionale”, si giustifica Giorgetti. Senza contare gli interessi sul debito, avviati a raddoppiare: dai 57 miliardi del 2020 ai 103 del 2023. Per intervenire in una situazione simile con i tempi imposti dall’Europa, ma anche dai mercati che proprio sul debito basano il loro scetticismo non basta la politica della borsa chiusa adottata dal governo austero. Serviranno tagli e di quelli dolorosi. In Italia c’è già un coro che li invoca ma i cannoni veri, quelli dell’Europa e dei mercati, inizieranno a farsi sentire l’anno prossimo.
Ma per questo governo tagliare a fondo, muovendosi in direzione diametralmente opposta a quella promessa, non sarebbe possibile. Per questo e non per paranoia la premier ha provato a giocare d’anticipo denunciando una tentazione di governo tecnico che oggi non esiste ma domani potrebbe facilmente prendere corpo. In nome della situazione delicata e delle necessarie scelte difficili.