Qualcosa oltre il folklore?
L’identità smarrita della sinistra: tra nostalgia e complottismo resta la malinconia
Nostalgismi, caricature, complottismi, tic da Masaniello: dalla caduta del Muro l’immaginario tradizionale di una gloriosa parte politica si è ridotta a un pulviscolo indefinito che lascia malinconici
Editoriali - di Fulvio Abbate
La Sinistra è forse trapassata, espressamente morta? Pier Paolo Pasolini, poeta, “marxista”, ha immaginato, fra molte altre cose, la “Dopostoria”, il momento umano in cui il viaggio della storia è finito eppure il cammino appena incominciato, o viceversa. L’immagine usata per restituire tale stato d’animo epocale mostra la fuga di una strada con due figure di spalle, incamminate, “come nei film di Charlot”, punti interrogativi viventi: già, chissà dove vanno…
Questo per dire che il discorso sul destino di ciò che chiameremo non senza smarrimento Sinistra non è di stamattina, il dibattito appartiene addirittura al mondo nel suo tempo ancora in bianco e nero, quando alcuni punti cardinali non erano ancora stati intaccati dal dubbio e lo smarrimento. Ora, semplificando, senza neppure riavvolgere il nastro dei nodi e dei precipizi epocali che la Sinistra ha affrontato dalla caduta del Muro in avanti, soprattutto in tempi di pensiero assai “debole”, se non estenuato, reificato in un semplice emoticon, si tratta forse di fare caso a ciò del corpo stesso della Sinistra rimane a vista d’occhio, nella percezione pratica quotidiana, sì, un qualcosa che assomigli alla “Lezione di anatomia del dottor Nicolaes Tulp”, quadro tra i più celebri di Rembrandt.
Non ce ne voglia chi legge, ma, come spiega ancora il filosofo Albert Camus, “si pensa soltanto per immagini”, dunque, parlando ormai di una vaga nebulosa perfino organizzativa, ci sembra così opportuno procedere perfino per corpi figurati. Storia non meno nota, la Sinistra non si è mai mostrata come corpo, anzi, monade unica e indivisibile, tuttavia, scendendo nel dettaglio, facendo caso al paesaggio politico a noi più prossimo, va constatato che, in assenza dello stesso bandolo, ciò che attualmente appare assomiglia a un terreno desertico di pulsioni, sovente in contraddizioni tra loro.
Precipitando ancora meglio nel dettaglio, prendendo in prestito una citazione tra le più prosaiche, eppure plasticamente chiara e suggestiva perfino rispetto al pessimismo dell’intelligenza in assenza di una volontà (quest’ultima, la Volontà, si sappia, è un concetto proprio dell’Idealismo, addirittura caro agli anarchici, il germe da cui genera il pensiero destinato a mettere in discussione l’esistente) occorre fare meschinamente ritorno all’idea dell’assemblea di condominio, come l’ha mostrata Paolo Villaggio nel tragico vangelo del suo Fantozzi: tutti contro tutti, elmetto sul capo, nell’impossibilità di stabilire le ragioni e intenti dei singoli millesimi in possesso di proprietari residenti e semplici affittuari.
Sembra infatti che le particelle dell’atomo stesso della Sinistra abbiano scelto di scindersi in nuove mille altre parti, ancora pulviscolo, in grado di determinare una babele innanzitutto linguistica che impedisce ormai di comprenderne la sostanza culturale e antropologica medesima. Per non dire dei suoi totem, del suo simbolico, del suo stesso impianto che definiremo emozionale, sentimentale, programmatico; lo Spettro di cui parlava qualcuno va addirittura immaginato talvolta travisato in abiti carnascialeschi, caricaturali, dove appare assente perfino la memoria teoretica iniziale, restano soltanto suggestioni in ordine sparso, ora una “jacquerie” addirittura populista che rimette al mondo mille controfigure di Masaniello planato sulle stringhe dei social ora un rigurgito del remoto “Yankee Go Home” quasi a immaginare un’eterna presa di Saigon, ora una attenzione del tutto parziale ai bisogni unicamente cari ai cosiddetti ceti medi riflessivi, ora un bizzarro post-maoismo che sembra fare strame dell’ironia stessa; ciò che un tempo era detto “massimalismo” non è escluso che includa nella sua carta d’intenti il complottismo che solleva gli occhi al cielo a indicare la minaccia delle “scie chimiche”.
Perfino la falce e martello, quando talvolta si accompagna al nickname tra terzomondismo e icona leninista su un profilo X, già Twitter, appare di difficile decifrazione dialettica. Il filosofo, il politologo, l’osservatore semplice in possesso di memoria storico-filologica, in questi casi, avendo contezza del simbolico, seppure accusato d’essere un “boomer” colpevole del suo stesso portato interpretativo, si ritrova costretto a ripensare ai bassorilievi piranesiani dove le panoplie colme di spade, corazze, elmi e mazze sono lì unicamente a indicare il proprio valore d’uso in senso melanconico, come il simbolo della torre sbilenca, in procinto di precipitare, un preludio di post-modernità, racconto della coscienza infelice. Un qualcosa che procura addirittura nostalgia di un antico pacato bisogno confortevole di vecchia grisaglia socialdemocratica, da sognare come una stella polare comunque chiara fissa, ma forse ormai anche questa è irrimediabilmente svanita.