Il caso dei Cpr

Destra o sinistra è uguale, lo scopo è criminalizzare i migranti

È il cortocircuito di un’impostazione di presunta matrice sicuritaria che affronta un problema geopolitico di portata generale intervenendo, mediante criminalizzazione, sullo status dei singoli.

Cronaca - di Iuri Maria Prado

24 Settembre 2023 alle 15:30

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Destra o sinistra è uguale, lo scopo è criminalizzare i migranti

Non è monocolore la pretesa di contenere l’immigrazione penalizzandola: sia pur a gradati livelli di intransigenza, è stata propugnata, attuata e mantenuta così dal legislatore di destra come da quello di sinistra. L’uno e l’altro hanno infatti messo o lasciato nella legge l’idea di elevare a “crimine” qualcosa che solo forzando la logica è possibile considerare un comportamento ed è semmai, in realtà, una condizione: la condizione di chi è costretto a fare ingresso e a trattenersi in un luogo che non gli riconosce la possibilità di farvi ingresso e di trattenervisi, e che dunque lo punisce se vi fa ingresso e vi si trattiene. Non è un gioco di parole.

È il cortocircuito di un’impostazione di presunta matrice sicuritaria che affronta un problema geopolitico di portata generale intervenendo, mediante criminalizzazione, sullo status (sulla condizione, appunto) dei singoli. I problemi di ordine pubblico, di integrazione, di cosiddetta “tenuta sociale” che si pretendono conseguenti all’urto delle migrazioni si registrerebbero semmai per i numeri elevati degli ingressi, per i movimenti e gli insediamenti di notevoli quantità di persone, non per il comportamento individuale di questo o quello. Ma solo questo, solo il comportamento singolare e la relativa responsabilità dovrebbero essere materia di imputazione penale.

E invece qui, irragionevolmente e in un quadro di assai dubbia compatibilità costituzionale, il diritto penale – che dovrebbe colpire responsabilità proprie e personali – viene adoperato per imputare al singolo una responsabilità che egli non ha in nessun modo: salvo credere che io debba rispondere, perché vengo dallo stesso Paese o perché ho la pelle dello stesso colore, del fatto che una cospicua presenza di miei simili crea problemi qui o là.

Ancora, e ancora in modo del tutto irragionevole, il diritto penale è qui richiamato alla sanzione di un illecito che dopotutto consiste nel tentativo del migrante di sottrarsi a dir poco a una situazione di gravissimo disagio e, molto spesso, di vero e proprio pericolo. Ma non basta. Al migrante che si renda responsabile del reato di trovarsi nella propria condizione, e cioè nella condizione di migrante (perché di questo si tratta), l’ordinamento che lo ripudia che alternative offre?

Qual è il precetto cui il migrante deve uniformarsi, per essere accettato? Non esiste. Qual è il buon comportamento che deve tenere, per poter entrare e restare? Nessuno. La sua colpa, irrimediabile, è di appartenere a una categoria bandita, e che poi la categoria sia contrassegnata per provenienza geografica, per razza e per censo è un altro dettaglio che evidentemente non ha impensierito i legislatori di ogni latitudine parlamentare che hanno messo insieme questo bel dispositivo di ambizioni nazional-protezionistiche.

Sono pasticci, chiamiamoli così, su cui la Corte costituzionale è intervenuta in modo approssimativo e contraddittorio, eliminando bensì qualche strepitosa oscenità discriminatoria (come l’aggravante di clandestinità, che in buona sostanza era aggravante razziale) ma lasciando in vigore quella di fondo: vale a dire l’idea (messa in pratica, e cioè in legge) di punire la colpa di chi cerca rifugio e possibilità di vita.

Che un giudice di pace possa tenere nelle prigioni dedicate ai migranti (questo sono – prigioni – i cosiddetti “CPR”) i responsabili di questo “reato”, cioè entrare e trattenersi nel Paese ridotto a un unico porto chiuso, forse rispetterà la forma della norma costituzionale per cui la libertà personale può essere limitata solo in forza di un atto motivato dell’autorità giudiziaria: ma la sostanza del nostro ordinamento ne esce deturpata; e semmai, paradossalmente, il sigillo giurisdizionale aggrava l’inciviltà di quel trattamento. Giusto come nessuno riterrebbe attenuata l’inciviltà della tortura solo per il fatto che è un giudice a ordinarla. Si dice che in Italia non si va mai in galera. Non è vero nemmeno per gli italiani, ovviamente. Ma è tanto meno vero per gli altri: se sei un immigrato ci vai facile facile.

24 Settembre 2023

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