Il genocidio dimenticato

“Nessuno parla degli armeni, il massacro dimenticato in Nagorno Karabakh”, intervista a Marcello Flores

"Nel settembre del 2020 l’Azerbaigian che ha messo in atto un’aggressione militare al Nagorno Karabakh, ne ha conquistato delle parti, ha cacciato oltre centomila armeni. Si è creata quella nuova situazione che perdura ancora oggi"

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

29 Agosto 2023 alle 13:30

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“Nessuno parla degli armeni, il massacro dimenticato in Nagorno Karabakh”, intervista a Marcello Flores

Non solo guerre “ignorate”. Ma anche genocidi dimenticati. Come quello in atto, nel silenzio della comunità internazionale e dell’informazione, contro la popolazione armena nel Nagorno Karabakh. L’Unità ne discute con uno dei più autorevoli storici italiani: Marcello Flores. Il professor Flores ha insegnato Storia comparata e Storia dei diritti umani nell’Università di Siena, dove ha diretto anche il Master europeo in Human Rights and Genocide Studies. Tra i suoi libri, ricordiamo: Il secolo del tradimento. Da Mata Hari a Snowden 1914-2014, (il Mulino, 2017), Il genocidio degli armeni (il Mulino, nuova ed. 2015), Traditori. Una storia politica e culturale (il Mulino, 2015), Storia dei diritti umani (il Mulino, nuova ed. 2012), Il genocidio (Il Mulino, 2021).

Di grandissima attualità è tornato ad essere Il genocidio degli armeni. Il libro prende le mosse dal declinare dell’impero ottomano nell’Ottocento, per mostrare come già sul finire del secolo il governo metta in opera un piano demografico-sociale che, a fronte del problema di ricollocare i cittadini turchi espulsi dalle regioni europee dell’impero diventate indipendenti, prevede la completa turchizzazione dell’Anatolia, attuata a spese degli armeni. Questi ultimi subiranno crescenti persecuzioni fino alla decisione, presa nel corso della Grande Guerra, di deportarli e sterminarli. Fra aprile 1915 e settembre 1916 centinaia di migliaia di armeni vennero uccisi. Oltre a ricostruire analiticamente il processo, Flores presenta anche la lunga battaglia della memoria che tuttora si combatte su un genocidio che la Turchia continua a negare.

In Karabakh gli armeni muoiono di fame. Da oltre otto mesi il Paese non riceve più rifornimenti di cibo, medicine e generi di prima necessità. Interrotte le forniture di gas, acqua potabile ed elettricità. Per 120mila abitanti iniziata una gravissima crisi umanitaria. Un genocidio “dimenticato”. Professor Flores, come inquadrare quanto sta avvenendo?
Si tratta di uno dei conflitti di più lungo tempo dell’epoca del crollo dell’Unione Sovietica. È dal 1988, prima che scoppiasse la crisi finale dell’Urss che il conflitto nel Nagorno Karabakh ha inizio. È un conflitto che ha delle basi oggettive, perché c’è un territorio che era, almeno fino al 2020, abitato praticamente soltanto da armeni che si trovava però nel territorio dell’Azerbaigian. Il Nagorno Karabakh, l’Artsakh come lo chiamano gli armeni, chiedeva una propria indipendenza e una riunificazione con l’Armenia, l’Azerbaigian, invece, sulla base di un altrettanto valido principio del diritto internazionale, quello dell’intangibilità delle frontiere del territorio nazionale, si opponeva. Una delle classiche situazioni in cui le complicazioni della storia si dovrebbero risolvere con il dialogo, con il compromesso.

Si dovrebbero. Ma in realtà cosa è accaduto e sta tragicamente continuando ad accadere?
All’interno di quella situazione conflittuale alla fine dell’Unione Sovietica, ci sono stati continui conflitti, una situazione di pace di fatto durata oltre vent’anni, che nel settembre del 2020 è stata duramente interrotta dall’Azerbaigian che ha messo in atto un’aggressione militare al Nagorno Karabakh, ne ha conquistato delle parti, ha cacciato oltre centomila armeni che sono dovuti fuggire e si è creata quella nuova situazione che perdura ancora oggi, di cui l’ultimo atto è la chiusura del Corridoio di Lachin, che è la striscia di territorio che permette di congiungere il Nagorno Karabakh con l’Armenia, facendo sì che gli armeni in Karabakh siano intrappolati da 8 mesi, senza ricevere viveri, medicine, con l’interruzione dell’elettricità, del gas, dell’acqua. Siccome era la Russia che si era candidata di fatto a proteggere e a farsi garante dell’accordo che era stato raggiunto alla fine del conflitto nel novembre 2020, si presupporrebbe che la Russia faccia qualcosa ma sappiamo bene che la Russia è coinvolta da un anno e mezzo essenzialmente nella guerra in Ucraina e non ha intenzione di entrare in una situazione che può solo nuocerle dal momento che l’Azerbaigian è strettamente legato alla oggi alla Turchia che difende il punto di vista del governo a zero.

E dunque, professor Flores, siamo in un tragico, irrisolvibile, vicolo cieco?
Siamo in una situazione classica di dramma umanitario in cui non può essere altro che la comunità internazionale a intervenire, facendo pressione su tutte le potenze, costringendo il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite a prendere una posizione, e in particolar modo la Russia ad agire. Questa è la situazione drammatica che purtroppo non riceve particolare attenzione proprio perché c’è la guerra in Ucraina che è un elemento più rilevante di crisi internazionale. Ma dal punto di vista umanitario umanitaria, quella del Nagorno Karabakh è una crisi estremamente pesante, complicata, soprattutto perché fa capire che sarà difficile giungere ad una soluzione rapida e giusta del problema.
Questa è la cosa peggiore. Non s’intravvede una soluzione pacifica che ci sarebbe potuta essere parecchio tempo fa, con una sorta di scambio territoriale per riunificare i territori dell’Armenia e quelli dell’Azerbaigian in modi omogenei. Una sorta di scambio analogo, ma organizzato meglio, a quello che ci fu negli anni ‘Venti tra Grecia e Turchia.

Perché nel mondo c’è ancora tanto ostracismo o quanto meno titubanza, nel legare la parola genocidio alla tragedia degli armeni?
Francamente non credo che sia così. Ci sono pochissimi paesi, la Turchia e l’Azerbaigian, che rifiutano di parlare di genocidio a proposito degli armeni, e questo è uno dei motivi che rende la situazione del Nagorno Karabakh e della zona del Caucaso particolarmente drammatica. Da questo punto di vista, l’Armenia è abbastanza isolata. Non va dimenticato che nell’ultimo decennio c’è stato quello che potremmo chiamare un genocidio culturale, una distruzione programmata e continua di chiese, edifici, luoghi e simboli della vita culturale armena in territori dell’Azerbaigian e della Turchia stessa in passato. La negazione del genocidio è legata ad un’area ristretta di paesi con cui però, l’Azerbaigian per il gas, la Turchia per gli immigrati e tante altre questioni di carattere economico e geopolitico, come Europa, e non soltanto come Italia, non vogliamo entrare in contrasto, e questo contribuisce non poco alla sottovalutazione del retaggio del genocidio che è parte di un procedimento di discriminazione, di odio, di tipo etnico che è presente nell’area.

Gli armeni, i curdi, solo per citare due popolazioni. Sembra che nel mondo ci siano dei popoli “maledetti”.
Il problema non sono i popoli “maledetti”. Semmai sarebbe storicamente più corretto parlare di popoli “traditi”. Nel senso che si tratta di popoli che avevano avuto la promessa, alla fine della prima Guerra mondiale, di poter ottenere un proprio territorio autonomo e indipendente. Questo purtroppo non avvenne per le modalità con cui la pace di Parigi ebbe luogo, con il ritiro di fatto del presidente americano Wilson e degli Stati Uniti dall’Organizzazione della Società delle Nazioni, con gli errori del colonialismo anglofrancese che permisero ad Atatürk di riprendersi una parte del territorio e quindi di costringere al trattato di Losanna che favorì la ricostruzione della Turchia proprio colpendo la possibilità dell’Armenia, così come nelle altre zone sempre sottoposte al controllo coloniale anglofrancese – Iraq – Siria e altre – non ci fu possibilità per i curdi di ottenere quel Kurdistan che si aspettavano di avere dopo la fine della guerra. È tutto lì che nasce. La storia spesso accumula gli errori. Per il Kurdistan sappiamo che ci sono state tantissime vicende, tentativi insurrezionali, l’intervento nelle due guerre del Golfo, che hanno creato la Repubblica autonoma del Kurdistan iracheno. Una situazione estremamente complicata, in cui la mancanza di quella base territoriale che doveva nascere alla fine della prima Guerra mondiale ha reso estremamente difficile, sul terreno del diritto internazionale, il riconoscimento della sovranità nazionale e dell’autodeterminazione di questi popoli nell’ambito di una geopolitica estremamente complicata nel tempo.

Non esiste anche un problema irrisolto di giustizia internazionale che possa risarcire popoli come quelli che abbiamo citato, armeni e curdi, e altri ancora, i palestinesi ad esempio.
La giustizia internazionale non si può muovere così all’indietro. Intanto perché non si sa bene quale possa essere il limite. Il limite è quando sono state prese delle decisioni della giustizia internazionale, pensiamo Norimberga e i processi che ne sono seguiti legati ad un determinato momento e fatto storico per cui ancora oggi sappiamo che è aperto un contenzioso tra Italia e Germania sui risarcimenti relativi alla conquista tedesca dell’Italia. Per questioni così lontane, non esiste una possibilità di affidarsi agli strumenti della giustizia internazionale. Va ricordato tra l’altro che il primo tribunale che ha riconosciuto il massacro degli armeni del 1915-1916, non è stato un tribunale pubblico, è stato di fatto un tribunale “privato”, il tribunale Russell che ebbe la forza e il coraggio, negli anni ’60, di poter dire sulla base di quella che è la Convenzione sul genocidio del 1948, noi oggi possiamo dire che quello che era stato il massacro degli armeni, costituisce sulla base di questa Convenzione un genocidio.

Genocidi, soluzioni finali, pulizie etniche si nutrono di stereotipi, di pregiudizi e ossessioni che la propaganda di regime trasforma in narrazione di odio e di morte. Professor Flores, qual è lo stereotipo demonizzante usato contro gli armeni. Cosa faceva paura di quel popolo?
Del popolo armeno, nel momento di quei massacri, facevano paura diverse cose che vanno viste tutte insieme. Un ruolo economico importante, che gli armeni avevano avuto all’interno dell’impero ottomano; un ruolo religioso, perché erano la minoranza cristiana, non islamica, più forte. E soprattutto la presenza demografica molto forte in alcuni distretti, eyalet come si chiamavano, dell’impero ottomano nell’Anatolia orientale in cui gli armeni erano o la maggioranza o circa la metà della popolazione, e questo rappresentava un vulnus, soprattutto per il futuro, rispetto a quella nuova identità etnica fondata sull’omogeneità etnica dell’Anatolia che i “Giovani turchi” portavano avanti, cogliendo l’occasione della prima Guerra mondiale per imporla.

29 Agosto 2023

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