I dati
Rapporto Oxfam: ogni giorno 9mila persone muoiono di fame per la guerra, ma vola il riarmo
Dal 2018 al 2022 la spesa mondiale per l’importazione di armi è stata di 112 miliardi di dollari all’anno. L’anno scorso i Paesi ricchi hanno destinato lo 0,36% del loro reddito agli aiuti allo sviluppo
Esteri - di Umberto De Giovannangeli
È vero. I numeri non dicono tutto. Possono apparire freddi, senz’anima. Non raccontano storie, non hanno volto. Ma in determinati casi, i numeri svelano verità che una informazione mainstream tende ad occultare. I numeri svelano un mondo sempre più armato e per questo sempre meno sicuro. Un mondo a un passo dal baratro. Vanno letti in sequenza. Tutti di un fiato. Alla fine, non si può non essere allarmati. E non chiedersi cosa si può fare per invertire la rotta riarmista.
Ottantacinque miliardi di dollari all’anno per i 5 maggiori esportatori di armi, mentre ogni giorno 9 mila persone muoiono di fame a causa della guerra. La crescita della vendita mondiale di armi alimenta conflitti che solo l’anno scorso hanno portato sull’orlo della carestia 117 milioni di persone in 19 paesi, causando l’uccisione di 48 mila civili e lo sfollamento forzato di 90 milioni di persone.
La spesa militare globale nel 2022 ha toccato la cifra record di 2.200 miliardi di dollari, sufficienti a coprire oltre 42 volte gli aiuti richiesti dalle Nazioni Unite per fronteggiare le più gravi crisi umanitarie nel mondo (pari a 51,7 miliardi di dollari) e 11 volte l’aiuto pubblico allo sviluppo globale di tutti i membri delle Nazioni unite (pari a 206 miliardi di dollari).
È l’allarme lanciato da Oxfam, una confederazione internazionale di organizzazioni non profit che si dedicano alla riduzione della povertà globale, attraverso aiuti umanitari e progetti di svilupo in occasione della riunione del Consiglio di sicurezza dell’Onu che sta discutendo – oggi le conclusioni – di strategie utili a garantire la sicurezza dei civili nei Paesi in guerra. L’appello urgente è che si adottino politiche per salvare la vita di milioni di persone intrappolate in zone di conflitto, agendo concretamente contro il moltiplicarsi di guerre e la proliferazione di armi.
Secondo le stime dal 2018 al 2022 la sola spesa mondiale per l’importazione di armi è stata in media pari a 112 miliardi di dollari all’anno, mentre ogni giorno 9 mila persone sono morte per fame a causa principalmente degli effetti prodotti dai conflitti in corso.
I primi cinque Paesi al mondo per export di armi sono Stati Uniti, Russia, Francia, Cina e Germania. Da soli sono responsabili dei tre quarti del commercio globale e secondo le stime hanno complessivamente guadagnato 85 miliardi di dollari all’anno negli ultimi 4 anni. L’Italia non è stata da meno, attestandosi sesta tra i grandi esportatori, con il 3,8% del commercio mondiale nello stesso periodo, alle spalle della Germania responsabile del 4,2% delle esportazioni globali.
“Paradossalmente quattro dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza sono in cima alla vendita globale di armi che alimentano guerre in tutto il mondo – rimarca Francesco Petrelli, policy advisor di Oxfam Italia sulla sicurezza alimentare – Le armi che vengono vendute, non solo sono responsabili della morte di civili innocenti, ma contribuiscono a ridurre alla fame chi sopravvive”.
Le esportazioni globali dei principali sistemi d’arma convenzionali nei quattro anni presi in esame sono aumentate del 4,8% rispetto al decennio precedente, mentre nel 2022 quasi 48.000 civili sono stati uccisi a causa dei conflitti armati, che sono arrivati a causare lo sfollamento forzato di quasi 90 milioni di persone nel mondo.
“Numeri spaventosi, ma è solo la punta dell’iceberg – aggiunge Petrelli – I signori della guerra e le milizie al soldo del miglior offerente, stanno realizzando miliardi di dollari di profitti grazie al traffico illegale di armi leggere che alimentano i conflitti in Somalia e Sud Sudan”.
Solo l’anno scorso i conflitti in corso nel mondo sono stati un fattore fondamentale che ha portato alla fame estrema 117 milioni di persone in 19 paesi. Intere popolazioni, che spesso vivono nei paesi più poveri e vulnerabili del pianeta, si ritrovano minacciate dalla guerra che si aggiunge alla crisi climatica e alla recessione economica.
Nell’Africa subsahariana l’anno scorso i governi hanno speso 19 miliardi di dollari per le forze armate, mentre per sostenere l’agricoltura si è tornati ai livelli di oltre 20 anni fa. Solo 38 su 54 paesi africani hanno rispettato l’impegno preso nella Conferenza di Malabo nel 2014 di investire almeno il 10% del proprio bilancio nazionale in agricoltura. Al contrario in paesi attraversati da sanguinosi conflitti, come il Sud Sudan, la spesa militare l’anno scorso è aumentata di oltre il 50% rispetto al 2021, mentre 7,7 milioni di persone (il 63% della popolazione) si trovano oggi sull’orlo della carestia. Ciò ha causato l’aumento esponenziale dei matrimoni infantili, impedendo a bambini e ragazzi di studiare, avere un futuro degno di questo nome. Qui poi è sempre più difficile portare aiuti alla popolazione a causa degli scontri, con l’accesso al cibo che viene usato come arma per ottenere vantaggi politici dalle parti in conflitto.
“Le grandi potenze mondiali, riunite al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, dovrebbero anteporre la pace al profitto, l’accesso al cibo alla fornitura di armi. Ne saranno in grado? –incalza Petrelli – Come più volte ha ricordato Papa Francesco ‘viviamo in una terza guerra mondiale combattuta a pezzi’. Una spirale di violenza e disumanità che deve essere interrotta prima che per molti sia troppo tardi”.
Furto con scasso. E’ sempre Oxfam a denunciarlo. Nel 2022 ben il 14,4% dell’aiuto pubblico allo sviluppo globale (Aps) è rimasto nelle tasche dei Paesi ricchi, anziché essere destinato a migliorare le condizioni di vita nelle aree più povere del pianeta. In particolare esplode la voce “dei costi dei rifugiati nel paese donatore”, arrivati alla cifra record di 29,3 miliardi di dollari, con un più 134% rispetto al 2021.
In altre parole, quanto trattenuto dai Paesi donatori per interventi entro i confini nazionali è superiore all’aumento complessivo degli aiuti globali (+13,6%), passati da 186 miliardi nel 2021 a 204 miliardi nel 2022.
In questo scenario l’Italia è un esempio emblematico di un trend di aumento solo fittizio delle risorse destinate all’aiuto pubblico, ossia a sradicare la povertà nei Paesi in via di sviluppo.
Il nostro Paese passa infatti dallo 0,29% del 2021 allo 0,32%del 2022 di aiuto pubblico allo sviluppo globale in rapporto al reddito nazionale lordo, con un aumento sulla carta del 15%, cioè da 6,085 miliardi di dollari a 6,468. Come sostiene però la stessa Ocse nei giudizi sulle tendenze dell’aiuto dei vari Paesi, “si tratta di un aumento esclusivamente dovuto alla quota dei costi dei rifugiati nel Paese donatore, senza il quale l’aiuto allo sviluppo diminuirebbe”.
“Le risorse spese esclusivamente per i costi per l’accoglienza in Italia sono triplicate, passando da 557 milioni a quasi 1 miliardo e mezzo e rappresentano il 23% del totale dell’intero aiuto pubblico allo sviluppo italiano. – continua Petrelli – Certamente pesa l’aumento degli arrivi attraverso il Mediterraneo passati da 67.000 nel 2021 ai 104.000 nel 2022 e il reindirizzamento di 359 milioni di dollari per la crisi Ucraina. Resta però un’evidenza lampante: si tratta di risorse ancora una volta non destinate ai Paesi poveri. Tutto ciò mentre gli aiuti italiani verso l’Africa si sono stati più che dimezzati, passando da 1,030 miliardi di dollari nel 2021 a 491 milioni di dollari nel 2022. Lo stesso vale per i fondi destinati ai cosiddetti Paesi a basso tasso di sviluppo, che crollano da 925 milioni di dollari nel 2021 a 335 nel 2022”.
Tra i Paesi donatori Ocse l’obiettivo dello stanziamento dello 0.70% in aiuto pubblico allo sviluppo resta un miraggio
Nel frattempo, in termini reali resta un miraggio il mantenimento dei solenni impegni presi oltre 50 anni fa e ribaditi nel 2015 con l’Agenda 2030 dell’Onu per lo sviluppo sostenibile. In particolare quello di raggiungere lo 0.70% rispetto al reddito nazionale lordo in aiuto allo sviluppo. Soprattutto perché, al di là delle percentuali, si allontanano gli obiettivi di sostenibilità sociale, ambientale e di lotta alla povertà estrema, considerando che questi indicatori peggiorano in 9 Paesi su 10.
In media i Paesi ricchi nel 2022 hanno destinato infatti solo lo 0,36% del loro reddito nazionale lordo agli aiuti allo sviluppo, rispetto allo 0,33% nel 2021, ma molto al di sotto dello 0,70%. I 20 paesi donatori dell’Unione Europea, con 91,6 miliardi di dollari complessivi raggiungono in media lo 0,57% nel rapporto tra aiuto pubblico allo sviluppo e reddito nazionale lordo e rappresentano il 45% del totale globale. Gli Usa da soli pesano per il 25%.
“Secondo le stime di Oxfam questa promessa mancata è costata ai Paesi a basso e medio reddito 6.500 miliardi di dollari dal 1970 al 2021 – conclude Petrelli – Quello a cui stiamo assistendo non solo è un gioco a somma zero o negativo, ma denuncia una mancanza di visione e di assunzione di responsabilità”.
Un mondo più armato e sempre meno solidale. Un mondo da cambiare. Prima che sia troppo tardi.