La tragedia "ignorata"

Rapporto choc di Save the children, mezzo miliardo di bambini vive in zone di guerra

Solo in 22 milioni hanno ricevuto protezione: gli Stati hanno coperto il 19% dei loro fabbisogni, abbandonando i più al loro destino

Editoriali - di Umberto De Giovannangeli

10 Giugno 2023 alle 13:00

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Rapporto choc di Save the children, mezzo miliardo di bambini vive in zone di guerra

I numeri non dicono tutto, è vero. Ma spesso danno conto delle dimensioni di una tragedia “ignorata”. Un crimine nel crimine. Soprattutto quando a esserne vittime sono i più indifesi tra gli indifesi: i bambini. Perché le guerre sono anche questo. Una interminabile Spoon River di bimbi che nelle guerre hanno perso il sorriso, l’infanzia e spesso la vita.

Nel 2022 circa 468 milioni di bambini – più di 1 su 6 – vivevano in una zona di guerra, numero quasi raddoppiato dalla metà degli anni 90, e 250 milioni di loro erano in prima linea, entro 50 km dal conflitto. L’anno scorso circa 22,4 milioni di minori in contesti di guerra sono stati destinatari di servizi di protezione dell’infanzia ma i governi hanno stanziato solo il 19% dei fondi necessari. Un deficit di quasi 650 milioni di dollari di finanziamenti per la protezione dell’infanzia sta lasciando quasi 18 milioni di bambini vulnerabili e gli operatori che vivono nelle peggiori crisi umanitarie del mondo a rischio di violenza, sfruttamento e abusi .

Lo afferma Save the Children, l’Organizzazione internazionale che da oltre 100 anni lotta per salvare i bambini e le bambine a rischio e per garantire loro un futuro. Nei giorni scorsi Save the Children con i suoi partner ha lanciato il rapporto, Unprotected: An Analysis of Funding for Child Protection in Armed Conflict, che sottolinea come in molti Paesi dove la guerra e la violenza persistono, il finanziamento non tiene il passo con il crescente numero di famiglie e bambini a rischio.

Nel 2022 circa 22,4 milioni di bambini bisognosi e i loro adulti di riferimento sono stati destinatari di servizi di protezione dell’infanzia che richiedono un finanziamento di quasi 795 milioni di dollari. Tuttavia, i governi hanno trovato solo il 19% dei fondi necessari, creando un vuoto finanziario di oltre 646 milioni di dollari e lasciando quasi 18 milioni di bambini, bambine e adulti di riferimento senza aiuto e sostegno . I servizi di protezione dell’infanzia sono fondamentali per proteggere i bambini dai pericoli, in particolare coloro che vivono in zone di guerra o nei Paesi colpiti da conflitti. Servono a salvaguardare i minori dalle gravi violazioni che si verificano durante i conflitti, compreso il reclutamento e l’utilizzo da parte di gruppi armati, i matrimoni precoci, la violenza sessuale, l’uccisione e la mutilazione. I fondi possono anche essere utilizzati per sostenere gli adulti di riferimento che si prendono cura dei minori non accompagnati o le famiglie in povertà che lottano per prendersi cura dei propri figli.

Se questa tendenza al sottofinanziamento continuerà, il rapporto di Save the Children stima che entro il 2026 ci sarà un deficit di 1 miliardo di dollari per la protezione dei bambini nelle zone di conflitto. Questo crescente deficit di finanziamento deriva dal fatto che sempre più bambini vivono in aree di conflitto armato. Le stime annuali di Save the Children sui bambini che vivono in queste zone – calcolate dal Peace Research Institute Oslo (PRIO) sulla base dei dati sui conflitti dell’Uppsala Data Program (UCDP) – mostrano che nel 2022 circa 468 milioni di bambini – più di 1 su 6 – vivevano in una zona di conflitto. Questo numero è quasi raddoppiato dalla metà degli anni 90.

C’è stato anche un aumento del numero di ragazzi e ragazze in prima linea nei Paesi più pericolosi del mondo. L’anno scorso 250 milioni di bambini vivevano entro 50 km da una zona di conflitto in aree in cui più di 1.000 persone sono morte in battaglia in un anno, dato che segna un aumento del 12% rispetto agli oltre 220 milioni di bambini di due anni fa. L’incapacità di proteggere i bambini più vulnerabili nelle peggiori zone di guerra è alla base del fallimento dei Paesi nel soddisfare uno degli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) delle Nazioni Unite per il 2030: la promozione della pace. Gli SDG sono stati adottati nel 2015, ma da allora il numero di bambini che vivono in zone di conflitto è aumentato di quasi il 28%, salendo a 468 milioni lo scorso anno.

“Stiamo assistendo a una crisi della protezione dei minori che avrà implicazioni per le generazioni a venire. I Paesi devono rimettersi in carreggiata, devono intensificare i loro sforzi per prevenire gravi violazioni contro i bambini, aiutare i ragazzi e le ragazze che sono sopravvissuti alla guerra e impegnarsi per una pace duratura e sostenibile. Con finanziamenti adeguati, l’impatto della violenza sulla vita di un bambino può essere ridotto. Un minore che vive in una zona di conflitto non può imparare in modo efficace, rischia di essere separato dalla famiglia durante le ostilità, è anche bersaglio dei trafficanti e di coloro che li costringono a lavorare. Solo sviluppando solidi programmi di protezione dell’infanzia si potranno aiutare i ragazzi e le ragazze che vivono l’incubo della guerra a imparare, svilupparsi e prosperare, in definitiva, avrà un impatto diretto sulla pace e sulla sicurezza condivise” ha dichiarato Inger Ashing, CEO di Save the Children International alla Conferenza di Oslo sulla protezione dei bambini nei conflitti armati.

La ricerca di Save the Children mostra anche che in Europa il numero di bambini esposti al conflitto è quadruplicato in un solo anno, passando da due a nove milioni di bambini, alimentato dalla guerra in Ucraina. L’Africa è rimasta la regione con il numero più alto di minori che vivono in zone di conflitto: circa 183 milioni. L’Africa occidentale e centrale è anche la regione con il maggior numero di bambini reclutati dai gruppi armati. Junior*, 17 anni, della Repubblica Democratica del Congo, ha trascorso otto mesi da bambino soldato in un gruppo armato nel 2018. All’età di 12 anni è stato separato dalla sua famiglia a causa delle violenze perpetrate dai gruppi armati nella sua comunità.

“Gli amici mi hanno convinto a unirmi a un gruppo di vigilanti armati per difendere la nostra comunità dagli attacchi di altri gruppi armati – ha detto – Non avevo un posto dove dormire e non mangiavo bene. Ero incaricato di cercare cibo per i combattenti. Spesso ero costretto ad andare in città a rubare, mi riposavo solo dopo aver provveduto al sostentamento del nostro capo. È stato difficile per me. Ero uno schiavo e ho vissuto una vita di servitù… C’erano tre ragazzi e una ragazza nel nostro gruppo. La ragazza doveva andare a letto con il nostro capo tutti i giorni… Per due volte sono andato in battaglia contro altri gruppi armati. Non potevo sopportare questa violenza e queste atrocità. Fortunatamente per me, ne sono uscito vivo”.

Dopo otto mesi, Junior* è stato liberato grazie a un progetto gestito da un’organizzazione partner di Save the Children. Da allora ha beneficiato di un sostegno psicologico e ha scoperto e seguito la sua passione come sarto. Al pari degli anni precedenti, il Medio Oriente ha continuato ad avere la quota più alta di bambini che vivono in zone di conflitto rispetto alla popolazione infantile totale: il 39% dei minori nella regione, ovvero uno su tre. Maha*, 10 anni, dello Yemen, è stata ferita dall’esplosione di una mina antiuomo mentre raccoglieva legna con sua sorella. “Abbiamo finito di raccogliere la legna e stavamo per tornare a casa – ha raccontato – C’era un grosso ceppo che volevo portare con me. L’ho tirato e si è verificata un’esplosione. Ero priva di sensi. Non capivo nulla e non ero nemmeno consapevole dei miei occhi feriti. Vorrei che nessun altro dovesse sopportare quello che ho vissuto io. Se avessi un superpotere, metterei fine alla guerra. Metterei in sicurezza la città, l’intera città, per assicurarmi che nessuno subisca danni”.

“Piangevamo tutti, eravamo terrorizzati”, ricorda Sophia*, 16 anni, che il 24 febbraio a Kharkiv , Ucraina, si è svegliata per via delle esplosioni e delle sirene. Dopo essere stata sfollata diverse volte, ha collaborato con i volontari e, alla fine, ha fatto evacuare altri otto bambini, portandoli con sé a Zakarpattia, nell’estremo ovest dell’Ucraina, dove ora vive con la nonna. Anche se la regione occidentale è considerata una delle più sicure, Sophia ha detto che gli allarmi sono sempre frequenti. Quando la sirena suona, Sophia di solito trascorre un’ora in una cantina buia e fredda sotto la loro casa. Ma se l’allarme la coglie mentre è a scuola, trovare rifugio diventa un’impresa. “Se c’è una sirena antiaerea, gli studenti dell’ultimo anno del liceo – dalla nona all’undicesima classe – vanno presso la sede del consiglio comunale. Lì hanno attrezzato un bunker”, racconta Sophia.

Ci vogliono cinque minuti per raggiungerlo di corsa o 15 se si cammina. Ma mi sono sempre chiesta se l’allarme arrivasse durante il blackout, non si sentirebbe la sirena, e se ci fosse un attacco missilistico, quanto mi ci vorrebbe per correre al rifugio… 47 secondi”. La protezione dell’infanzia rimane tristemente sottofinanziata nell’ambito delle risposte umanitarie complessive, ma il costo non è insormontabile. I fondi necessari per la protezione dei minori rappresentano solo il 2% del totale dei fondi umanitari nei Paesi in cui i bambini sono più bisognosi.

Save the Children chiede ai leader mondiali, ai donatori, ai membri delle Nazioni Unite e alle Ong di trasformare questa presa di coscienza in un’azione collettiva e di lavorare insieme per dare priorità ai finanziamenti per la protezione dell’infanzia nelle risposte umanitarie e per sostenere i bambini colpiti dal conflitto, compresi quelli che sono reclutati come soldati. Ma i leader mondiali puntano al riarmo. Negando i fondi necessari a proteggere i bambini che delle guerre sono vittime. Una vergogna planetaria.

*I nomi sono stati cambiati per proteggere l’identità

10 Giugno 2023

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