Lo sterminio degli armeni

Cosa sta succedendo in Armenia, l’altro genocidio che non si fila nessuno

Nella piccola enclave armena del Nagorno Karabakh, 120mila persone sono in ostaggio, tra loro 30mila bambini e 9000 disabili abbandonati

Esteri - di Umberto De Giovannangeli - 15 Agosto 2023

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Cosa sta succedendo in Armenia, l’altro genocidio che non si fila nessuno

C’è un genocidio in atto. Non degli ucraini. Riguarda gli armeni. Un popolo ignorato, che non merita una riunione d’urgenza del Consiglio di sicurezza dell’Onu o dell’Unione Europea. «Vi prego di non dimenticare che l’Artsakh è attualmente l’unico territorio al mondo sotto assedio completo, dove anche la comunità internazionale non ha accesso. Non vi preoccupa il fatto che, dal punto di vista dei diritti umani, l’Artsakh non sia diventato una zona grigia ma un buco nero in cui possono verificarsi tutti i crimini immaginabili dalla civiltà umana? Non vi rendete conto che tale impunità internazionale e la concessione di un altro genocidio daranno luogo a nuovi crimini, forse anche contro i vostri stessi popoli? Pertanto, imploro e chiedo a tutti voi di agire prontamente e fermare questo genocidio in corso del popolo dell’Artsakh prima che diventi troppo tardi».

È solo una parte del lungo appello che l’8 agosto il presidente della Repubblica dell’Artsakh, Arayik Harutyunyan, ha inviato alla comunità internazionale affinché adotti misure urgenti per revocare l’assedio e impedire il genocidio del suo popolo. Dopo le accuse durissime rivolte al regime di Baku e all’Europa – «L’Azerbaigian sta trasformando l’Artsakh in un campo di concentramento», «La comunità internazionale non può più restare a guardare mentre l’Azerbaigian porta avanti in modo meticoloso la sua politica, che altro non è se non un tentativo di pulizia etnica e genocidio ai danni del nostro popolo» -, Harutyunyan torna a richiedere con forza l’apertura del Corridoio di Lachin, l’unica strada che collega l’Artsakh e i suoi 120 mila abitanti all’Armenia e al resto del mondo.

«La nostra posizione incrollabile – rimarca Harutyunyan è che affinché i negoziati abbiano luogo, è necessario innanzitutto garantire condizioni favorevoli ed eque. Successivamente, dovrebbe essere istituito un meccanismo internazionale con un relativo mandato internazionale per definire i criteri per il processo negoziale. Tali criteri dovrebbero basarsi sulle norme del diritto internazionale e della prassi internazionale. In caso contrario, non possono essere oggetto di discussione le proposte di avviare trattative con una parte che rimane impegnata nella sua intenzione criminale di distruggere l’altra parte con ogni mezzo, sia esso militare, economico o politico».

Il Tribunale internazionale dell’Aja il 6 luglio ha nuovamente intimato all’Azerbaijan l’immediata riapertura del valico «perché negare il diritto alla libera circolazione di persone, veicoli e merci costituisce plausibilmente una discriminazione razziale». Appello caduto nuovamente nel vuoto perché il Nagorno Karabakh resta completamente isolato, circondato dalle forze militari azere e privo di qualsiasi collegamento esterno. A nulla continua a servire la forza di interposizione russa che avrebbe dovuto garantire l’accesso e la sicurezza del Karabakh in base agli accordi firmati da Erevan, Baku e Mosca.

Nel frattempo si aggrava il bilancio della «catastrofe umanitaria» alimentata da oltre sette mesi di isolamento. «Dacci oggi il nostro pane quotidiano» ha scritto Marut Vanian sulla sua pagina Facebook in cui da otto mesi annota giorno dopo giorno la lenta agonia di Stepanakert, la capitale. La città è in ginocchio, le scorte di cibo ridotte al lumicino, i negozi letteralmente svuotati. Da tempo sono iniziati i razionamenti e il prossimo raccolto, a causa della penuria di carburante e fertilizzanti dovuta al blocco dell’Azerbaijan, crollerà del 70%: presto sarà impossibile sfamare tutta la popolazione. Gli azeri hanno anche tagliato le forniture di elettricità, gas e acqua potabile.

Giovedì scorso la Stampa ha pubblicato un toccante reportage da Stepanakert, capitale del Nagorno Karabakh, la piccola enclave armena dove 120 mila persone sono «tenute letteralmente in ostaggio», «di cui 8.450 malati gravi privi di cure adeguate, 2.000 donne in gravidanza senza assistenza, 30.000 bambini e 20.000 anziani a rischio malnutrizione, 9.000 disabili abbandonati a sé stessi». Drammatica la situazione negli ospedali dove «medicinali e ossigeno scarseggiano da settimane».

Arrivano notizie sempre negative. Avevano promesso di mantenere la via aperta e invece il corridoio è rimasto circondato e bloccato ormai da 6-7 mesi. «È un crimine, un crimine contro l’umanità. Ci sono bambini, vecchi, malati, persone affamate. E di fronte a questo scenario di disperazione, nessuno fa nulla. Si dichiari almeno che è in atto un nuovo genocidio». Raggiunto telefonicamente Raphaël Bedros XXI Minassian, patriarca di Cilicia degli armeni, lancia un grido di denuncia su quanto sta accadendo attorno al corridoio di Lachin. «Mi rivolgo prima di tutto a tutti coloro che proclamano i diritti umani – è l’accorato appello del Patriarca – Chiedo di prendersi la responsabilità di quello che dicono e di mettere in pratica ciò che hanno definito. E poi mi rivolgo anche a chi si sta approfittando di questa situazione per interessi personali o nazionali».

Il Patriarca si rivolge alla comunità internazionale. «L’Europa, gli Stati Uniti, la Russia, tutte le grandi potenze mondiali sono testimoni di un genocidio del 21mo secolo ma non fanno nulla», dice. «Anche nel 1915, gli ambascitori di tutto il mondo erano presenti, sono stati testimoni di quello che stava accadendo ma non hanno fatto nulla per fermare il genocidio. Oggi quella storia si ripete. È stato presentato un patto di pace ma non è rispettato. Siamo aperti alla pace ma senza condizioni e senza ingiustizia».

Da più di 30 anni Armenia e Azerbaigian si contendono il territorio, popolato maggiormente dall’etnia armena. Per il possesso dell’area i due Paesi hanno combattuto due guerre, in cui sono state uccise migliaia di persone. Nel 2020, la Russia ha mediato un accordo di cessate il fuoco che ha permesso all’Azerbaigian di riprendersi buona parte del territorio nazionale che l’Armenia occupava dai primi anni Novanta. La tregua non ha però assicurato la pace, e gli episodi di violenza sono frequenti e costanti. Ed ora siamo ad un passo dalla “soluzione finale”. Ma il mondo fa finta di niente. Complice silente di un genocidio.

15 Agosto 2023

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