Fallimenti e migrazione

Meloni sfida Mattarella sui migranti, polizia invece che accoglienza e il suo governo fallisce come gli altri

Anche il governo Meloni, come quelli che l’hanno preceduto, registra il suo fallimento nelle politiche di gestione della migrazione. Perché la sua visione non si basa sui numeri, ma sull’idea che un uomo possa stare fermo dentro i propri confini

Politica - di Luca Casarini

29 Agosto 2023 alle 08:24

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Meloni sfida Mattarella sui migranti, polizia invece che accoglienza e il suo governo fallisce come gli altri

Il governo Meloni registra il suo fallimento nelle politiche di gestione della migrazione. Ma qualsiasi governo che si è succeduto in questi anni ha fallito. Sembra che la politica in realtà insegua il vecchio adagio “mal comune mezzo gaudio” quando si tratta di condividere i fallimenti sui migranti. Che, come ricorda Papa Francesco ogni volta che può, e recentemente anche il Presidente Sergio Mattarella (non a caso dal meeting di CL dove stanno i cattolici ammiratori della destra e denigratori del Papa), sono innanzitutto un paradigma di come pensiamo il mondo e il rapporto con il nostro prossimo.

Il fallimento è prima di tutto questo: di visione. Si continua a definire, governo dopo governo, estate dopo estate, l’immigrazione una “emergenza”. Eppure, a parte il fatto logico che nessuna cosa che si ripete da anni, puntuale come un orologio svizzero, può essere definita una “emergenza”, non è dai numeri che si deve partire per capire i motivi di questa incapacità. Questi ultimi infatti, descrivono i tratti di un fenomeno del tutto gestibile. Se non fosse per la violenza e le tragedie che spingono le persone a muoversi in questo quadrante di mondo, si potrebbero definire “fisiologici”. I numeri della migrazione verso l’Italia e l’Europa, sono persino contenuti, se si rapportano alla negazione del “diritto a restare” alla quale vengono sottoposte le popolazioni protagoniste loro malgrado delle migrazioni.

Non abbiamo niente a che fare, noi occidentali, con i disastri causati dalle guerre e dalla devastazione ambientale che spingono donne, uomini e bambini a diventare erranti, a muoversi da sud e da est verso l’Europa? Basterebbe solo mettere in rapporto altri numeri, ad esempio quelli relativi all’esportazione di armi che vedono quei paesi proprio come principali mercati, per fare due più due. O i numeri relativi ai barili di petrolio che grazie alle concessioni, vengono pompati nelle pipeline a gestione delle compagnie europee. O i numeri delle estrazioni di minerali e terre rare, che di locale, in quei paesi, hanno solo la manodopera infantile spinta nei buchi delle miniere a scavare per noi. Oppure, per gli appassionati di numeri, basterebbe incrociare quelli che descrivono la desertificazione e la rarefazione di suoli coltivabili e irrigabili, con lo spostamento di persone verso nord.

Ma non si basa sui numeri, e su nessun raziocinio, la visione distorta, e fallimentare, che il Governo Meloni e i suoi predecessori di segno opposto, hanno sulla migrazione. Bisogna partire da un livello più profondo per comprendere perché continuino tutti a sbagliare e ad infilarsi in questi “cul de sac” che tante sofferenze evitabili creano alle persone in movimento, e tanto male fanno alla politica, che si riduce a battibecco propagandistico continuo che alla fine è capace di esprimere solo un “pensiero unico”.

Che idea di mondo hanno i governanti dunque? Nell’epoca della globalizzazione di ogni aspetto della vita, e la pandemia recente avrebbe dovuto farci capire quanto si debba intendere immediatamente connessa la nostra vita con quella di tutti gli altri esseri umani, sembra prevalga l’immagine di un mondo circoscrivibile e rinchiudibile in “settori”. Il continuo richiamo ai “confini”, intesi come muri capaci di delimitare, impermeabilizzare, pezzi di pianeta isolandoli dagli altri, forse poteva avere un senso fino a prima dell’epoca dei conquistadores, nel 1500. L’idea di un uomo che sta fermo dentro i suoi confini, non è mai stata credibile. La ricerca di poter “abitare il mondo”, di scoprirlo fino all’ultimo angolo, non può essere sequestrata da qualche ricco e potente, perché appunto, è un’idea, e dunque, non imprigionabile. La libertà di movimento appartiene a tutti e tutte, e nessun sovrano la impedirà per sempre.

La teologia ci aiuta di più della politica, da questo punto di vista. La ricerca della “terra promessa”, il bisogno di un esodo, può essere dunque solo un privilegio di pochi? La visione dunque di un mondo rinchiuso a settori, rimanda a moderne profezie come Blade Runner, e la costruzione di un immaginario capace di “imprigionare” il desiderio di scoperta del mondo a Matrix. Ma i governi se la prendono con gli “illegali”, i “clandestini”. E allora vediamo ciò che provoca l’illegalità: con il nostro passaporto noi abbiamo accesso a 124 paesi senza nemmeno passare per il visto. Un cittadino statunitense 115. Un uomo o donna afghana in possesso di passaporto, può recarsi in 6 paesi. Un siriano in 9. Un irakeno 10, chi viene dalla Somalia 11. Dalla Libia un cittadino con il suo passaporto può raggiungere 15 altri paesi. Il “passport index” sarebbe un buon metodo per capire il perché le persone debbano spesso affidarsi ai passeur, ai trafficanti per potersi muovere.

Dunque se ci fossero governanti desiderosi di capire perché falliscono, dovrebbero intanto prendere coscienza che il mondo è stato organizzato così, cioè per avere la stragrande maggioranza dell’umanità costretta ad affidarsi a viaggi illegali, lunghissimi, pericolosi, per poter migrare. L’illegalità delle migrazioni, è un prodotto del sistema mondo, non una scelta degli esseri umani. Gli otto miliardi di abitanti del pianeta, per il 99% non vogliono lasciare la loro terra, i luoghi che conoscono e dove sono nati. Ma per quei cento milioni che si stanno spostando, in maggioranza “forzatamente” a causa di condizioni nelle quali non è possibile vivere, la “punizione” è l’inferno. La morte. Le torture, la sofferenza, gli stupri. La violenza.

I migranti e i profughi poi, sono poveri. Vanno bene se vengono messi al lavoro, e questo governo di destra ha fatto in termini di quote di ingresso, quello che vergognosamente i governi “democratici” non hanno mai osato fare, e cioè portare a 500.000 ingressi in tre anni il flusso programmato. Ma se vengono solo in quanto esseri umani, siano adulti o bambini, diventano sempre un’emergenza. Ma com’è che ciò che vive può diventare “emergenza”? E’ forse legato al fatto che siamo un paese di anziani e con più morti che nascite? Di sicuro c’è che quella vita che non viene riconosciuta come un dono ma come un problema, è racchiusa da pelle scura e non bianca. Storia antica questa, capace di trasformare il sacro “hospis” in “hostis”, nemico.

Ma storia molto più recente è anche quella del “capro espiatorio”, come insegnavano i manuali di Goebbels. Se non c’è il nemico bisogna crearlo. Perché occuparci dell’aumento della povertà in Italia, quando la “risposta” è facile e a portata di mano? Perché dover rendere conto ai cittadini dell’aumento delle bollette dell’energia e del prezzo dei carburanti, quando c’è un’invasione di poveri e neri alle porte?
L’unica vera emergenza in Italia, è il sistema di accoglienza. La legge Bossi-Fini, ancora in vigore (incredibile che nessun governo di centrosinistra abbia mai davvero pensato di abolirla ), è una legge che produce “clandestinizzazione”. Crea illegali, spinge i nuovi arrivati ai margini, rende impossibile percorsi di integrazione nella vita sociale del nostro paese. D’altronde siamo sempre quel paese nel quale ancora più di un milione di giovani nati e cresciuti qui, non ha la cittadinanza.

Il successo elettorale di uno che vuole farsi ricordare dai posteri costruendo un ponte gigantesco come i faraoni si facevano costruire le piramidi, corrisponde al fallimento umano di una persona convinta che l’aver smantellato il sistema di accoglienza degli Sprar e dell’ospitalità diffusa, sia una cosa di cui andar fiero. Miserabili fortune in questa terra che descrivono l’idea del prossimo, dell’altro, che può avere chi del mondo, e degli esseri umani, ha una considerazione pari allo zero. Una “castrazione chimica dello Spirito” che purtroppo deve aver funzionato bene in questo soggetto, temporaneamente affidatario dei poteri pubblici di governo. Ma in concreto, se volessimo affrontare l’emergenza accoglienza, smettendo di chiamare emergenza la migrazione, bisognerebbe sedersi ad un tavolo con sindaci e società civile, e approntare ciò che va fatto per rendere dignitoso ed efficace ciò che oggi non lo è.

La “bussola” dovrebbe essere il fatto che sono esseri umani, che ci rende orgogliosi ospitarli, che per un paese civile è la base non solo della sua Costituzione, ma del suo futuro. Perché è ovvio, ma non per i governanti, che tutto ciò che faremo agli altri, poi tornerà su di noi. Se tratteremo da fratelli e sorelle, saremo trattati come tali. Se li faremo soffrire, questa sofferenza ci sommergerà. Dovremmo dunque pensarci come “comunità dell’accoglienza”, istituzionale, laica, religiosa. Come dovremmo pensare ad una “comunità del soccorso” quando parliamo di Mediterraneo, con i suoi duemila morti l’anno che gridano dal fondo i loro nomi, per sempre. E invece di fare la guerra alle Ong, altro capro espiatorio, aiutare chi si impegna a soccorrere, ricordandoci che nessuno si salva da solo. E nessuno fallisce da solo. Anche se governa la Meloni.

29 Agosto 2023

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