28 agosto 1963

La storia della marcia su Washington: il giorno in cui Marthin Luther King cambiò gli USA

Il governo si aspettava 100 mila guerriglieri. Arrivarono 300 mila pacifisti. Fu il momento più alto del dopoguerra di unificazione delle lotte per i diritti civili e diritti sociali, per il lavoro e contro il razzismo

Editoriali - di David Romoli

26 Agosto 2023 alle 16:22

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La storia della marcia su Washington: il giorno in cui Marthin Luther King cambiò gli USA

L’apparato di sicurezza era da stato d’assedio: 6mila poliziotti, 2mila appartenenti alla Guardia nazionale, 4mila soldati arrivato in aeroporto dalla Carolina del Nord e dalla Virginia. Altri 19mila militari erano accampati alle porte di Washington pronti a intervenire in caso di disordini gravissimi che molti ritenevano inevitabili: “E’ impossibile portare 100mila neri a Washington senza incidenti e rivolte”. La vendita di alcolici fu sospesa e non era mai successo dalla fine del proibizionismo. Le operazioni chirugiche vennero rinviate e gli ospedali accumularono enormi riserve di plasma per essere pronti a fronteggiare una mezza guerra civile.

Il presidente Kennedy incaricò un suo uomo di fiducia di essere pronto ad ammutolire gli altoparlanti se i discorsi si fossero rivelati troppo incendiari. Per lo stesso motivo al grande scrittore nero James Baldwin fu vietato di prendere la parola. Il 24 maggio 1963, pochi mesi prima, con altri intellettuali neri aveva incontrato il ministro della Giustizia e fratello del presidente Robert kennedy. Era finita quasi in alterco e farlo parlare sembrò un rischio troppo grosso.

Nonostante l’apprensione generale il solo rischio fu rappresentato dall’impianto sonoro. Qualcuno lo aveva sabotato il giorno prima della Grande Marcia su Washington del 28 agosto 1963 e non si riusciva a ripararlo. Gli organizzatori fecero presente che la presenza di 200mila manifestanti senza che gli oratori potessero parlare sarebbe stata davvero una minaccia seria per la sicurezza. L’esercito riparò l’impianto durante la notte. Nessun incidente funestò la Marcia alla quale presero parte tra le 250mila e le 300mila persone, circa un quarto delle quali bianche. Erano arrivate da tutte le parti d’America, in treno. in autobus in automobile, i più ricchi, incluse molte stelle di Hollywood, in aereo.

Si concentrarono di fronte al monumento a Washington e di lì, senza neppure aspettare gli organizzatori impegnati in un incontro con la delegazione del Congresso, mossero verso il Lincoln Memorial dove erano previsti i discorsi degli organizzatori e un concerto. Suonarono quasi solo musicisti bianchi, Bob Dylan, Joan Baez, Peter Paul and Mary, anche se la regina del gospel Mahalia Jackson intonò I Got Over subito dopo la fine dello storico discorso di Luther King, “I Have a Dream”, e la contralto Marian Anderson eseguì a sua volta un pezzo. Al termine il giovanissimo Bob Dylan confessò un certo imbarazzo per quel concerto di musicisti per lo più bianchi.

La Marcia fu organizzata in una fase di massima tensione nella battaglia per i diritti civili. In primavera la campagna per eliminare la segregazione a Birmingham, “la città più completamente segregata d’America”, era stata lunga e violentissima. Dopo l’accordo che aveva parizalmente desegregato la città c’erano stati attentati sia contro Luther King che contro suo fratello. L’11 giugno il presidente Kennedy aveva promesso una legge sui diritti civili, che sarebbe stata approvata nell’agosto del 1964: la notte stessa uno dei principali leader del movimento per i diritti civili, Medgar Evers fu assassinato a Jackson, Mississippi. Eppure la March on Washington for Jobs and Freedom non era concentrata solo e neppure essenzialmente sulla desegregazione nel Sud.

Gli organizzatori, A. Philip Randolph e Bayard Rustin, ex comunista e omosessuale, pertanto particolarmente sospetto anche agli occhi dell’amministrazione Kennedy, avevano iniziato a prepararla, nel dicembre 1961, per mettere all’ordine del giorno il problema della disoccupazione e della povertà tra i lavoratori neri. Per la prima volta diritti civili e diritti sociali venivano apertamente intrecciati: “L’integrazione nei settori dell’educazione, immobiliare, dei trasporti e degli alloggiamenti pubblici sarà di limitata estensione e durata fintanto che persisteranno fondamentali disuguaglianze economiche lungo le linee razziali”, scrivevano i due organizzatori.

Nel giugno 1963 i leader delle 6 principali associazioni per i diritti civili, tra cui King, formarono il gruppo delegato a organizzare e a gestire la Marcia, i “Big 6”. Randolph ne era il leader, Rustin rimase vicecapo dell’organizzazione ma a patto che figurasse il meno possibile per il passato ex comunista. In un incontro con il presidente, il 22 giugno, Kennedy mise come condizione del suo appoggio l’allontanamento dei “comunisti” dall’organizzazione di Luther King. Stanley Levison, avvocato ebreo, intimo amico e collaboratore strettissimo di King, accettò di fare un passo indietro pur continuando a collaborare con il leader dei diritti civili sino al suo assassinio, il 4 aprile 1968. Kennedy si dichiarò anche molto preoccupato per “il rischio di intimidazioni” durante la marcia. Gli organizzatori accettarono di vietare ogni manifestazione di disobbedienza civile e persino di sbandierare cartelli diversi da quelli distribuito dal Comitato, anche se poi quest’ultima proibizione non venne di fatto rispettata. Su questa base, il 17 luglio, il presidente si pronunciò a favore della manifestazione.

I Big 6 erano nel frattempo diventati Big 10. Ai leader delle principali organizzazioni nere per i diritti civili si erano aggiunti un rappresentante dell’associazione delle chiese cristiane, uno di quelle cattoliche e il presidente dell’American Jewish Congress. L’ultimo ingresso fu quello di Walter Reuther, presidente della United Automobile Workers, UAW, il sindacato dei metalmeccanici. Malcolm X, ancora primo predicatore della Nation of Islam, disertò la manifestazione, bollandola come “la farsa di Washington”. Anche tra gli organizzatori c’erano dubbi sia sulla scelta di evitare gesti di disobbedienza civile sia sul sostegno alla legge proposta da Kennedy, che ritenevano non abbastanza coraggiosa. In particolare il presidente dello SNCC, Student Nonviolent Coordinating Committe, John Lewis, il più giovane tra gli oratori previsti aveva preparato un discorso molto critico nei confronti dell’amministrazione Kennedy ma fu convinto a cancellare tutti i passaggi più affilati nella notte prima della marcia.

Tra i 10 oratori ufficiali non ci furono donne. Rosa Parks era sul palco insieme alla cantante Lena Horne ma non prese la parola e lasciò il palco, con la Horne, prima dell’ultimo discorso, quello di King. La grande Jospehine Baker parlò nella fase della raccolta delle offerte ma senza figurare tra gli oratori ufficiali. Nel corso di un omaggio complessivo alle donne nere in prima fila nella lotta per i diritti civili intervenne Daisy Bates, giornalista nera la cui madre era stata stuprata e uccisa da tre bianchi e che aveva avuto un ruolo centrale nella campagna per la desegregazione delle scuole nella sua città natale, Little Rock in Arkansas. Il discorso di Martin Luther King fu l’ultimo, prima delle comunicazioni conclusive dei due ideatori della Marcia.

Nella primavera precedente il pastore era diventato il più noto tra i leader dei diritti civili grazie alla campagna di Birmingham ma anche grazie alla lettera che dal carcere di quella città, con mezzi di fortuna come il bordo dei quotidiani, aveva scritto per rispondere a otto religiosi che avevano esortato a combattere la giusta battaglia per i diritti civili solo nelle aule di tribunale e non nelle strade. Il discorso di quella sera è ancora oggi uno dei più famosi della storia moderna. Il reverendo aveva scritto il testo a New York, con Stanley Levison. Ma dopo quel famosissimo incipit, “Io ho un sogno”, Mahalia Jackson, dal palco, urlò “Parlagli del sogno Martin”. King abbandonò il testo preparato e proseguì a braccio, trovando parole definitive e immportali che andavano e vanno oltre la specifica battaglia dei neri d’America. Parlavano e parleranno sempre di libertà, ovunque e per tutti.

26 Agosto 2023

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