Il caso della detenuta

La frase sulla detenuta suicida come Göring, le ultime follie di Nordio

Al ministro sicuramente è capitato qualcosa e non ce lo vogliono dire. Blatera su Norimberga, vuol costruire nuove carceri, giura di non essere garantista

Giustizia - di Iuri Maria Prado

15 Agosto 2023 alle 14:30

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La frase sulla detenuta suicida come Göring, le ultime follie di Nordio

C’è da credere che qualcosa si sia impadronito di Carlo Nordio, il ministro della Giustizia che si disfa delle domande sull’ultimo suicidio in carcere spiegando che non conosce “i dettagli tecnici” e poi chiarisce, semmai qualcuno avesse pensato il contrario, che lui non è garantista manco per sogno.

Qualcosa deve avergli intorbidito il giudizio se nel giro di ventiquattr’ore, quando ancora risuonano le sue divagazioni sulla “complessità della realtà”, che è appunto quella che impedisce di vestire “i panni del garantista o del giustizialista” mentre la gente si appende per il collo o è lasciata morire di fame e di sete in prigione, ci picchia dentro l’intervista supplementare in cui rende noto che se fosse per lui costruirebbe “subito una cinquantina di carceri modello”. Ma perché non cinquecento? Perché non mille? C’è caso che servano, per contenere i responsabili delle fattispecie di delitto sfornate dal moltiplicatore di governo: vorrai mica amputare di certezza della pena il contrasto dei rave party e dei reati universali?

L’idea di occuparsi delle carceri che ci sono, magari cominciando a svuotarle dei tanti, dei troppi che non dovrebbero starci, macché. E figurarsi attribuire la cornucopia di suicidi non alla volontà degli dei, non all’imponderabilità della vita, non alla “complessità della realtà”, ma al sistema penale e retributivo che tutti – il sussiego togato, l’ecumenismo progressista, la truculenza dell’onestà, la trasversalità del manipulitismo – tutti lasciano così com’è e guai a toccarlo, perché il carcere non vota e perché prima viene la gente per bene, prima vengono le vittime: e pace per le vittime dello Stato e dell’abuso carcerario, quelle vanno nel conto separato della realtà complessa.

È giunto a dire, il ministro Guardasigilli (un segno ulteriore che qualcosa di strano l’ha preso, qualcosa di incontenibilmente forsennato che ormai ne comanda le dichiarazioni), è giunto a dire che purtroppo c’è poco da fare visto che perfino gli imputati al processo di Norimberga si suicidavano – pensa un po’, perfino quelli! – non ostante fossero sottoposti a un controllo militaresco. E davvero non si sa più che cosa pensare, se non che siamo appunto alla follia, se si paragona il caso di un genocida a quello di una donna immigrata che si lascia morire dopo aver chiesto e non ottenuto di vedere il figlio di quattro anni.

Saranno anche “dettagli tecnici”, per carità, ma si sospetta che ci sia qualche differenza significativa tra la pretesa di giustizia contro i responsabili della Shoah e l’esigenza sicuritaria che impone il carcere ai tanti detenuti (migliaia e migliaia di persone) certamente non pericolosi, molti dei quali privati della libertà prima del processo all’esito del quale andranno assolti una volta su due. Se ci arrivano senza suicidarsi.

Infine, una piccola provocazione. Nei giorni scorsi un uomo senz’altro gradito a Giorgia Meloni, tanto che l’ha pure candidato, si è espresso due volte in argomento di giustizia sul giornale che ha fondato: prima contro il regime del 41bis e poi osservando quel che dovrebbe vedere chiunque, e cioè che c’è la firma dello Stato sui suicidi in carcere. Quell’uomo si chiama Vittorio Feltri, e siamo certi che Giorgia Meloni lo consideri abbastanza di destra. Farebbe meglio di Nordio, ma comprendiamo che è pretendere troppo. Lo ascolti, almeno.

15 Agosto 2023

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